Sipario. Sul palco Paolo Benvegnù, tra le mani una scatola di deliziose gemme acustiche. Delle inutili Premonizioni Vol.I, etichetta Black Candy Produzioni, fresca label fiorentina che a marzo 2021 ha dato alle stampe questo album registrato in diretta e senza sovra-incisioni in due giornate a cavallo della fine del 2020. Quasi un colpo di coda che si trasforma in carezza soffice al crepuscolo di un annus horribilis. Dodici tracce attinte in maniera asimmetrica dai sette lavori solisti del milanese Benvegnù e che prendono le mosse dal disco di esordio del 2004, lo splendido Piccoli fragilissimi film, biglietto da visita di quello che si sarebbe affermato e confermato, dopo aver cavalcato la florida scena indipendente di fine millennio scorso da frontman degli indimenticati Scisma, come uno dei cantautori italiani dalla scrittura più seria e delicata che possiamo vantare. La consueta asciuttezza, senza fronzoli e l’indiscutibile sensibilità di testi capaci di generare vortici proprio al centro dello stomaco e rendere la pelle un tappeto elettrico attraversato da intermittenze emozionali. Benvegnù su questo palco indossa abiti aderenti, molto aderenti e che mettono in evidenza, disegnandone i contorni, arterie e ventricoli che pompano poesia. Dipingendo ancora una volta i sentimenti delle cose che “chiamandoci ci sveleranno tutto e ci re-insegneranno LO STUPORE”. Missione compiuta. L’incipit è In Dissolvenza, tratto dall’album Dissolution del 2010, istantanea sfuocata scattata al momento dei saluti, dal ritornello che sfocia in un loop finale distonico dove tutto perde definizione. Io ho visto, da Hermann del 2011, primo lavoro della trilogia dell’H che vedrà completamento con i successivi Earth Hotel e H3+, traccia atmosfere pasoliniane, tra elenchi di cose di cui gli occhi avrebbero fatto volentieri a meno, a cui rispondere soltanto pulsando sangue “pazzo d’amore”, mentre il sole si piega al buio e gli animali restano in branco “fiutando il cielo più sereno”. Arriva Il mio nemico, estratto da Le Labbra del 2008, ritratto che trasuda di concitazione e fuga e da cui difendersi mostrandosi disarmati completamente, come il più feroce dei criminali o il più santo dei santi, quasi che il reale antagonista sia quello che compare nell’immagine riflessa dalla mediocrità del gioco degli specchi. Dal disco di esordio piomba leggera come una piuma Il sentimento delle cose, con la sua purissima e faticosissima ricerca del compimento del desiderio, permeata dell’incapacità di amare “neanche il pane che mangiamo”, mentre siamo avidamente tesi a moltiplicare tutto. La musica ed il suo potere evocativo che tutto scuote e frantuma. La carrucola che affonda nella profondità del pozzo dei ricordi. Ad occhi chiusi mi involo ancora più leggero tra le pieghe di una vita fa, tra le valli dell’Appennino Emiliano, luglio 2004, Tora Tora Festival. Gli Scisma avevano da poco chiuso la porta, la sua giacca di lino color ocra ed i capelli che iniziavano a vedere l’alternanza dall’argento all’ossigeno, fotogrammi a pavimentare la via che iniziava. Eravamo giovani. Ed ora siamo qui a raccontarlo. La principessa Andromeda Maria ed il suo cavaliere diventano entità inscindibilmente collegate, condannate, nonostante i segni della innegabile diversità, a cercarsi all’infinito, ad inseguirsi e sfiorarsi “come i fiori che baciano gli alberi”. Ed è il finale, è la sintesi perfetta dell’armonia assoluta. Nelle stelle è l’unica incursione negli anni 20, sfilata dall’album Dell’odio dell’innocenza, dialogo nell’iperspazio dove non si salva nessuno e non c’è niente da salvare, e che in questa versione fa a meno della voce di Orelle, presente nell’originale. Dallo spazio siderale a Nello spazio profondo, con un salto all’Earth Hotel, un buco nero nel quale precipitare, un ambiente innaturale e fuori posto, come “De Chirico in un centro commerciale”. Le parole usate come pietre ambiziose, capaci di fluire ed al contempo divenire struttura che resiste al tempo. In sequenza, i brividi arrivano rapidi sulla schiena, concentrici proprio come Cerchi nell’acqua. Gli occhi, discretamente cullati da un arpeggio commovente, avviano processi umidificanti ed incontrollati. Nessun imbarazzo, queste sono vette di poesia ipersensibile. Salvifica meraviglia acustica che fa gridare ogni volta al capolavoro. Avanzate, ascoltate mi mette comodo, le spalle appoggiate ad un muro del Circolo degli Artisti nella Eterna, AD 2011. Immagini di eserciti di terracotta e sensazioni buone che marciando rispondono all’esortazione al movimento del titolo. Per sentirsi meno soli nel guardare l’orizzonte, per smettere di illudersi di apprendere la verità dagli uomini. La verità è che c’è ancora bisogno, ora forse più che mai, delle stelle per tornare a navigare. La discesa da queste Premonizioni si inarca sulle note de La schiena (2008, Le Labbra), con un moto quasi circolare a raffigurare l’assillo del controllo che diviene ossessione, il possesso del respiro altrui che degenera in claustrofobie sentimentali, accerchiamenti relazionali. In un momento storico in cui anche lo sfiorarsi pone seri dubbi di coscienza, arriva uno degli episodi più toccanti, una Olovisione in Parte terza, che ci rammenta, qualora i tempi ce ne avessero impolverato il ricordo, “che quando riusciremo a toccarci saranno i demoni dell’amore a ritrovarci”. Per allora avremo forse ripreso a sorridere del passato e della timidezza e ricominciato “ad assaporare l’ineguagliabile bellezza della Giovinezza”. Chiusura del disco lasciata ad una versione di Sempiterni sguardi e primati ancora più sincera, quasi un negativo fotografico di quella edita. Benvegnù sussurra che forse vale la pena “non avere niente per poter credere a tutto” e sperare che le stelle a volte volino tra gli uomini. L’innocenza del restare in silenzio a guardarsi gli occhi, a cercarsi nell’iride le immagini che alle volte smettiamo di inseguire, convinti di aver trovato già le risposte. Se è vero che si scrive sempre per un pubblico, che sia l’altro o il se stesso di un tempo successivo, non c’è da dubitare che il Benvegnù 2021 abbia molto, moltissimo da ammirare di quello scapigliato milanese affacciatosi sulla scena oltre vent’anni fa e capace di dare inchiostro ad immagini che ancora oggi si insediano orgogliose, senza alcun timore reverenziale, nel firmamento (in questi ultimi anni non sempre degnamente popolato a dire il vero) del cantautorato di qualità. Il fatto che si annunci come un Volume I attenua la sensazione di incompiuto che si materializza al pensare che forse ci sarebbe stato ancora spazio per un bel po’ di quadretti su questa parete di INUTILI PREMONIZIONI.
Credits
Label: Black Candy Produzioni – 2021
Line-up: Paolo Benvegnù (Voce, Chitarre) – Luca Baldini (Basso) – Gabriele Berioli (Chitarre) – Daniele Berioli (Batteria) – Saverio Zacchei (Trombone)
Tracklist:
- In dissolvenza
- Io ho visto
- Il nemico
- Il sentimento delle cose
- Andromeda Maria
- Nelle stelle
- Nello spazio profondo
- Cerchi nell’acqua
- Avanzate ascoltate
- La schiena
- Olovisione in parte terza
- Sempiterni sguardi e primati
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