Arriva tra le nostre pagine una chiacchierata con l’autore del Libro David Lynch – Il tempo del viaggio e del sogno pubblicato per la NPE. La conoscenza e il sapere che irradia di luce e tenebra, l’intensità con cui il regista di Missoula ha vissuto la sua vita riempiono le pagine di questo saggio politicamente scorretto, sulfureo, ironico e toccante, dalla gioventù, irripetibile momento di slancio che plasma l’avvenire, allo stupore per ogni cosa che nutre l’anima.
Appena terminato il viaggio nella lettura di questo libro e con gli occhi caldi di immaginazione e vissuto, ho subito intercettato l’autore per l’urgenza di porgli domande incentrate sul sottile confine tra la musica ed il cinema di David Lynch, un legame su cui si è basata anche la scelta del nome del nostro sito LostHighways.it ben 13 anni fa.
La prima cosa che mi ha colpito del tuo libro è stata quell’icona di una musicassette nell’angolo alto di ogni capitolo con il suggerimento di un brano da ascoltare durante la lettura. L’ho trovata di una valenza immersiva e sinestetica di rara accuratezza. Questa scelta non è stata a caso per un libro che doveva muoversi nel mondo di David Lynch. Quanto è stato importante il ruolo della musica nel cinema di David Lynch e come è nata l’idea della proposta di un audio-suggerimento nella lettura?
Il ruolo della musica nelle opere di Lynch è fondamentale, non importante. Ogni sua inquadratura trasuda composizioni, siano esse di carattere industriale, modernissime o con echi anni ’50. Le canzoni e il tappeto sonoro che viene imbastito per ogni suo film è essenziale per immergersi sempre più nel profondo; una volta attivato il giusto sguardo/ascolto nella magia di quei mondi, ci si può rendere conto che le chiavi di lettura non sono poi così misteriose, folli, come spesso vengono descritte da critici o presunti tali tragicamente miopi a livello intellettuale; la loro colpa, fidatevi, è quella di ascoltare pochissima musica e di disprezzare ciò che non riescono a comprendere con i loro mezzi. L’audio-suggerimento invece viene direttamente dal mio processo di scrittura. Ogni cosa che ho scritto, che scrivo e che scriverò nasconde una scenografia sonora. In realtà tutto quello che faccio nella vita è accompagnato dalla musica, che ascolto tantissime ore al giorno per attivare la mia creatività, fino ad illuminarla e renderla tangibile, fisica. Alle volte per l’ispirazione posso ricorrere anche al silenzio, ma un tipo di silenzio pieno di suggestioni uditive, come lo si può vivere nel cuore di un bosco o su una montagna, accanto ad un camino impegnato nel comporre sinfonie crepitanti del fuoco o di fronte alle onde del mare che si infrangono nelle stagioni sbagliate. Tutto il viaggio con Lynch è stato scritto ascoltando musica e ho quindi deciso di non celare la mia fonte di creatività ma di regalarvela, sperando che possa servire a farvi immergere di più nell’atmosfera e a farvi conoscere, specie nei tempi culturalmente imbarazzanti che stiamo vivendo oggi, degli artisti di eccelsa qualità. Questa cosa della guida all’ascolto, sia essa saggio, racconto, romanzo o fumetto sarà una costante del mio stile, anche perché a memoria non penso sia mai stata fatta da altri, ma potrei sbagliarmi. Di una cosa però sono sicuro, non tutti vedono le connessioni tra Elvis e i Joy Division, tra i Nine Inch Nails e Angelo Badalamenti, tra Nick Cave And The Bad Seeds e Lou Reed, tra Mark Lanegan e Johnny Cash (questa forse è più facile), tra Morrissey e David Bowie, Peter Gabriel ed Einstürzende Neubauten, Bruce Springsteen e The Cure e una lista ancora piuttosto lunga che non credo sia il caso di somministrarvi in questo momento e in questo luogo.
Parliamo delle numerose citazioni ricercate e piazzate alla perfezione nelle recensioni dei vari capitoli della cinematografia dell’artista di Missoula. Si riescono a percepire le connessioni tra le varie attitudini di Lynch, dalla pittura (tutti sappiamo che nasce prima di tutto come pittore) alla musica, passando per la divulgazione della meditazione trascendentale. A tua scelta, seleziona alcune di quelle citazioni/suggestioni e prova a spiegare la connessione in quel contesto del capitolo/recensione.
