Non è mai facile trovare le parole giuste per raccontare le emozioni di un live, soprattutto se questo ti coinvolge fino alle viscere. Viene quasi voglia di rinunciare, certi che sia impossibile rendere l’idea, anche solo in minima parte, eppure ci sono eventi che non possono non essere narrati.
Il 18 luglio, gli Afterhours sono tornati a Bologna con un concerto all’interno del Bologna Sonic Park. L’ultimo album in studio della band, Folfiri o Folfox, è uscito tre anni fa. Un tour e poi una sorta di stop, che ha visto un Manuel Agnelli televisivo, un evento celebrativo dei trent’anni di carriera della band che ha mandando in visibilio il Mediolanum Forum di Assago il 10 aprile dello scorso anno, l’apertura del locale Germi a Milano, un tour teatrale nella formula del duo Agnelli/D’Erasmo. Ma quando hai lo spirito animato dal fuoco del rock, la voglia di suonare dal vivo è insaziabile e così la band ha scelto di regalare due date al suo pubblico: la prima il 18 luglio a Bologna e la seconda il 19 agosto al Cinzella Festival di Grottaglie, in provincia di Taranto.
Il live è stato anticipato dagli I Hate My Village (gruppo composto dal batterista degli Afterhours, Fabio Rondanini, dal chitarrista dei Bud Spencer Blues Explosion, Adriano Viterbini, dal cantante dei Verdena, Alberto Ferrari, e dal bassista dei Jennifer Gentle, Marco Fasolo) e da Rancore, rapper che ha portato sul palco dell’Ariston, insieme a Daniele Silvestri, Argentovivo, brano scritto e interpretato grazie anche alla collaborazione di Agnelli. Dei primi conoscevo l’album omonimo e ho potuto apprezzare la loro potenza anche dal vivo, ma il secondo mi ha letteralmente incantata. L’artista romano è riuscito a catalizzare l’attenzione di tutti i presenti, grazie alla rabbia che scaturisce dai versi tratti dall’album Musica per Bambini.
Ore 21.30: gli Afterhours si appropriano del palco e tutto il resto sparisce. Per due ore e mezzo, la band di Agnelli ha lanciato sul pubblico una scarica rock, di quelle che colpiscono lasciando senza fiato. L’Arena Joe Strummer del Bologna Sonic Park è stata teatro di un concerto rivelatosi un concentrato di energia: quella che si respirava sul palco e quella della platea.
Un live partito forse un po’ in sordina, ma che è cresciuto con il susseguirsi dei brani, fino a esplodere. I sei musicisti sono stati impeccabili: Rodrigo D’Erasmo e le stilettate del suo violino, Roberto Dell’Era al basso e il suo immancabile stile anni ’70, Xabier Iriondo e Stefano Pilia e le loro chitarre così tremendamente rock, Fabio Rondanini e il battito cardiaco della band segnato dalla sua batteria e un frontman che è attitudine, sfrontatezza, consapevolezza che, a 53 anni, non ha bisogno di chiedere il permesso a nessuno per fare ed essere quello vuole.
Rapace, Male di Miele, Strategie (dedicata al pubblico), Germi: un inizio che toglie il fiato, che lascia interdetti.
“Grazie mille per essere qui stasera in così tanti. Non è mai scontato e non lo diamo mai per scontato”: una frase che Agnelli ripeterà più volte durante la serata, a sottolineare l’importanza di mettersi sempre in gioco, di non sentirsi mai arrivati, anche dopo una carriera trentennale.
Ossigeno fa urlare, saltare il pubblico, catapultandolo nel presente della band e portando a intonare Non Voglio Ritrovare Il Tuo Nome. Manuel Agnelli si racconta, attraverso aneddoti che spiegano la nascita delle canzoni. “Ho scritto questo pezzo quando mi sono accorto di essermi talmente accanito e concentrato in un percorso da perdere di vista la ragione che mi aveva spinto ad iniziare. Da perdere di vista il sogno che avevo. Non dimenticate mai perché sognate. State attenti, ricordatevi sempre dei vostri sogni. Questa è Padania”.
L’invito a inseguire sempre i propri sogni, senza però farsi fagocitare dagli stessi, viene seguito da un’amara considerazione sulla situazione sociale e politica, esternata attraverso le parole de Il Paese È Reale, pezzo del 2009 ma che mantiene, purtroppo, intatta la sua attualità.
Bianca è l’occasione per omaggiare la musa che la ispirò, Oppio è quella per ringraziare Xabier Iriondo di essere tornato nella band mentre la strumentale Cetuximab è una scarica di adrenalina pura, che conferma la forma smagliante della band.
Arriva il momento per l’esecuzione di due brani tratti da Folfiri o Folfox: Grande, in versione chitarra e voce, e Ti Cambia Il Sapore. Due punti di vista, quello di un figlio e quello di un padre che sente “la vita che gocciola”, che rappresentano uno dei picchi emozionali del live. Una performance vocale impeccabile, un urlo di dolore, una confessione personale che diventa collettiva, che si alza dal palco, dalla platea per diventare una voce unica.
Ballata Per La Mia Piccola Iena, Non È Per Sempre sono ormai diventati una sorta di inni, da cantare in coro, da tatuarsi sulla pelle e nell’anima. Costruire Per Distruggere, Se Io Fossi Il Giudice, Né Pani Né Pesci sono i brani che, tra ironia e sarcasmo, contribuiscono a mantenere altissimo il livello di una performance che non cede nemmeno per un secondo. Il Mio Popolo Si Fa e La Sottile Linea Bianca anticipano la chiusura della prima parte del set, chiosa Il Sangue Di Giuda, arricchita dalle armonie distorte del violino di Rodrigo D’Erasmo. Una vera pugnalata nello stomaco, che necessita di una pausa per tornare a respirare.
Il primo dei tre encore, acclamati dal fragore degli applausi del pubblico, vede Agnelli presentarsi sul palco lanciando la maglietta, rimanendo a petto nudo per fare, ancora una volta, roteare il suo microfono in aria ne La Verità Che Ricordavo. La Vedova Bianca e Bye Bye Bombay, in duetto con il pubblico, chiudono il primo bis. Ma la platea non è ancora sazia: le iene ne vogliono ancora così il loro capobranco le accontenta, arrivano Quello Che Non C’è e una potentissima cover di You Know You’re Right dei Nirvana, testimonianza che le aspettative di cambiamento sono morte con Kurt Cobain. La quarta e ultima parte del concerto si apre con Agnelli al piano che esegue un’emozionante Ci Sono Molti Modi. Le note di Voglio Una Pelle Splendida chiudono quella che è stata una serata perfetta.
Chi era presente al Bologna Sonic Park non ha assisto solo a un semplice concerto, ma a un vero e proprio scambio: di energia, di emozioni, di vissuto. Un raccontarsi e accogliersi a vicenda, da parte di chi era sul palco e dalla platea. Lacrime, sorrisi, urla, silenzi a sugellare un rapporto indissolubile, la voglia di esserci, di chiudere dei cerchi per poi “tornare a scorrere” più impetuosi di prima.
Foto: Bologna Sonic Park