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Ironico esistenziale: intervista a Simone Spirito

simone 8 copiaNegli ultimi anni la scena partenopea svela tanti giovani talentuosi cantautori, da Ciro Tuzzi degli EPO a Claudio Domestico (Gnut), fino ai Foja di Dario Sansone. Quest’attitudine nella scrittura di canzoni è forse innata e favorita dall’energia creativa che sprigiona la città all’ombra del Vesuvio. In questo sottobosco musicale mancava un cantautore ironico-esistenziale immerso nel mood anni ottanta. Con il disco d’esordio Eppur Simone, Simone Spirito ha colmato questa lacuna, proponendosi come alternativa onesta e sincera ai cloni post-Venditti dell’ultim’ora pseudo-indie. Un progetto che subito ci ha colpiti.

Come è nata l’idea titolo del disco?
Non vorrei deluderti, l’idea del titolo non è stata mia, ma di un mio amico musicista che me la suggerì al telefono quando gli comunicai che volevo registrare un disco. Poi è passato del tempo, ho terminato le registrazioni e prima di mandare in stampa il lavoro ho incominciato a riflettere su come si potesse intitolare, e mi è ritornata in mente quella telefonata. Chiaramente oltre al gioco di parole con “eppur si muove”, celebre frase attribuita a Galileo Galilei, il titolo mi ha convinto perchè rappresenta molto il senso del progetto, nonostante siano otto canzoni molto diverse tra loro, il filo che le unisce penso e spero sia la mia scrittura e quindi “Eppur Simone”.

Quanto di biografico c’è nelle tue canzoni?
Tutte le canzoni partono da mie esperienze, e da mie riflessioni. Cerco di comunicare quello che penso attraverso i testi che scrivo, è una sorta di autoanalisi che ha come obiettivo ultimo quello di suscitare empatia in chi mi ascolta.

In quasi tutte le canzoni aleggia nostalgia e qualche volta ironia… Cosa sono la nostalgia e l’ironia per te?
E’ esattamente così che mi sento, un cantautore “malincomico”. Sono molto legato alla vita e al suo mistero per cui quando mi guardo indietro, oltre ad essere contento di quello che ho fatto, mi viene anche un po’ di nostalgia nel pensare che è un qualcosa di andato/passato che non c’è più e quindi mi immalinconisco; ma allo stesso tempo cerco di non prendermi troppo sul serio e reagisco con ironia o meglio auto-ironia. Quindi la nostalgia e l’ironia sono i cardini della mia vita.

A proposito del singolo, ma chi è l’imbelle?
L’imbelle è colui che non riesce ad affrontare i propri limiti, le proprie paure, non riesce ad andare in guerra perchè ha paura. Nella canzone canto appunto “ho smesso il vestito dell’imbelle” e mi riferisco a quando ho capito che mi piaceva cantare canzoni e mi sono buttato in questo nuovo mondo con tutto me stesso.

Sei contento della produzione artistica?
Sì, sono soddisfatto. Il sound di questo disco è molto variegato pur avendo una matrice nativa di stampo acustico. Ho le mie canzoni preferite chiaramente, ma il mio obiettivo è stato raggiunto, ossia creare un disco che fosse appunto variegato, che fosse acustico ma che avesse elementi e sonorità moderne, volevo venissero fuori canzoni pensanti ma non pallose.

A quali cantautori del passato e presente ti senti più vicino e perché?
Ho sempre amato la musica cantautorale italiana, da De Andrè a De Gregori, passando per Niccolò Fabi fino ad arrivare a Brunori Sas. Sono due comunque le figure alle quali maggiormente mi sento legato, John Lennon per il suo modo di vedere la musica anche da un punto di vista di divulgazione di messaggi sociali, di pace e di amore e Daniele Silvestri che ha coniugato sempre la scrittura d’autore con la ricerca sonora.

Sei partenopeo, quanto ha contribuito quest’appartenenza nel tuo sentire di cantautore?
Molto, anche se non canto in lingua napoletana, il mio essere abitante di Napoli me lo porto dentro in ogni singola parola o nota che scrivo. Questa città ha una forza energetica incredibile che non può lasciare indifferenti.

Un luogo di Napoli che potrebbe rispecchiare il mood del tuo disco?
Il bosco di Capodimonte, dove appunto è stata scattata la foto di copertina (foto scattata dalla fotografa Valentina Mangiapia e poi lavorata graficamente da Luigi Panico). E’ quello il luogo che penso rappresenti al meglio il mood del disco, un posto dove si sta bene immersi nella natura e a contatto con il passato.

Cinque canzoni che hanno segnato momenti importanti della tua vita?
Domanda non facile… Allora: Notti magiche di Bennato e Nannini, io amo il calcio e quello fu il primo mondiale che mi ricordo, lo ricordo come un’esperienza magica appunto anche se dolorosa per il suo epilogo, quindi quella canzone mi dà allo stesso tempo gioia e malinconia come dicevamo prima. Vaffanculo di Marco Masini, perchè la ricordo come una canzone forte di rottura, una canzone che mi sorprese e che amavo cantare. In questo preciso momento di Joe Barbieri, canzone racchiusa in un disco che divorai (In parole povere, 2004) e che ascoltavo in macchina quando vivevo a Roma. Fruta Fresca di Carlos Vives, una canzone che ascoltai durante una vacanza in Spagna, ero giovane e felice e me la godevo. Tornato in Italia, non ricordavo il nome del cantante e della canzone e quasi per magia la trovai su Youtube e fui contento come un bambino molto contento Clandestino di Manu Chao, prima canzone di un disco meraviglioso che accompagnò un’estate meravigliosa che passai a MassaLubrense

La canzone dell’imbelle – video

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