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Innovative e classiche: intervista a I’m not a blonde

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Alcuni progetti musicali li seguiamo con più affetto di altri, è naturale, umano. Im not a blonde di Chiara Castello e Camilla Matley è uno di questi progetti che amiamo perchè sa essere trasversale alle mode e ai generi, suona innovativo senza lasciare completamente spaesato l’ascoltatore, dal vivo è formidabile. Altro? Sì, ed è per questo che abbiamo contattato Chiara e Camilla per porre un po’ di domande sulla loro musica, i loro progetti, ed un bellissimo festival al quale parteciperanno fra pochissimi giorni nelle Marche.

Sono passati oltre 5 mesi dall’uscita di The Blonde Album e possiamo fare un piccolo bilancio. Nei comunicati stampa veniva definito come il vostro secondo album, ma io l’ho sempre considerato il vostro primo vero e proprio album: mi sbaglio oppure c’è un fondo di ragione?
Sicuramente è vero quello che dici: Introducing… è una raccolta di 3 ep e non ha una struttura unitaria come The Blonde Album. I pezzi degli ep sono stati pensati in modo meno unitario, come degli spot, mentre quando lavoravamo su The Blonde Album avevamo un orecchio sempre attento al fatto che i pezzi sarebbero stati ascoltati uno dopo l’altro. Detto questo, anche in questo caso i pezzi sono abbastanza eterogenei, e ci siamo rese conto sempre più che la varietà espressiva e sonora fa proprio parte del nostro DNA, forse perchè entrambe abbiamo sempre ascoltato musica di tutti i generi.

Una delle cose che ritengo più belle della vostra musica è l’atemporalitá. Mi spiego: i riferimenti agli anni ’80 e ’90 sono espliciti, ma i brani hanno la virtù di suonare già come dei “classici”, quindi senza tempo. Questo risultato è stato ricercato o è frutto semplicemente del vostro gusto musicale?
Direi che non è cercato ma credo che derivi dai nostri ascolti. Abbiamo assorbito tanto dagli anni ’80 e ’90 , ma nel momento in cui scriviamo cerchiamo sempre di stare attente alla “contemporaneità “ nella produzione e, come ho detto prima, abbiamo ascolti molto trasversali sia come genere che come periodo e questo sicuramente si riflette nel nostro modo di scrivere. Riguardo al suonare “classici” forse deriva dal fatto che, nonostante ci piaccia sperimentare con il sound e ci sia tra i nostri ascolti tanto indie, siamo entrambe abbastanza legate alla “forma canzone classica”, quella da strofa e ritornello per intenderci.

Rispetto al vostro passato, seppur recente, i brani di The Blonde Album hanno tutti una spiccatissima componente pop che nei precedenti era forse solo accennata. Si percepisce la voglia di “arrivare” all’ascoltatore, catturarlo, coinvolgerlo. Cercate un dialogo con il pubblico? Come si concretizza questo aspetto nei live?
Dialogare con qualcuno ha come premessa che entrambe le parti comprendano la stessa lingua, quindi per noi in Italia è oggettivamente più difficile (e questa differenza l’abbiamo notata in Germania dove c’è una comprensione e quindi attenzione maggiore a quello che diciamo). Sicuramente abbiamo cercato di avvicinarci maggiormente al pubblico con questo disco che forse è un po’ più morbido e meno spigoloso dei precedenti ep, ma con il tempo abbiamo anche imparato che la percezione del pubblico non è mai totalmente prevedibile, alcuni pezzi che eravamo convinte fossero “più difficili” abbiamo poi scoperto essere tra più ascoltati. Ad ogni modo il nostro contatto maggiore avviene per vie più immediate e proprio attraverso i live, che sono pieni di energia. Ci divertiamo molto sul palco e sembra che questa cosa passi anche a chi ci sta ascoltando.

I brani che più mi hanno stupito sono Walls coming down, Five days, The road, quindi quelli più melodici, riflessivi. Non solo voglia di ballare ma anche di lasciarsi andare fluttuando tra i pensieri e suoni eterei. Vi chiedo di scegliere uno di questi tre brani e raccontarcene la genesi, i suoi “perchè” e qualche segreto.
Invece in breve eccoli tutti e tre: Walls coming down nasce da un rif di chitarra (la prima che si sente), Five days da un’improvvisazione vocale di Chiara, e The Road da un giro d’accordi e una melodia nata in 5 minuti un pomeriggio d’estate in campagna. Five days e The road sono venute immediatamente, senza grandi revisioni, forse perchè rappresentano il paesaggio emotivo di un momento preciso più che la narrazione di una storia e ad ogni modo ci suonavano già giuste da subito. Walls coming down invece è stata più ostica, sopratutto per il ritornello. Doveva essere la ballatona con il super ritornello? Non riuscivamo a capire la strada da prendere. Alla fine siamo molto felici di tutte e tre.

