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Il Deja Vù di Crosby, Stills, Nash & Young

CSN&Y11 marzo 1970, negli Stati Uniti esce Deja vù, per l’etichetta Atlantic, il primo album del super gruppo (allora li chiamavano così e a giusta ragione) Crosby, Stills, Nash & Young, che riuniva in un solo progetto membri di Byrds, Hollies e Buffalo Springfield. Tre quarti della band aveva esordito con l’eccellente album omonimo, uscito il 29 maggio dell’anno precedente. Neppure il tempo di organizzare il tour estivo di quel disco che Neil Young, già con Stills nei Buffalo Springfield, si unisce al trio, trasformandolo in quartetto, in tempo per partecipare al festival di Woodstock, dove però decide di non farsi riprendere per il film (persino l’annuncio dello speaker è stato tagliato nel video ‘ecco a voi Crosby, Stills, Nash /’).

L’album viene realizzato senza un progetto unitario, registrando il materiale in session estemporanee tra luglio ’69 e gennaio ’70. Sembra incredibile, ascoltando la perfezione delle armonizzazioni oniriche, che sono una delle cifre stilistiche del quartetto, eppure gran parte delle canzoni sono il frutto del lavoro individuale degli autori, con le successive aggiunte, anche a più riprese, degli altri componenti, persi tra divergenze, pentimenti e scontri tra punti di vista di ego troppo ingombranti, che porteranno ben presto allo scioglimento della band (l’anno dopo Stills dichiarerà che fare l’album è stato come cavarsi i denti). Significativa eccezione, assieme ad Helpless e Almost cut my hair, è Woodstock, scritta da Joni Mitchell, compagna di Graham Nash all’epoca del celebre festival. Joni doveva figurare in cartellone con un suo set, ma all’ultimo minuto, su indicazione del manager, preferisce partecipare alla diretta del Dick Cavett Show, seguitissimo negli States, dove si presenta con una nuova canzone, composta guardando in TV le prime immagini della rassegna, dicendo con la sua consueta grazia ‘avrei dovuto suonare con i miei amici a un festival, questa canzone è per loro’. Così Mitchell immortala il festival, senza parteciparvi, dando voce all’ideale pacifista di un’intera generazione “And I dreamed I saw the bomber death planes / Riding shotgun in the sky / Turning into butterflies“. Subito raccolto e fatto proprio dai sui ‘amici’, che ne danno una version più rock, mettendo a fuoco un arrangiamento che Stills inizia a elaborare nientemeno che assieme a Jimi Hendrix (due anni fa quella prova è stata pubblicata nella raccolta di rarità del mancino Both Sides of the Sky). Lo si sente sin dall’introduzione di chitarra elettrica e negli assoli spigolosi che costellano il brano, che rappresenta al meglio l’affiatamento raggiunto dalla band, sebbene in rare occasioni: ma qui, si è detto, è impossibile accorgersene. Carry On, di Stills, è l’archetipo dei chitarroni acustici con quei bassi vibranti e slabbrati e quelle pennate affilate che più di ogni altra cosa definiscono il suono della West Coast, con digressioni psichedeliche di organi e wah-wah e quella coralità vocale che riempirebbe di gioia la più esile delle trame. Teach Your Children, composta e interpretata da Nash, riceve da Stills un trattamento elettrico alla Byrds che, assieme alla bucolica slide di Jerry Garcia dei Greatful Dead, trasforma una classica ballata folk in un andante country da beat generation. Un approccio condiviso da Helpless di Neil Young, che rallenta il ritmo fino alla giusta velocità per trasformare il suo impeccabile falsetto in saette che potrebbero liquefare la più coriacea delle corazze sentimentali. Almost Cut My Hair vive della viscerale creatività di Crosby, che rigurgita un canto ebbro di “vibrante protesta”, direbbe De André, cui fanno da perfetto contraltare le chitarre piangenti di Young e Stills. La title-track Déjà vù sfocia come un fiume dall’immaginario psichedelico di Crosby, scorrendo tra le rapide alla fonte fino alle calme acque delle grandi pianure, in un visionario crepuscolo di lentezze, echi di voci distanti, l’armonica malinconica di John Sebastian dei Lovin’ Spoonful, bassi pulsanti e ritmi di sogni infranti al calare della sera. Le origini britanniche di Nash, invece, emergono dolcemente dal piano di Our House, che guarda liberamente alla scrittura complessa dei Beatles del White album, con tanto di harpsichord e coretti “la-la-la la-là”. Il folk western di 4 + 20, per la chitarra e la voce profonda di Stephen Stills, sembra venir fuori direttamente dalla foto di copertina che ritrae il gruppo, completo della sezione ritmica composta da Dallas Taylor alla batteria e Greg Reeves al basso, come una banda di pistoleri, degna del cinema coevo di Sam Peckinpah. Agli antipodi il maestoso trittico Country Girl (Whiskey Boot Hill / Down Down Down / Country Girl (I Think You’re Pretty)) di Neil Young, illuminato da organi, tastiere e timpani che elevano il folk a un rango sinfonico orchestrale, senza impiegare violini e fagotti, mentre Everybody I Love You, della coppia Young e Stills, chiude l’album con la giusta rabbia e passione.

In seguito le strade dei quattro si incroceranno più volte seguendo percorsi talvolta contorti, ma quello resterà un momento di creatività incontenibile, come dimostrano le prove soliste di ciascuno uscite subito dopo Deja vù, il cui solo elenco mette i brividi: After the Gold Rush, di Neil Young, l’omonimo di Stephen Stills, Songs for Beginners di Nash e lo strordinario If I Could Only Remember My Name di Crosby.

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