lunedì 11 maggio 2020
In questi giorni seguiamo con molta attenzione l’evolversi delle ripercussioni sul mondo della musica del lockdown e delle misure di contenimento del virus nella cosiddetta fase 2. Ne abbiamo parlato con un artista del calibro di Cristiano Godano, capace di ammaliare con le caustiche e liriche architteture di testi unici e geniali, e coi suoni, dal muro rock ubriaco di noise dei Marlene Kuntz alle asciutte e tortuose trame di solitari set acustici. Godano è uno dei pochi intellettuali del rock, sapiente artigiano della parola, declinata nelle vesti di cantautore, scrittore e oratore.In questi mesi di silenzio imposto ai luoghi della musica, e dello spettacolo tutto, da contingenze eccezionali e tragiche, la sua voce ha trovato un modo elegante, garbato e umanissimo di continuare ad intrecciare i fili di un rapporto speciale e intimo con il pubblico. Tra le vie social, soprattutto Instagram si è rivelato proficuo: le dirette dense di risposte raccontate con generosità a chi ha posto domande via mail, di consigli su film, dischi e libri, nel segno di quella condivisione che smette di sfamarsi nel vuoto di un bottoncino in bacheca e… diventa empatia potente, capace di annullare davvero le distanze. Per noi di LostHighways è l’ennesimo slancio di quella resistenza eroica di cui Godano e i Marlene Kuntz hanno sempre dato prova. E siamo certi che quell’annunciato disco solista presto vedrà luce, più forte di ogni chiusura. Abbiamo bussato all’attenzione di Cristiano, in cerca di una via d’uscita al ruolo consolatorio in cui si vuol relegare la musica.
Come è arrivata l’emergenza nella tua vita di musicista, che progetti ha interrotto?
Stavamo preparando una sonorizzazione di un film muto per un film festival a Torino, e fino all’ultimo siamo stati in bilico, per cui l’abbiamo provata come se si potesse andare e poi è saltato tutto. In parte energia sprecata. Io in più avevo una decina di miei eventi in solitaria in programma: tutti saltati.
Che riflessi ha avuto il lockdown sul mondo della musica?
Penosi. Non si sa quando potremo tornare a lavorare in modo effettivo coi concerti, unica nostra attività remunerata: dai dischi nessuno ricava più nulla, e dalle piattaforme ricavano benino solo gli enormi, quelli che fanno minimo minimo cinquanta milioni di streaming. Numeri a caso, ma verosimili. E cinquanta milioni sono una soglia minima per parlare di ricavo di qualche rilievo. E poi secondo me ne è uscita male perché ancor di più ha abituato la gente alla gratuità della musica, con tutti quei contenuti musicali, fra balconi e dirette, che noi musicisti abbiamo dato in funzione consolatoria sul web.
C’è un ruolo per il musicista in questo frangente?
Quello di cui ti ho parlato nella risposta precedente. Pare noi si possa essere consolatori. E’ una cosa molto molto bella ovviamente, ma fra un po’, se tutto va avanti così, sarà il pubblico, quando sarà tornato al lavoro, a dover consolare noi. Suoniamo perché adoriamo farlo, ma ci viviamo anche con quello che suoniamo. Purtroppo è un discorso complesso: internet ha abituato la gente ad avere tutta la musica gratis, basta volerlo, e non sarà semplice ribaltare questa convinzione radicata.
La tua performance per il Primo maggio: cos’ha significato suonare senza pubblico con i tecnici muniti di mascherine e dispositivi di protezione?
Non ho percepito nessuna emozione troppo straniante: era come se si stesse registrando un pezzo per un programma televisivo in uno studio. Di sottofondo c’era indubbiamente molta retorica intorno alla “anomalia di quella edizione senza pubblico, eccetera”, ma essendo già da un mese e mezzo almeno che le cose stavano così, non mi sono sentito tanto in balìa di un evento impronosticabile.
Di seguito ti chiediamo di commentare alcune esperienze e prese di posizione:
1) “Dacci oggi il nostro balcone quotidiano”: Enrico Gabrielli ha annunciato con un post molto duro la conclusione dell’esperienza portata avanti con Francesca Biliotti, un appuntamento quotidiano che dal 12 marzo 2020, tutti i giorni alle 17, dal balcone ha portato musica dal vivo per la piazza sottostante. “A detta di tutti stiamo facendo un servizio essenziale per la comunità, come una specie di orologio sonoro e molte famiglie hanno regolato la loro quotidianità sulla nostra presenza. Da oggi inizierebbe la fase in cui la gente può uscire di più. E dunque il nostro pubblico potrebbe aumentare esponenzialmente. Ma, in tutta coscienza, un conto è suonare per tenere alto il morale della gente in una situazione di claustrofobia, un conto è allietare il popolo: questo si chiama “concerto pubblico”. Visto che per la nostra situazione di musicisti non c’è nulla di nulla e soprattutto neanche una parola di conforto da parte delle Istituzioni, (leggete l’ultimo decreto e converrete) abbiamo deciso che oggi faremo l’ultima esibizione fin quando non si chiarirà la nostra condizione. È forse giusto sin da ora cominciare ad abituare le persone che senza la “cultura” in ogni sua manifestazione sarà impossibile misurare lo stato di benessere mentale di una Nazione. La cosa certa è che le attività culturali non hanno inquinato l’aria come il sistema industriale che riaprirà entro quindici giorni a regime. E che soluzioni per aggregare la gente in sicurezza e con intelligenza ci sono. Verrebbe da chiedersi se poi valga la pena tutta questa premura per una vita così striminzita. Essere sani fuori e morti dentro è una mezza vita.“
Parole migliori di quelle di Enrico non potrei averle. Gli scriverò e mi congratulerò con lui.