Inizierei con la citazione di Cormac McCarthy all’inizio del capitolo 1: “Una volta nei torrenti di montagna c’erano i salmerini. Li potevi vedere fermi nell’acqua ambrata con la punta bianca delle pinne che ondeggiava piano nella corrente. Li prendevi in mano e odoravano di muschio. Erano lucenti e forti e si torcevano su se stessi” [Ogni singola parola di questa prima parte trasuda nostalgia per un passato che non sarà più, e per tutto quello che abbiamo perso di puro, semplice e ancestrale da cui eravamo circondati e che serviva da stimolo alla nostra creatività. Il contatto con la natura selvaggia ci rendeva più forti e ispirati. Rimanda inoltre al racconto sognante sulla pesca, ricco di metafore, che fa in “Twin Peaks” ad Audrey Horne (Sherilyn Fenn) il simpaticissimo Pete Martell (Jack Nance)]. “Sul dorso avevano dei disegni a vermicelli che erano mappe del mondo in divenire. Mappe e labirinti. Di una cosa che non si poteva rimettere a posto. Che non si poteva riaggiustare. Nelle forre dove vivevano ogni cosa era più antica dell’uomo, e vibrava di mistero.” [Questa seconda parte ha tutta la visione di Lynch, e la mia, ed è di una forza impressionante. Riuscite a immaginare parole più potenti e solenni di: “ogni cosa era più antica dell’uomo, e vibrava di mistero”? Degne di Lovecraft, Poe, McCarthy appunto, Lynch. E se penso che hanno regalato un Nobel alla letteratura a Bob Dylan e Cormac non ne ha mai vinti, beh… mi girano parecchio i coglioni!]. La seconda citazione è quella del capitolo 2, di Friedrich Hölderlin: “L’uomo è un Dio quando sogna, un mendicante quando pensa”. [Il poeta tedesco racconta quello che dovrebbe essere la vita di ognuno di noi, più spirituale, e si connette annullando il tempo al processo creativo di Lynch, al suo modo di essere, ed era la citazione perfetta per aprire al momento in cui lui prende consapevolezza di quella che sarà la sua strada e il suo futuro. Inoltre penso debba essere scritta a caratteri cubitali in cielo, per fungere da faro nel buio dei tempi in cui viviamo, dettati solo dal potere, dal denaro e dalla competizione, che hanno come fine ultimo la distruzione del più nobile dei sentimenti, trasformato sempre più spesso in un osceno ed egoistico esercizio fisico, con diverse modalità di pagamento]. La terza e ultima citazione è quella conclusiva ed è di W.B.Yeats: “Tutte le parole che raccolgo, tutte le parole che scrivo, devono aprire instancabili le ali, e non fermarsi mai nel loro volo. Fino a giungere là dove è il tuo triste, triste cuore, e cantare per te nella notte. Oltre il luogo ove muovono le acque, oscure di tempesta o lucenti di stelle”. [In queste parole penso sia celato il senso profondo del perché ho questo demone della scrittura dentro, dal quale non posso separarmi: la luce che vorrei portare nel mondo raccontando dell’oscurità più profonda].
Il capitolo digressivo “La quarta dimensione – Londra 1888″ gioca un ruolo importante nel viaggio. È quel tassello socio-politico-storico importante alla base del lato oscuro del cinema lynchiano, in particolare cerca di spiegare l’incubo nel sogno, da dove viene il male che costella la duplicità lynchiana dell’individuo, da dove parte la dimensione della loggia nera. Vorrei approfondire con te questa parte del libro?
Questo approfondimento è troppo complesso, ma magari potremmo pianificare un discorso specifico quando ti andrà. Per adesso, posso accennarti a due progetti che vedranno forse la luce in un tempo che qui e ora non riesco a quantificare, ai quali sto lavorando da anni e che sono strettamente collegati alla domanda che mi hai fatto e alla quale non ti ho risposto: un saggio fiume sul cinema e i serial killer, approfonditi e cacciati nei loro luoghi oscuri e per il quale intervisterò un vero killer seriale ora detenuto in carcere, e nella seconda stagione di una graphic novel della quale posso svelarti solo il titolo, in anteprima assoluta: “Carcosa: Londra 1888”.
