05. Gigaton – Pearl Jam
I Pearl Jam ci scaraventano in faccia i nostri tempi malati senza sconti con un rock grezzo e ricco di riff taglienti… perchè l’aria del silenzio si deve lacerare con fragore. Ritornano a quell’energia e onesta creatività dello stomaco che era di casa nei lori primi tre dischi Ten, Vs e Vitalogy. C’è tanta rabbia ma anche tanta speranza. All’undicesimo capitolo, la band di Seattle dimostra che si può realizzare ancora un disco rock credibile, fatto di 12 pezzi che non cedono mai alla noia ma costantemente regalano buone vibrazioni. Gigaton riempirà sicuramente queste giornate di lutto e di dannata solitudine.
04. Ultra Mono – Idles
Nel silenzio del lockdown riemerge l’essenza del punk rock. Riemergono degli Idles fottutamente incazzati. Perchè questi sono giorni tali da non essere calmi. La semplicità dei testi è portata all’estremo. Gli slogan di una ribellione interiore contro la situazione socio-economica ed ambientale diventano filastrocche per bambini, per ripetere e liberare tutta quell’energia sopita, come un mantra indiavolato e catartico. Ultra mono è un pugno dritto allo stomaco delle vostre convinzioni, ha un suono valvolare incalzante che smuove coscienze senza grossi concetti intellettuali. Quando il punk ritorna più incazzato che mai, gli Idles riportano alla vita il morente Rock di questi ultimi anni con due ultime insufflazioni, fregandosene delle sospensioni in atto!
03. Dixie Blur – Jonathan Wilson
Quando tutto va storto, bisogna guardarsi indietro. Più precisamente bisogna riavvolgere il nastro e ritornare dove si è partiti, bisogna ritornare nei luoghi della nostra giovinezza, dove siamo nati. Il polistrumentista produttore Jonathan Wilson lascia la metropoli Los Angeles per ritornare con la mente ed il cuore alle sue radici southern nella sua nativa North Carolina. Ed ecco che nasce Dixie Blur, un disco denso di ricordi e nostalgia che affonda la sua cifra stilistica nel bluegrass, nel country e nell’Americana, tipici generi di quella terra.
02. Ultimate Success Today – Protomartyr
Una cosa importante del lockdown è stata l’influenza e l’urgenza di creatività che ha avuto sugli artisti. In particolare molti hanno avvertito prima quello che sarebbe da lì a poco venuto ad accadere, sentivano quello che la massa non stava percependo. Uno di questi è stato Joe Casey. Il leader dei Protomartyr, noto per un’attitudine al flusso di coscienza coniugata alla perfezione con il suo cantato tendente allo spoken word, ha scritto testi che mettono a fuoco questi tempi maledetti. Tra esistenzialismo e riferimenti filosofico-mitologici (vedi Bridge & Crown), il cantautore di Detroit dipana una serie di versi che sono saette perfette a squarciare i silenzi dei nostri cieli interiori senza nuvole e sogni. E’ uno Ian Curtis indiavolato che non implode, che proclama senza slogan, che con un suono alla Bowie di Black Star, ti sputa in faccia come sei diventato.
01. Fetch the Bolt Cutters – Fiona Apple
Capolavoro cantautorale di questo 2020, eclettico, sciamanico, percussivo, devoto al demone libero di un’ispirazione veramente nuova e violenta, smodata più che in passato. Fetch the Bolt Cutters è un classico ritrovato e Fiona Apple omaggia in esso la storia della musica, dal gospel all’avanguardia, dalle work songs alla tradizione delle folksinger. Tra dolcezza e rabbia, ironia e crudezza, un’opera che rifulge manierismi e fa splendere sontuosa la sua autrice nel cielo dell’art pop contemporaneo.