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I migliori dischi stranieri del 2018

15. How to Socialise & Make Friends – Camp Cope

recensione_campcope-howtosocialise_IMG_201804Le Camp Cope sono un trio di ragazze australiane tornate quest’anno con un nuovo disco che sembra estrapolato da un fotogramma sonoro del garage punk degli anni Novanta. Si chiama How to socialise & make friends ed è stato pubblicato a Marzo del 2018. Se state cercando la rivelazione dell’anno, la ricerca sperimentale, la novità assoluta state pure alla larga perché probabilmente vi deluderà. Questo disco è una scheggia nostalgica per gli irriducibili adolescenti malinconici, un po’ incazzati, ancora con gli occhi rivolti al cielo. Un disco come un’istantanea di una sala prove di tempo fa. Per chi ancora butta fuori nuvole di fumo disegnando se stessi con nostalgia e rabbia dolciastra.

14. Sugar Rush – Nic Cester

recensione_nickcester-sugar_IMG_201804Che Nic Cester, l’ex leader della band australiana Jet, amasse l’Italia è cosa nota. Le origini friulane lo portano ad avere radici ben ancorate al Paese a forma di stivale, tanto che ha voluto portarne un pezzo pure nel suo disco d’esordio da solista, Sugar Rush, inciso con la collaborazione dei Calibro 35. Sugar Rush raccoglie tutte le strade musicali esplorate dal cantante australiano: ci sono il blues, il rock, la psichedelia, il tutto tenuto insieme da un’atmosfera vintage che rende ogni brano perfetto per una colonna sonora. Cester passa da atmosfere malinconiche, come il singolo Hard Times, ad altre più scanzonate, come Eyes on the Horizon, che ti catapulta direttamente negli anni ’60, passando per brani cupi come God Knows. La voce del ex leader dei Jet è graffiante, potente, quasi in contrasto con le musiche che l’accompagnano.

13. Bad Witch – Nine Inch Nails

NIN_BadWitch_Cover_Final_Web_1000-500x5002xC’è troppo odio per le strade. La cappa dell’ignoranza ci soffoca sempre di più e la colonna sonora di questi tempi maledetti è un sax dissonante in una coltre di spami tribali, di ipnotici rumori industriali. Siamo diventati la celebrazione del non senso. Abbiamo imboccato una strada senza via d’uscita. Dobbiamo arrenderci. Trent Reznor continua musicalmente il verbo dell’ultimo Bowie e lo affoga in atmosfere big beat alla Prodigy. Il terzo Ep che chiude la trilogia iniziata con Not the Actual Events e Add Violence è un piccolo capolavoro anche e sopratutto nelle parti strumentali come Play the Goddamned Part e Over and Out.

12. Little Dark Age – MGMT

mgmt_little_dark_ageContinuano a sorprendere. In dieci anni li abbiamo visti cambiare la rotta della sperimentazione tante volte. Rinnegare l’attitudine psycho-dance del fortunatissimo album di debutto Oracular Spectacular per le incursioni acid-jazz del secondo capolavoro Congratulations. Quindi ritornare alle strutture pop nell’omonimo MGMT con attitudine alla Flaming Lips, per intederci. Ora in Little Dark Age ritroviamo quell’attitudine al pop danzereccio però imbevuto più di rimandi volutamente synth-pop anni ottanta con il mood ironico e sarcastico di Ariel Pink, che ha collaborato anche nel brano When You Die.

11. In a poem unlimited – U.S. Girls

recensione_usgirls-inapoem_IMG_201804In a poem unlimited è il nuovo disco di Meg Remy, in arte U.S. Girls. Oltre il #metoo, oltre qualunque posa da femminista post moderna, semplicemente oltre e a modo suo. Testi e musica che dipingono il ritratto della donna del 2018 incastonata tra le strutture della società. Un disco funk al limite del danzereccio che si spinge più in là di facile etichette. Potente, semplice, ricercato. Visionario, attuale, un disco icona delle sfumature e delle rivendicazioni fuori da ogni categorizzazione. Puro.

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