Il tuo libro riesce nell’intento di condurti, per mano, capitolo dopo capitolo, lungo l’universo artistico concettuale di David Lynch. È un lungo viaggio “mantrico” in tutta la sua cinematografia e vita al fine di rintracciare e comporre tutti i pezzi del puzzle del famoso Episodio 8 della terza serie di Twin Peaks. a mio parere uno dei punti più alti dell’arte contemporanea, dove si riese a dare un equilibrio perfetto tra immagine e suono nelle infinite porte dell’Iperrealismo. Cosa pensi di quell’episodio come punto di approdo sintetico dell’arte lynchiana? Anche in quel episodio c’è un brano musciale che lo caraterizza “She’s gone away” dei NIN…
Cosa penso dell’episodio 8 è ampiamente descritto nel libro e rischierei di ripetermi, cosa che non amo fare. Posso però dirti che non c’era artista migliore di Trent Reznor (che ho anche conosciuto di persona in quel di Milano anni fa) per raccontare la genesi di orrore e oscurità in “Twin Peaks”. I Nine Inch Nails sono per me la band, dopo i Joy Division, più influente al mondo, e la loro musica, colonna sonora di film che non esistono o non sono stati ancora girati, è quanto di più vicino all’arte di Lynch possa esistere. L’episodio 8 distrugge e reinventa il cinema come i NIИ hanno fatto con la melodia e il suono. Il destino ha fatto sì che si incontrassero nell’opera cinematografica definitiva.
Ti chiedo di spogliare le vesti del recensore cinematografico e di vestire quello musicale. Almeno tre brevi recensioni (pillole) di artisti che si sono succeduti sul palco del Roadhouse in Twin Peaks 3?
1 – Nine Inch Nails: Trent Reznor, one man band, compositore eccelso, eclettico, oscuro e romantico, violento, perverso, dotato di una tecnica sopraffina e di uno stile… bleah. Ci riprovo. Nine Inch Nails: un viaggio in macchina con Poe, Lovecraft e Kafka sparato a tutta velocità lungo gli Stati Uniti. Spesso di notte, dall’America profonda e rurale alle grandi metropoli, dalle fabbriche agli immensi spazi aperti, con i tre celati nel buio o nascosti nelle proprie ombre alla luce del sole, voyeur di un’umanità senza scampo, colpevole, malata, folle, sessualmente ambigua. Osservatori romantici del disfacimento del genere umano.
2 – Eddie Vedder: Si presenta alla Roadhouse col suo vero nome e i vestiti stropicciati dal tempo. Al buio canta l’anima di Audrey Horne, canta il suo dolore e la sua pazzia, quella paura del futuro che scorre e della vita che se ne va senza averti regalato nulla, spezzata negli anni migliori. Edward e quella sua voce bella come le onde di Mavericks, California, sfoggiata nel posto più lontano nell’Universo dai paradisi dei surfisti, Twin Peaks.
3 – Julee Cruise: Cade sola nella notte buia, accompagnata dalle parole di David e dalle note di Angelo. Canta Twin Peaks, canta Laura Palmer, e scompare…
Nella discografia di David Lynch quale brano preferisci e perchè?
Non sono mai facili domande di questo tipo, quindi ti rispondo a bruciapelo: “Stone’s Gone Up” in Crazy Clown Time (2011). Perché il sound e il ritmo sono fantastici, sospesi tra Moby e tutti gli Anni ’80. E’ notturna e ispira a mettersi in viaggio. Mi vedo al volante su di un lungo mare all’ora del lupo mentre la brezza mi accarezza il braccio e il volto e la musica non smette mai di andare, così come il motore. Almeno finché non vengo raggiunto da una pattuglia di polizia costretta dal coprifuoco di questa assurda epoca a fare quello di cui non ne ha nessuna voglia. Aggiungici poi che qui la voce da papera sventrata di Lynch è meno evidente che in altri brani.
Alla luce del corso degli eventi di questo 2020, “Bob” è ancora presente tra noi?
Bob è stato sconfitto mi pare, e sono contento per lui, almeno gli abbiamo risparmiato questi mesi di totale idiozia. Anche se a ben pensarci non c’era epoca migliore per lanciare un nemico invisibile e colpire le masse più fragili psicologicamente che il genere umano abbia mai concepito.