Abbiamo incontrato per la prima volta Angelo Sicurella con gli Omosumo e siamo rimasti stupiti per la personalità e le doti canore. Quando abbiamo ascoltato il suo primo lavoro solista (Orfani per desiderio) abbiamo scoperto grande qualità di scrittura e con l’ultimo Yuki-O splendide conferme in continua ascesa. La musica di Angelo Sicurella è qualcosa di speciale, di assolutamente unico, profondo, ispirato, sincero. La musica di Angelo si distingue in modo netto dalle varie proposte del panorama italiano e siamo certi che meriti anche la vostra attenzione. Con questa intervista realizzata dal vivo nel backstage del Locomotiv di Bologna abbiamo cercato di conoscere meglio il percorso che ha portato la musica a trasformarsi fino a diventare la meraviglia di Yuki-O. (Si ringraziano Astarte Agency e Modernista)
Qual è l’origine del termine “Yuki-O”. Già un brano degli Omosumo si intitolva Yuk… c’è un collegamento?
Di certo il collegamento è la persistente passione per l’Oriente. “Yuki” è un nome che ho sempre avuto in mente. Ho avuto anche un’amica, che poi ho perso in giro per il mondo, che aveva quel nome. E’ un nome che mi è sempre piaciuto anche per il suo significato. Significa “neve”, ma anche “fortuna” e “felicità”. Quindi ha un aspetto candido e puro, ed è poi un augurio. Yuki è anche una ragazzina che abita nel nostro contesto sociale e, visto che inevitabilmente finisco sempre per scrivere qualcosa di autobiografico, posso dire che Yuki è anche una parte di me, e non mi dispiace affatto che sia una parte femminile.
Nella tua musica, il ruolo del canto viene prima dell’elettronica, oppure è il contrario?
Io prima di tutto sono un cantante. Sono nato così, nel senso che fin da quando ero piccolo ho coltivato la voce prendendo spunto da svariati riferimenti. Con la prima connessione internet a 56k passavo il tempo a vedere i video di sperimentazione di Demetrio Stratos o del primo John De Leo, di Mike Patton. Poi esplorando il mondo di Stratos mi sono avvicinato anche all’oriente, i canti tibetani, i mantra. Mi ero bloccato completamente sulla voce arrivando a pensare che qualsiasi altro strumento mi avrebbe distolto dal mio ruolo vocale. Così ho ignorato tutto ciò che avevo iniziato a fare con il piano e la chitarra per puntare a suonare il corpo. E’ nata una vera esplorazione dei meandri del mio corpo, per far risuonare la cassa toracica, la testa, per capire come emettere suoni diversi dallo stesso corpo. Un’esplorazione durata tantissimo, ed assolutamente autodidatta, anche se in realtà, grazie a molti ascolti, i maestri diventano tantissimi. Da quando avevo sedici anni con il rock dei Led Zeppelin, Deep Purple… si ascolta, si impara, e si fa proprio ciò che si ascolta, per poi passare al maestro successivo. Chris Robinson, Paul Rodgers, ma anche il blues anni ’20 e ’30, Buckley, Nusrat Fateh Ali Khan (una passione che tuttora coltivo), quindi un’esplorazione che non finisce mai.
Ma… l’elettronica?
L’elettronica è stata proprio un treno che mi ha investito! Intorno al 2000-2001, tra Palermo e Bologna (dove frequentavo il DAMS, organologia, in mezzo ad un bordello di strumenti autocostruiti), c’è stato un periodo di assiduo ascolto dei Pan Sonic e dei Matmos, elettronica degli anni ’90. I Pan Sonic si costruivano gli strumenti e creavano dei suoni assurdi… li vidi al TPO nel 2003, e per i suoni generati in basso cadevano pezzi di calcinacci dal soffitto! Nessuno poteva aspettarselo, c’era pure gente che scappava, potevi sentire tremare lo sterno, una cosa pazzesca! L’ascolto che però forse mi ha più instradato all’elettronica è stato The Downward Spiral dei Nine Inch Nails. Ho deciso di comprare una drum machine, e raffrontarmi con delle manopole e non solo con dei software. Il lavoro con i sintetizzatori è davvero molto vicino a quello che si può fare sulla voce e per questo c’è stato un vero e proprio sposalizio tra i due sentieri! Ho un’attitudine da nerd, ma anche un approccio diverso rispetto ad un ragazzino che è nato con questi strumenti, e questo è dovuto al mio background, e forse rende il risultato più personale.
E che influenza ha offerto la tua terra, la Sicilia?
La Sicilia mi ha offerto spunti di ricerca, ma non tra quelli più conosciuti della musica popolare. Piuttosto nelle influenze bizantine. Mia nonna è di Santa Cristina Gela, quindi albanofona, così ho trovato questo collegamento con il mondo bizantino, per poi finire anche alle invasioni arabe scoprendo delle vocalità e scale melodiche simili a quelle pakistane (anche se per attitudine meticolosamente differenti).
In Orfani per desiderio c’era uno sguardo sul mondo, Yuki-O invece sembra fissare con più forza le persone. Dico bene?
