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Un’ estate con Keith Richards

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Un’ estate con Keith Richards, leggendo la sua autobiografia Life.

In periodo pandemico sei condannato a pochi contatti sociali ovunque tu sia. Quindi la tua via d’uscita è una sola: un buon libro. Un libro che ti dia del tu. Un libro che sia onesto come un vecchio amico. Ma di quegli amici che ti sorprendono ogni volta che li ritrovi con le loro storie surreali, un po’ da picari e guasconi. Storie che sanno di nostalgia di vecchi tempi e che raccontate nel modo giusto possono rientrare nella leggenda, ma anche nascondere una grande bugia che nessuno vuole svelare per preservare la mitologia. Ecco, la mia estate pandemica è ruotata intorno all’autobiografia di Keith Richards. Premetto che non sono un grossissimo fan di vecchia data dei Rolling Stones, li ho scoperti in tarda età e per anagrafica i miei miti rock giovanili provengono tutti dall’area Grunge.  Quindi la mia lettura è stata pulita, non viziata da alcuna aspettattiva. Non volevo alcuna risposta sui Rolling Stones. E’ proprio questo approccio ha fatto sì che mi innamorassi di questo storytelling. La magia è il raccontare senza pelle, intimamente e onestamente tappe della vita di una rock star che ha vissuto mille vite ed è riuscito sempre a sfangarla. Si succedono aneddoti molto particolari su come e quando sono nati pezzi famosi dei Rolling Stones. Si entra in aspetti tecnici della costante esplorazione dell’universo chitarra da parte del Re dei Riff… le famose accordature aperte. Il suo rapporto viscerale con il blues. C’è l’amore con tutte le sue complicate storie, da Linda Keith ad Anita Pallenberg, fino a sua moglie Patti Hansen. C’è la droga, attraverso tutto il suo periodo di tossico dove ammette la sopravvivenza grazie ad una sua personale resistenza fisica e ad una sua capacità di non farsi mai prendere troppo la mano, non esalta mai la droga.  C’è l’amicizia attraverso il difficile rapporto con Mick Jagger che lo spinge a dischi solisti mai immaginati, e tutti i veri amici persi per strada, come Gram Parsons. C’è la famiglia, con le microstorie dei suoi figli. C’è il viaggio attraverso le sue mille dimore sparse nel mondo, menzione speciale per il celebre esilio a  Villa Nellcôte del 1971 dove fu registrato Exile on Main St. C’è la morte, sia quando l’ha scansata per un pelo e sia quando gli ha tolto prematuramente il figlio Tara, il padre e la madre. Sono dissacrate o confermate con grande ironia tutte le leggende e storie raccontate sul suo conto. Una vita in bilico sulla follia, da fuorilegge romantico e non da vile imbroglione. Una vita da Pirata, dove la legge che vige è quella del mare, la rotta la decidono i venti e le stelle e tu devi solo stare attento a non affondare. In 500 pagine si attraversano una settantina di anni senza mai annoiarsi, c’è tanta ironia, c’è tutto uno stile di vita rock senza compromessi. Il talento e la spontaneità sono la vera essenza di questo grande artista.

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