2) Steven Wilson: “Come molti dei miei album, con The Future Bites non si tratta solo di musica, ma è un progetto concettuale più ampio, che coinvolge design, artwork, produzioni video e un tour, tutto su scala ancora più grande rispetto al passato. A causa della pandemia, dobbiamo affrontare delle sfide senza precedenti, dalla produzione (in particolare quella per la deluxe edition), all’incertezza che stanno vivendo i negozi di dischi obbligati alla chiusura, fino all’impossibilità di girare il materiale video che avevo in programma. È per questo motivo che a malincuore ho deciso di posticipare la pubblicazione di The Future Bites fino a che tutto tornerà alla normalità.”
Altre parole che esprimono concetti che tutti noi musicisti conosciamo molto bene. Si naviga a vista senza sapere cosa fare, e si sospende tutto, in un clima surreale di indecisione. Conosco bene questo stallo, visto che avrei un mio disco solista in attesa e quasi del tutto pronto. Vedremo che fare. Sono giorni cruciali.
3) Pearl Jam: due settimane dopo la pubblicazione del loro ultimo album Gigaton (21 marzo), hanno annunciato il rinvio di un anno del loro tour estivo (mentre qualcuno, magari, ancora spera di poter calcare i palchi in breve tempo).
Ah beh, non è neanche questa una novità: qualsiasi disco che esca ora è del tutto slegato da una consuetudine ovvia e funzionale alla nostra attività, già messa in difficoltà dalle piattaforme. Siccome infatti i dischi non vendono più, a maggior ragione li si lega ai concerti sperando che ne siano da traino. Uscire ora con un disco vuol dire rinunciare a qualsiasi remunerazione nell’immediato. Se esci con un disco ora è per sola visibilità e promozione. Con un risvolto bello e romantico: fai felici i tuoi ammiratori, che invece sperano tu esca proprio per continuare la fase consolatoria. E perché ovviamente vogliono sentire le tue cose nuove (a loro dico: compratelo però, non andate a sentirvelo su Spotify: un ascolto di una nostra canzone su Spotify, ovvero un click, ci remunera 0,0043 euro, che ovviamente non sono tutti nostri ma in gran parte della casa discografica). Nonostante tutta la cruda concretezza dei miei ragionamenti sinora, è una cosa bella sempre sapersi attesi.
4) Nick Cave, dal suo blog The Red Hand Files: “We are forced to isolate — to be vigilant, to be quiet, to watch and contemplate the possible implosion of our civilisation in real time. When we eventually step clear of this moment we will have discovered things about our leaders, our societal systems, our friends, our enemies and most of all, ourselves. We will know something of our resilience, our capacity for forgiveness, and our mutual vulnerability. Perhaps, it is a time to pay attention, to be mindful, to be observant. As an artist, it feels inapt to miss this extraordinary moment. Suddenly, the acts of writing a novel, or a screenplay or a series of songs seem like indulgences from a bygone era. For me, this is not a time to be buried in the business of creating. It is a time to take a backseat and use this opportunity to reflect on exactly what our function is — what we, as artists, are for.”
Conosco bene quelle parole. Le approvo solo in parte, perché mi sembrano implicitamente “condannare” chi ha fatto ciò che lui ammette di non voler fare. Io ho fatto le dirette, e ho percepito molta gratitudine da parte del mio pubblico.
Infatti è così, noi abbiamo seguito le tue dirette e l’empatia è stata evidente ed importante. Il sostegno al “lato oscuro” della musica, come lo ha definito Max Martulli, il mondo di tecnici del settore che consentono lo svolgimento dei live… per loro quali soluzioni?
Chiedere ai politici: potrebbe dipendere da loro. La parole di Enrico Gabrielli dicono molto al riguardo.
Prospettive future?
Sperare in un vaccino o in una attenuazione progressiva dell’emergenza. Ho poca fiducia nelle istituzioni. Siamo ancora inebetiti: difficile averne. Si naviga a vista.
La possibilità di una piattaforma sul genere di Netflix per live “in sicurezza”?
Temo che la gente sia poco interessata ai concerti live in streaming, soprattutto se a pagamento. E in ogni caso dovrebbe essere strutturata bene: se quelle piattaforme funzionano come quelle per la musica solo centinaia di migliaia di utenti possono forse remunerare con un minimo di soddisfazione: dubito che ci sia una domanda simile per la musica, così come c’è per i film.
Il DPCM del 17 maggio ha disposto la ripresa dei concerti a partire dal 15 giugno, ma tante le ambiguità che non consentiranno una reale ripartenza del settore.