Nei live vi accompagna alla batteria Leziero Rescigno. Come è possibile creare la giusta alchimia sul palco con un musicista che non ha partecipato al disco? Perchè avete riscontrato questa necessità?
Partiamo dal presupposto che Leziero ha una sensibilità enorme come persona e come musicista. Aveva ascoltato il nostro album già dall’origine quando erano solo provini e ne ha visto poi lo sviluppo , quindi non era estraneo al processo. Ha fatto un lavoro molto rispettoso nelle scelte dei suoni, rimanendo fedele quanto più possibile all’album. Ovviamente il plus di un batterista è che puoi avere più dinamica ed è proprio questo il motivo per cui l’abbiamo coinvolto nel live, sentivamo che i pezzi di questo disco ne avessero bisogno. Il concerto oltre ad acquisire un aspetto più performativo e suonato , può avere più momenti di respiro e può dilatarsi e ne sono avvantaggiati i pezzi più morbidi.

La vostra musica, un crocevia di elettronica, rock e pop, ben si presta anche ad orecchie straniere. In Germania in particolare: oltre che aver avuto la possibilità di realizzare un tour nei club tedeschi, lì il vostro disco è anche distribuito. Tornando quindi a quanto ci dicevate, che riscontro avete ottenuto e che differenze riscontrate con il mondo musicale italiano?
La prima grossa differenza è che il pubblico tedesco è più ricettivo alle contaminazioni. Durante i live si percepisce molta curiosità, anche nei confronti di un band che non si conosce e ascoltano con attenzione senza però perdere calore. Un’altra grossa differenza è che la lingua inglese non è un ostacolo come lo è in Italia. Siamo state ospiti un po’ di tempo fa di Flux Fm (più grossa radio Indie tedesca) con un mini live e la cosa che ci ha sorpreso è stata ricevere domande riguardo ai temi trattati nei testi delle nostre canzoni. Nessuno in Italia ci ha mai fatto domande riguardo a questo.

Rispetto ai grandi festival che si tengono oltre confine, l’Italia si contraddistingue per una marea di piccoli eventi musicali che però negli ultimi anni hanno alzato sempre più il livello qualitativo della loro offerta. Alcuni di questi riescono poi a coniugare la musica con altre bellezze (naturali, geografiche, enogastronomiche, culturali). Uno di queste realtà è il festival Musica Distesa al quale parteciperete a fine mese. Come si è creato il contatto con questo festival? Come vi è stato raccontato e cosa vi aspettate da questa esperienza?
Era parecchio tempo che sentivamo parlare di Musica Distesa come un festival bellissimo. E la cosa ci è stata confermata da Leziero stesso che ci ha suonato anche l’anno scorso con gli Amor Fou. Ci è stato raccontato come uno di quei festival che riescono a conciliare, proprio come dicevi tu, una proposta musicale molto interessante in un contesto naturale speciale e a questo punto ci siamo create grandi aspettative! Non vediamo l’ora ! E siamo dispiaciute di dover ripartire subito il giorno seguente perchè abbiamo capito che varrebbe la pena fermarsi per i tre giorni.

In Italia la musica mainstream che conoscevamo è al collasso quindi sta aprendo nuove porte a ciò che proviene dalla scena indipendente. Vedete questo fenomeno come un’occasione o un cortocircuito capace di creare anche qualche problema vista la totale assenza di filtri?
La musica indie, di cui tu parli, aveva già le caratteristiche, dal punto di vista di scrittura, della musica Mainstream. Non è stato difficile, per il mondo dei grossi numeri, fagorcitarla. Un esempio i The giornalisti: suonavano già come Venditti ai tempi di Fuoricampo, semplicemente oggi hanno esplicitato la vena Mainstream. Per me il vero problema in Italia è che non c’è spazio per la vera musica Indie come s’intendeva anni fa, cioè una musica in grado di sperimentare e andare al di fuori di regole di scrittura e produzione già ripetute. Il pubblico è poco ricettivo nei confronti di ascolti meno immediati, e si sforza (a fatica) solamente quando la proposta viene dall’estero, come se questo avesse un valore in più e in qualche modo lo autorizzasse a questo sforzo.

Quali sono i vostri programmi per il futuro più prossimo? Oltre ai concerti c’è tempo per la scrittura di nuovi brani?
Sì, stiamo già scrivendo dei pezzi nuovi in grande libertà senza porci paletti, vogliamo prenderci tutto il tempo per farlo. Siamo abbastanza contrarie alla continua necessità di buttare fuori materiale nuovo in tempi così ravvicinati. Il processo creativo non può avere delle scadenze. Nel frattempo continueremo a stare  in giro con i live, anche all’estero.

L’estate è alle porte: ci aiutate a fare una piccola playlist per le vacanze? 5 brani che non mancheranno nei vostri ascolti estivi tra un concerto e l’altro, tra un tuffo e un mojito a bordo piscina, sotto le stelle o in una città svuotata ad Agosto.
La facciamo prendendo spunto dalla line up di Forbidden Fruit Festival che abbiamo visto poco tempo fa a Dublino.  The prawn song – Superorganism; Necessary Evil – Unknown Mortal Orchestra; Taste – Rhye; Mournin Sound – Grizzly Bear; Holding on – The war on drugs.

#playlistLH by I’m not a blonde

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