05. Boarding House Reach – Jack White
Non è un disco blues, ma sembra suonare blues. Non è un disco di hard-rock, ma sembra suonare hard-rock. Non è un disco pop, ma sembra suonare pop. Non è un disco soul-funky, ma sembra suonare soul-funky. Tutto questo è possibile con la genialità schizofrenica di Jack White, forse la più irruente icona del rock americano di questi ultimi quindici anni. L’artista di Nashville conosce l’arte dello sperimentare e di quando faccia rima con la contaminazione ardita. Accostare organi e synth vintage su loop di batteria hip-hop per molti sarebbe cosa sacrilega ed invece scopri che funziona da dio. E’ l’ultima frontiera del rock? Sì, Jack White ci ha fregati ancora, suscitandoci quell’emozione che solo un riff rock sa regalare, e che lui ha il dono di espandere, dilatare con astuzia sopraffina. Questo terzo disco solista di Jack White è il defibrillatore di un rock che mai si estinguerà. Di sicuro tra i migliori album di questo lustro.
04. Singularity – Jon Hopkins
Quando l’elettronica dancefloor diventa astrazione concettuale. Dissolversi in un’alba con tre soli. Aggrovigliarsi nel fluttuare di un’alta marea. Danzare la fine del mondo sotto colpi di intrecci vocali senza parole. Gli accenni di suoni dalla tavolozza di Jon Hopkins hanno la stessa potenza impressionista dei colpi di spatola di Claude Monet. In Singularity il musicista britannico si supera, crea un suono unico, denso di suggestioni che si dilatano e contraggono come il motore della vita: il nostro cuore. In questo disco c’è una chiara radice techno-ambient, e forse c’è più cervello che piedi ballerini sul pavimento. Singularity fa perdere le coordinate spazio-temporali, proietta in mondi alternativi della mente. Un piccolo capolavoro.
03. God’s Favorite Customer – Father John Misty
Può capitare di vivere per mesi in una stanza d’albergo per una crisi coniugale. Può capitare di crogiolarsi in questo stato di autocommiserazione e di tristezza, di sentirsi più vecchio dell’età che si ha. Può capitare di ricordarsi che in gioventù ci avevano suggerito di credere in Dio e noi ci eravamo dimostrati tra i suoi migliori clienti a quell’epoca… ed ora in questo brutto momento sarebbe giusto che questo Dio ci venisse in soccorso. E’ difficile dopo un disco come Pure Comedy presentarsi dopo appena un anno con un lavoro così carico d’emozioni. E Josh Tillmann ci riesce, abbandonando barocchismi e regalandosi alla semplice forma canzone basata su strutture binomio chitarra e voce o piano e voce, annebbiate in quelle atmosfere nostalgiche di cantautorato fine anni settanta. Tra Lennon e Jackson Browne ci commuove.
02. Violence – Editors
Le mille sfumature dell’oscuirtà che ci circonda, che ci avvinghia alla gola sono nel sound della band di Birmingham. I versi delle canzoni di Violence sono pugni nello stomaco, grida soffocate che vogliono risvegliare i residui di umanità che restano nella nostra memoria di attori di vite virtuali. In Cold Tom Smith canta: “It’s a lonely life, a long and lonely life, Stay with me and Be a ghost tonight, be a ghost tonight, But don’t you be so cold”. Dietro un nucleo artistico di matrice post-punk, nel susseguirsi dei loro dischi, gli Editors sono sempre stati mutevoli ed alla ricerca di una propria identità sonora sulla scia di Joy Division, Interpol, U2 e Cure. In questa rincorsa sperimentale con Violence sono riapprodati alla genuinità dei dischi d’esordio come The Back Room, An End Has a Start e In This Light and on This Evening.
01. Wanderer – Cat Power
Duro e fragile nello stesso momento. Il costo del vivere ed il prezzo del continuo cambiamento. Guardarsi allo specchio e riscoprire il proprio DNA. Planare nell’oceano in tempesta e fermarsi a prendere fiato sulla rupe della scogliera del nostro Io più nascosto. Con un decimo album più coraggioso e toccante che mai… così ritorna Cat Power. La cantautrice statunitense si veste da blueswoman e realizza uno dei suoi migliori dischi di sempre. E pensare che questo lavoro era stato bocciato dalla sua ex-etichetta Matador perchè non aveva un sound da Hit. Stiamo parlando di una sensibilità alta che non è di questi tempi nichilisti, ma finchè ci sono questi dischi ci sarà sempre speranza per un mondo diverso, un mondo con pochi calcoli e tanti sentimenti e umanità. Wanderer ci fa restare umani.