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Merrie land – The Good, The Bad & The Queen

The Good, the Bad & the Queen - coverIl ritorno del supergruppo di Damon Albarn, Paul Simonon, Simon Tong e Tony Allen, undici anni dopo un esordio che pareva destinato a restare un evento unico, la dice lunga sullo stato di confusione in cui è precipitata la Gran Bretagna dopo il drammatico referendum sulla Brexit. Nato nel corso dei tour degli ultimi due album dei Gorillaz, quasi per disintossicarsi (tranne forse che da Fire flies) dall’elevato tasso di suoni e atmosfere sintetiche di quell’esperienza, Merrie land suona un po’ come un colpo di coda della vecchia Inghilterra, a cominciare dall’ironica sostituzione nella ragione sociale della band del ‘Brutto’ del celebre film di Morricone con la ‘Regina’. Un senso di smarrimento di fronte a un distacco dall’Europa che informa tutto l’album, sin dalla title-track: ‘And if you are leaving can you leave me my silver jubilee mug? / My old flag? / My dark woods? / My sunrise?‘. L’album condivide la malinconia dei Kinks di Arthur (or the decline and fall of the British Empire), chiuso nel circo psichedelico di Being for the benefit of Mr. Kite, mentre un teatro di marionette inquietanti, come quella del video di Merrie Land, va in scena tra organi farfisa e ampolle, al ritmo di un basso pulsante reggae, quello macinato dai Clash di Sandinista fino a divenire dub (The Truce of TwilightThe Great Fire) o quello solare e allegro di Drifters & Trawlers, del ritornello di Gun to the Head, leggero come Obladì obladà chiuso dalla parodia del finale di A day in the life. Un frammento accelerato in un album in cui tutto rallenta, scivola placido come sabbia scaldata dal sole, perfino nel coro a cappella di Lady Boston, con le sue movenze marinaresche. E tuttavia non si tratta di un album retrò, non più di quanto lo fossero i dischi dei Blur quando ostentavano con orgoglio i propri riferimenti, dal malinconico folk d’albione (Ribbons) alla distopica teatralità di Bowie (The Last Man to Leave). Quelli di Damon Albarn sono in fondo rimasti gli stessi e ora che l’adrenalina dei live comincia a cedere al fiato corto, preferisce rifugiarsi in una surreale scatola dei ricordi, dove giocare liberamente sul filo della dissonanza che rende la sua firma indelebile.

Credits

Label: Studio 13

Line-up:
Damon Albarn (ARP synthesizer, farfisa organ, keyboards, mellotron, organ, percussion, piano, theremin, vocals) – Paul Simonon (bass, vocals, percussions) – Simon Tong (guitar, vocals) – Tony Allen (drums) – Owain Arwel Davies (choir arrangement, conductor) – The Demon Strings (strings) – Gerry Diver (tin whistle) – Isabelle Dunn (cello) – Gareth Humphreys (bassoon) – Stella Page (viola) – Antonia Pagulatos (violin) – Lucas Petter (trombone) – Michael “Bami” Rose (saxophone) – Kotono Sato (violin) – Kate St. John (cor anglais, oboe) – Chris Storr (trumpet) – Eddie “Tan Tan” Thornton (trumpet)

 

Tracklist:

  1. Introduction
  2. Merrie Land
  3. Gun to the Head
  4. Nineteen Seventeen
  5. The Great Fire
  6. Lady Boston
  7. Drifters & Trawlers
  8. The Truce of Twilight
  9. Ribbons
  10. The Last Man to Leave
  11. The Poison Tree


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