10. A Hero’s Death – Fontaines D.C.
In piena ascesa dopo il loro sensazionale album di debutto Dogrel, dopo incredibili concerti nel 2019, i Fontaines D.C. potevano stare fermi durante questo lockdown ed invece proprio per non farsi travolgere dall’onda del successo, per non sottostare a strategie di mercato, hanno deciso appena dopo un anno dal primo di uscire con un secondo disco. Una mentalità da band monolitica sicura del proprio credo. Con un album privo di uncini mainstream, A Hero’s Death è costantemente in sospensione, in un’atmosfera grigia come il cielo della Dublino che Fontaines D.C. raccontavano nel primo disco, e che ora è solo sfondo per una narrazione tutta interiore.
09. Straight Songs of Sorrow – Mark Lanegan
Ci sono vite che sono mille. Sono mille viaggi andata e ritorno dall’Inferno. In queste vite pochi sopravvivono, soprattutto quelli che hanno attraversato la scena grunge di Seattle. Il demone autodistruttivo dello spleen di quel movimento ha mietuto numerose vittime anche quando la tempesta sembrava essere stata domata (vedi Chris Cornell). Tra questi maledetti sopravvissuti ci sono i beati dannati come Eddie Vedder e Dave Grohl ed i miseri dannati come Mark Lanegan. Ed ecco Straight Songs of Sorrow, la colonna sonora perfetta di questo tipo di vita, raccontata nella sua recente autobiografia Sing Backwards and Weep. Un blues oscuro di spasmi elettronici vintage. Come se Charles Bukowski e Arthur Rimbaud si raccontassero attraverso le ambientazioni soniche di Nick Cave e Tom Waits.
08. S/T – Muzz
Sono tre amici, prima ancora che tre grandi musicisti, che decidono finalmente di concedersi del tempo insieme per suonare liberamente divertendosi con delle jam. Siamo nel 2015, ed è allora che nasce tutto. Si tratta di Paul Banks (frontman degli Interpol), Josh Kaufman (produttore/polistrumentista, membro dei Bonny Light Horseman) e Matt Barrick (batterista dei Jonathan Fire*Eater, The Walkmen e della touring band dei Fleet Foxes). Musicalmente l’album è caratterizzato da una calda atmosfera rock classica che ricorda il crepitio della puntina su un vecchio vinile. Il nome Muzz è stato scelto da Kaufman, che con questo termine indica proprio l’alta qualità dei suoni analogici, di cui è un cultore.
07. Song Machine, Season One: Strange Timez – Gorillaz
La macchina che crea canzoni è fondamentalmente una grande festa celebrativa di una carriera ormai ventennale, un party sfrenato che, come segno dei tempi, è concepito come una serie di animazione: Gorillaz’ Song Machine project, con pubblicazione degli episodi a cadenza mensile, a partire dall’inizio del 2020, ciascuno con un ospite d’eccezione. Un evento dilatato nel corso dell’anno che mette in fila nell’album uscito a fine ottobre in deluxe edition più del doppio dei brani visti fino a quel momento nella serie sul web, prova dell’esuberanza incontenibile del mattatore Albarn, che ha raccolto un cast stellare per un festeggiamento memorabile: basta leggere l’elenco dei featuring per saltar su dalla sedia (da Beck a Robert Smith, da Elton John a Peter Hook, da St Vincent a Fatoumata Diawara). Il contributo di ciascun celebrante è reso in perfetta simbiosi con lo spirito del progetto Gorillaz, tutte le voci conservano il proprio stile e sentire, portando il proprio universo musicale in brani che allo stesso tempo risultano innegabilmente in linea con le creazioni di Albarn e soci, che assorbono come spugne i contributi versati.
06. Heavy light – U.S. Girls
Avevamo lasciato Meg Remy aka U.S. Girls con un sorprendente album In a Poem Unlimited dove chitarre incendiarie incrociavano Iggy Pop con Madonna. Ora questa talentuosa songwriter americana ancora una volta ci sorprende con la sua irruenza sociopolitica e carica di introspezione esistenziale, ma con una tavolozza di colori sonori più gioiosa. E’ come se Patti Smith avesse indossato i panni di Kylie Minogue per sputare messaggi di critica verso la “luce pesante” del mondo contemporaneo.