E’ vero. In Orfani per desiderio due mondi paralleli hanno convissuto insieme. Ero dedito a capire se ci si poteva affrancare dai padri musicali (da qui “orfani per desiderio”, il desiderio di staccarsi dai padri artistici, dai maestri, per potersi esprimere con qualcosa di assolutamente personale e libero dalle cose stesse che mi hanno costruito). Contestualmente lavorare a Lampedusa mi ha portato a relazionarmi con una realtà che non avevo mai compreso quanto fino a quel momento. Lì sono entrato in contatto con tante persone che venivano dall’Africa e che mi hanno condizionato artisticamente. Molte idee che ho portato anche negli Omosumo arrivano da lì. Poi quando a Lampedusa è successa quella situazione brutale e così spiacevole … è stato un primer pazzesco (in senso biologico: il primer innesca una reazione). Mi ha portato a vomitare il disco. In 20-25 giorni è stato scritto.
Il focus di Yuki-O è completamente differente. Ha sempre uno sguardo sul sociale, ma ha a che fare con una lettura del mondo che ci circonda, ho cercato di toccare dei punti che in qualche modo toccano tutti. Certe velocità quasi eteree, certe obbligazioni alla solitudine, la scarsa condivisione, l’incertezza verso il futuro, la politica distante…
In questo modo Yuki-O riesce ad essere più immediato, più diretto.
Sì, e per me è stato anche difficoltoso perchè sono abituato ad una scrittura più criptica che bada meno alla comprensione, mentre in Yuki-O ho cercato un linguaggio diverso.
Questa necessità di immediatezza è riconoscibile anche nelle modalità di pubblicazione di Yuki-O (disponibile da Novembre 2017) rispetto ad Orfani per desiderio (pubblicato in tre volumi da Dicembre 2015 a Marzo 2017). Un caso o volontà?
Sono situazioni assolutamente volute. Con Orfani per desiderio c’era anche la possibilità di aprire una collaborazione artistica con chi poi ha realizzato le tre copertine. Yuki-O invece aveva un suo concept più definito, era proprio un LP.
Qual è il tuo brano preferito di Yuki-O?
A me piacciono molto Ubriachi di sale, Trema anche il silenzio e Yuki-O. In realtà ognuno di questi brani tocca un punto del mio corpo preciso che si risveglia nel momento in cui lo suono. Sono nati in periodi molto particolari del mio vivere. Sono un po’ le mie “stelle di Hokuto”! In questo caso otto e non sette.
“Marinai dello strazio / la voglia di non arrivare in nessun posto / l’amore è un cane che ci morde il cuore / il desiderio che ci affoga e non fa rumore / prima o poi ci salverà / prima o poi ci perderà”. Questo passo di Trema anche il silenzio è quello che forse più mi colpisce nell’intero tuo ultimo album. Dove nasce la tua ispirazione per i testi e per il lato poetico?
Comunque sia, tutto ciò che fai durante la giornata ti influenza ed ispira. Io scrivo sempre, anche per la strada può arrivare un imput, una sola frase. Per Yuki-O c’è stata una ricerca che è durata mesi, fomentata ogni giorno. Ricordo una mia amica, la scrittrice palermitana Alli Traina, prima ancora che io scrivessi Orfani per desiderio, mi diceva che lo scrittore è colui che si cimenta ogni giorno in quella cosa e non ha importanza se quel giorno ha scritto una pagina buona oppure ha cestinato tutto. E’ quello il mestiere che deve fare, non deve aspettare, deve mettersi a cercare. E quella cosa che ha cestinato gli servirà per raggiungere quella successiva. In una delle tante notti palermitane, questo fu un discorso che mi colpì parecchio ed è quello il percorso che ho voluto fare. Ho cercato quindi di accendere ciò che era buio, spegnere ciò che era luminoso, cercare cose completamente diverse da quelle che avevo assecondato nella scrittura di Orfani per desiderio. Ovviamente poi ci sono state anche delle letture che mi hanno segnato: mi hanno colpito Gli anni di Ennie Ernaux, Pastorale americana di Philip Roth… letture del genere prima o poi ti segnano. Anche i Tarocchi di Jodorowsky, e penso pure che Stranger Things mi abbia influenzato! L’atmosfera che descrivo nel disco è un po’ quella presente in Stranger Things 2, quella di un mondo che alla fine noi butteremo a terra… basta solo guardarsi intorno per accorgersene. Occorrerebbe ripartire dalla condivisione e dalla consapevolezza che siamo esseri umani e abitiamo un pianeta che non ha niente a che fare con la struttura sociale che ci è stata imposta. Partire per un viaggio, in Indonesia! E così vivere la giornata in un altro modo, scoprire che le ambizioni non sono le stesse del mondo occidentale…
Avendo seguito su Instagram il tuo recente viaggio in Indonesia, proprio di questo volevo chiederti: cosa sei andato a cercare, cosa hai trovato?
Questo viaggio mi ha scioccato. Ero andato là con la mia ragazza che è danzatrice: io per cercare la musica, lei per la danza. Eravamo due cani che fiutavano per terra in cerca di cibo. All’inizio la popolazione balinese si schermava: un atteggiamento che hanno con tutti i turisti. E anche se si percepiva un approccio spirituale molto forte, sembrava comunque che la vita si appoggiasse agli stilemi occidentali. Invece, appena siamo entrati in contatto veramente, è stato sconvolgente. E’ una dimensione coperta da un velo, con una spiritualità profondissima, vera, piena di musica e danza. Ho registrato una decina di ore di musica. Alla fine ho esaudito la ragione per cui ero andato lì: raccogliere e respirare tutto ciò che potevo. Altri strumenti, scomposizioni ritmiche e melodiche… magari per porre le basi di un nuovo lavoro.
Immagino ti sarai già messo al lavoro…
Per spippolare, spippolo sempre! E’ un po’ come quando fai il pane, e lo mangi, così finisce che lo fai sempre, ogni giorno.