Giocare in casa è più facile, si sa. Ma alle volte può anche provocare ansia da prestazione. Se poi la casa in questione è il Teatro San Ferdinando, una sala del ‘700 scelta da Eduardo De Filippo per farne il suo tempio, le aspettative si innalzano ulteriormente. Quando si apre il sipario si comincia subito con uno dei migliori brani dell’ultimo album La Mentirosa, la romantica progressione di Lunar, in una veste nuovissima, che vedrà aggiornati tutti i brani eseguiti nel corso della serata. L’esecuzione è impeccabile, ma come trattenuta dalle briglie della tensione. La stessa Flo dopo un paio di pezzi dichiara la sua emozione, ‘vorrei farvi sentire come mi batte forte il cuore‘. Forse non se ne accorge eppure lo sentiamo dalla platea e pian piano la tensione si scioglie, tutto si accalora, specialmente quando il ritmo sale, e ci si rende conto che quello a cui si assiste non è soltanto un concerto, ma uno spettacolo teatrale in piena regola, con una sua sceneggiatura precisa, due atti (con tanto di cambio d’abito), parti corali, ruoli disegnati, monologhi e colpi di scena. Ispirata dal Teatro che la ospita, Flo dà prova delle sue doti di attrice e entertainer, tenendo salde le redini di uno spettacolo giocato sul racconto di un ‘inciucio’, un fatto, una storia più che un pettegolezzo, che ha per protagoniste due ‘eroine’ messicane, Chavela Vargas e Frida Khalo. Seduta sull’orlo del proscenio, Flo recita le loro gesta con sagace verve partenopea e un tono confidenziale, che è forse il segreto del suo canto autentico. Prende confidenza e gioca col pubblico, imbastisce una trama che lega i brani con un filo sottile, quasi invisibile, tuttavia saldo come l’amore. Si accompagna sul palco con un sacchetto rosso legato all’asta del microfono, un magico amuleto di scaramanzia in forma di cuore dal quale tira fuori un manoscritto con alcuni versi da La Tempesta di Shakespeare, tradotti in napoletano da Eduardo, li legge con passione e voce rotta ed è un’epifania ritrovarne uno straziante nella prima strofa di Fosse capace. Ma soprattutto si accompagna con una band affiatata, con l’ibrido batteria-percussioni di Michele Maione che regge il ritmo dal quale spesso prendono sostanza i brani, e stimola i compagni a seguirlo in break improvvisi e cambi imprevisti, studiati o perfettamente improvvisati o forse entrambe le cose. Davide Costagliola ha una gioiosa e timida sicurezza che gli consente di reggere da solo col basso tutta Ponta de Areja, passa con disinvoltura dal solido ‘accompagnamento’ a parti soliste, anche affidate alla chitarra nelle versioni originali (Olor a lluna), si diverte e fa divertire. Marcello Giannini, sempre misurato e attento, fermo nel suo angolo alla sinistra del palco ricorda quasi Fripp, mentre alterna la dinamicità di una Jaguar al netto calore di una classica Multiac e si ritaglia assoli essenziali come negli ossessivi legati di Cassandra. E poi ci sono gli ospiti come Ondanueve String Quartet, archi vibrati per le conseguenze dell’amore che compaiono sul fondo del palco, come investiti da una luce velata, donando una veste lirica ad alcuni brani ma anche piazzando un intermezzo gitano all’inizio del secondo atto. Il set si chiude con l’energia prorompente de La Mentirosa e tre furiose tammorre, di Emidio Ausiello, Paolo Cimmino e Riccardo Smith, si aggiungono al set di percussioni variopinte di Maione, in un vortice orgiastico tarantolato che sgorga direttamente dalle sabbie pietrificate dei calanchi. Ma non è ancora abbastanza e si torna in scena per le trame malinconiche e avvolgenti di Ad ogni femmena un marito, e ‘a rosa s’appassisce in fretta / come un giorno di festa‘, così salutiamo la compagnia che si inchina soddisfatta con scrosci di applausi ed urla esaltate.