Hanno impiegato 24 anni gli Who per ritrovarsi in studio con del nuovo materiale dopo It’s hard (1982), che già nel titolo sembrava indicare la fine della band, sconfitta dall’ardua prova di andare avanti senza Keith Moon, scomparso prematuramente nel ’78. E da Endless wire (2006) altri 13 ne sono serviti a Townsend per emergere nuovamente dalla sua invincibile accidia e mettere finalmente un punto ad idee che sarebbero altrimenti finite come la tela di Penelope. Ma mentre allora la band cercò di smarcarsi con acustica introspezione da ciò che era stata ai tempi d’oro, oggi con il dodicesimo album, intitolato semplicemente The Who, Daltrey e Townsend siglano probabilmente l’ultima prova del gruppo (stabilmente completato dal bassista Pino Palladino e dal batterista Zak Starkey), un testamento nel quale richiamare liberamente tutto il patrimonio accumulato in un sodalizio che tra alti e bassi dura ormai da sessant’anni. Per questo nessuno si aspetta più, sarebbe davvero ingiusto, la sconcertante deflagrazione di My generation, né tanto meno l’organica complessità di Quadrophenia. Fuori dal flusso massificante delle app per far “musica”, la scrittura di Townsend resta fedele al suo consolidato immaginario, ignaro o comunque indifferente al resto, in una dimensione creativa che guarda con affetto al passato, ma senza rimpianti e inutili nostalgie. Lo si vede nei colori acidi del collage della copertina realizzata da Peter Blake, una griglia di 22 quadrati disposti intorno al nome del gruppo a caratteri cubitali, con simboli che ne riassumono la storia, dai fagioli di Sell out alla Vespa di Quadrophenia o al flipper di Pinball wizard, oppure inneggiano ad idoli dei suoi componenti come Chuck Berry, Muhammad Ali e persino Batman e Robin, dettaglio che avrebbe certamente apprezzato il compianto Entwistle. E allora si parte subito con l’energico crescendo di All This Music Must Fade, la cui struttura aperta e corale rievoca quella di Who are you mostrando i muscoli vigorosi di un corpo che non ci sta ad invecchiare e che ha ancora grinta da vendere, a partire dal basso di Paladino che imita con efficacia la solida e spedita fluidità che fu di Entwistle. Una tensione che anima le atmosfere da torrido blues di Ball and Chain, complicate nel loop di piano che accompagna il rock energico della band, come un corpo estraneo che si muove sotto traccia per condurci inconsciamente alla coda psichedelica. Frugando dalle parti di Quadrophenia emerge la vena distesa di I Don’t Wanna Get Wise, ricordo ormai sereno degli eccessi che portarono alla morte di Keith Moon (“He was drunk, I was blind/ Though we tried to be kind“), la cui “eredità” di sregolatezza venne raccolta allora da Townsend, decretando l’inesorabile declino della band negli anni ’80. Un pensiero che porta inevitabilmente a cercare una svolta, una deviazione dalla norma, un Detour, che suona appunto come un inedito coretto mod che cita liberamente Heat wave da A quick one (1966) proiettandoci nella prima incarnazione della band, col suo fresco e ribelle soul, l’insospettabile eleganza della sfrontatezza rock, chiuso ironicamente da un loop sfuggente del violino di Dave Arbus che rese immortale Baba o’ Riley. Ed è ancora l’eleganza che disegna le trame leggere delle tastiere e guida gli intrecci vocali di Beads on One String, cui si unisce lo stesso Townshend, lasciando alle doti di Daltrey le sferzate e gli affondi più tesi. Altrove l’arrangiamento orchestrale suona un po’ retorico e rende tronfio il protagonista di Hero Ground Zero (“I’m a hero, ground zero / In the end every leader becomes a clown“) e così il pezzo funziona meglio nei momenti in cui il suono è più scarno e diretto. Come avviene nella semplice wave di Street Song, che si apre a un sottobosco di suoni esotici come il Peter Gabriel di Us. Ancora, nell’inattesa I’ll Be Back un’inedita armonica richiama un certo cinema melò dalla bocca di Townsend, che indossa per l’occasione un ancor più sorprendente e attillato abito da crooner, per ritornelli romantici appena turbati da un imprevedibile break di rap robotico. E si esce piacevolmente fuori traccia pure in Break the News, firmata da Simon Townshend, che rievoca le acustiche del precedente Endless wire, strizzando addirittura l’occhio al folk orecchiabile di This is the life di Amy McDonald, in un arrangiamento che si riempie del corpo rotondo del piano e della profondità del basso di Gus Seyffert. La scogliera tumultuosa di Brighton fa da sfondo ancora una volta ai pensieri di Townsend, al piano malinconico di Rockin’ in Rage, alla sua grezza materia, “I don’t think I’ve ever felt so out on the margin / I’m too old to fight with machetes and blades“. Un altro piano sbuca invece dalle sabbie di una notte in Tunisia e viene a raccontare, con minimale timidezza, l’amore esotico di She Rocked My World, ma il pensiero è rimasto alle strade di Brighton, dove nel bel mezzo di una insensata guerriglia urbana l’alter ego di Townsend e dei mod trovò inaspettatamente il sesso e l’amore in una scena apocalittica del film Quadrophenia, “But old friends are gone / We raised some hell / And I can still call / Who was that girl / Pressed up against the wall“. Dopo tanti anni la musica di Pete continua a risuonare nel vento di mare che si infrange tra le bianche rocce del Sussex, tornando a farci visita come una cometa. E noi la attenderemo ad ogni passaggio.
PS: la versione Deluxe aggiunge tre gustose bonus tracks: This Gun Will Misfire col suo dinamico e teso riff acustico arpeggiato, farcito di elettronica, Got Nothing to Prove, direttamente dalle prove delle trasmissioni radiofoniche di Sell out, infine, le calde e dolci armonie da ballad romantica di Danny and My Ponies.
Credits
Label: Polydor – 2019
Line-up: Pete Townshend (guitars, backing vocals, lead vocals, harmonicas, percussion, synthesizer tracks, violin, cello, hurdy-gurdy, effects, orchestration) – Roger Daltrey (lead vocals) – Pino Palladino (bass) – Zak Starkey (drums) – Simon Townshend (percussion) – David Sardy (percussion, mellotron, synthesizer programming) – Joey Waronker (drums) – Benmont Tench (organ, mellotron) – Gus Seyffert (bass) – Carla Azar (drums) – Matt Chamberlain (drums) – Josh Tyrrell (handclaps) – Rowan McIntosh (handclaps) – Martin Batchelar (programming, orchestration, orchestra arrangement, orchestra conducting) – Rachel Fuller (orchestration) – Peter Rotter (orchestra fixer) – Bruce Dukov (orchestra leader) – Andrew Synowiec (acoustic guitar) – Gordon Giltrap (acoustic guitar) – Fergus Gerrand (percussion)
Tracklist:
- All This Music Must Fade
- Ball and Chain
- I Don’t Wanna Get Wise
- Detour
- Beads on One String
- Hero Ground Zero
- Street Song
- I’ll Be Back
- Break the News
- Rockin’ in Rage
- She Rocked My World
- This Gun Will Misfire
- Got Nothing to Prove
- Danny and My Ponies
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