Chi è solito perdersi tra le nostre pagine conosce bene i Foja. La band partenopea, grazie a Dario Sansone, rappresenta in Italia il punto di contatto tra la musica e l’animazione. Un’eccellenza in entrambi i campi, ma in questa intervista abbiamo voluto esplorare con Dario un mondo che conosciamo un po’ meno. Con curiosità ci siamo addentrati in uno spazio magico, ripercorrendo l’avventura di Gatta Cenerentola e del gruppo di lavoro che ha realizzato questo splendido film di animazione.
Dario, parliamo con te in occasione del concerto dei Foja organizzato da La Fabbrica che si terrà a Bologna tra pochi giorni, ma una parte di te va ben oltre la musica e si spande nel mondo dell’immagine e dell’animazione. Quali di questi amori è nato prima e come è cresciuto?
Praticamente sono nati assieme, mi definisco “bipolare”, ma fondamentalmente sono entrambi differenti modi di espressione che ho coltivato da sempre; dopo tanta ricerca e dedizione questi amori sono diventati professione. In pratica non ricordo di aver vissuto un momento della mia vita in cui le mie due anime siano rimaste separate, fanno entrambe parte di una sperimentazione, e dopo tanti anni, sono ancora curioso di sapere dove mi porteranno.
Come dici, l’animazione per te è una professione. Un gruppo di lavoro, con sede a Napoli, che ha incassato molti premi ed ora si trova tra i candidati per il David di Donatello con Gatta Cenerentola per Miglior Film, Miglior Produttore, Miglior Musicista (Luigi Scialdone), Miglior Canzone Originale (Dario Sansone e Foja), Miglior Suono, Migliori Effetti Digitali. Manca meno di un mese alla premiazione: che aria si respira nel vostro studio?
C’è aria di serenità e di soddisfazione per le tante cose belle che ci stanno accadendo, ma soprattutto è un momento di produttività, siamo già a lavoro su un nuovo progetto, il cinema d’animazione ha dei tempi lunghissimi e la progettazione è una fase importantissima.
L’animazione è qualcosa che, nell’immaginario, è magico. Si dà vita ad un disegno. E voi lo fate in un modo molto riconoscibile. Recentemente ho visto Gatta Cenerentola e vorrei farti alcune domande. In primis sono rimasto affascinato dal pulviscolo sempre presente in scena, a donare un continuo movimento. Come è nata questa idea?
E’ un espediente atmosferico che arricchisce di significati e poesia le scene. Il pulviscolo, così come l’incessante cenere che è quasi onnipresente, ci hanno aiutato a raccontare le due facce della vicenda, il lato luminoso e quello oscuro della favola.
La grafica è caratterizzata invece da tratti non completamente realistici, colori intensi a rappresentare un mondo misterioso. Stile che si adatta all’idea generale del film oppure una vostra firma?
Già con L’Arte della Felicità di Alessandro Rak, avevamo cominciato un discorso singolare: produrre film d’animazione per tutte le fasce d’età. Nel nostro paese il disegno animato è associato ad un media per i più piccoli, stiamo provando invece a tracciare una strada che ponga attenzione anche in Italia su questo modo diverso di raccontare storie “mature” con la potenza e la libertà espressiva del disegno in movimento.
La trama si muove in uno spazio indefinito tra il passato e il futuro, un cortocircuito temporale che stimola la fantasia. Perchè non vi siete affidati alla storia classica cercando invece questo azzardo?
Ogni favola viene raccontata in modo diverso attraverso i secoli, e attraverso voci sempre differenti. Per noi era importante conservare la magia di un’antica fiaba, scritta per la prima volta da Giambattista Basile nel 1634; sentivamo il bisogno di narrare una storia atemporale ma al tempo stesso moderna, con i nostri occhi e affrontando tematiche contemporanee.
C’è tanta Napoli in Gatta Cenerentola. Non è rappresentata visivamente (come per L’Arte della Felicità) ma forse la città è presente con ancora più forza. Nei personaggi e il linguaggio, ovviamente, ma anche nello scontro tra modernità e tradizione, tra la meraviglia e il declino, gli ideali e il malaffare. E poi, credo, anche in una poetica generale che difficilmente avrebbe potuto trovare un’altra sede, giusto?
Napoli, con le sue luci e le sue ombre, è il territorio adatto per riuscire a rappresentare l’umano nelle sue più disparate forme, dalla barbarie alla nobiltà, in questo film prende vita con la sua anima attraverso personaggi controversi e coraggiosi, per noi era fondamentale riuescire a raggiungere un’onestà narrativa, e ambientare la storia in un posto che conosciamo e viviamo è stato il nostro punto di partenza.
Cosa altro vorreste raccontare della vostra città?
La sua internazionalità, attraverso i suoi talenti.
La musica ha un ruolo importante nel film. C’è anche un brano dei Foja scritto apposta per il film, ma anche molti altri brani di artisti napoletani e non. Come è avvenuta la scelta dei brani e qual è stata la risposta degli autori di fronte alla richiesta di partecipare con la loro musica ad un film di animazione?
Le collaborazioni di questo film nascono da amicizie, spontanee, e dalla voglia di coinvolgere in un progetto così ricco gran parte dei musicisti napoletani. Con tutti c’è un rapporto di amicizia, appunto, e stima oltre che di lavoro, io ho un po’ il ponte tra la parte musicale e quella visiva, sottoponendo di continuo opere di colleghi. Nel nostro modo di lavorare la musica ha un ruolo fondamentale: talvolta ha la forza di traghettare in una direzione differente parte di un’intera sequenza com’è accaduto con L’erba cattiva di Enzo Gragnaniello, che ha dettato i tempi della scena finale.
Un’ultima domanda sulla vostra musica, che abbiamo già trattato più volte nelle nostre pagine. Il treno farà sosta al Locomotiv di Bologna, all’interno del parco del Dopo Lavoro Ferroviario. Come sta andando il tour? Che riscontro avete fuori dal territorio campano?
Siamo alla seconda tornata di tour invernale, il nostro terzo disco ‘O treno che va non si è mai fermato e i riscontri in giro per la Penisola sono sempre positivi, ma in questo momento siamo concentrati nel varcare i confini nazionali. E’ in produzione una versione con collaborazioni internazionali e un tour europeo, facendo sposare la nostra lingua con suoni da tutto il mondo, a conferma dell’universalità della musica che non ha codici ma solo “linguaggi emozionali”.