Sarà che dopo quasi due anni di paure, chiusure, decreti e musica negata, con in mezzo un album (31Salvitutti) cui non ha potuto seguire il naturale tour di promozione, il desiderio di dare libero sfogo all’estro creativo è ormai incontenibile e straripante, ed ecco che Flo si presenta sul palco del Teatro Bolivar stravolgendo piacevolmente gli arrangiamenti del suo repertorio, più o meno recente, con una carica vitale trascinante, mai aggressiva né debordante, che giunge sempre a centrare l’obbiettivo. Che poi è quello di dar voce a un sentimento profondo, di gioia e di affetto come di malinconia e rammarico, con un ventaglio ampio di soluzioni vocali tecnicamente impeccabili e passionalmente comunicative. Come quando si lancia nel muto vocalizzo che evoca la storia di Ilde terracciano, madre bambina napoletana, la cui storia si collega in scaletta e idealmente al progetto Brave ragazze, in uscita a gennaio, di cui si esegue la sognante Furtunata, pubblicata come singolo quest’estate, che trova la sua intonazione più intima e amorevole nel cambio di tempo di un refrain che ha il ritmo di un pianto singhiozzante. La splendida Accussì risale direttamente dai vicoli della sanità, a pochi passi dal teatro Bolivar, di cui va sottolineata la qualità del suono, perfettamente bilanciato; appena accelerata rispetto all’album, con ritmo pulsante che modernizza una storia antica riverberata tra le viscere buie di questa città. Ed è ancora il ritmo a prendere il sopravvento in L’uomo normale: del resto, una componente fondamentale del sound del quartetto è data proprio dal drumming percussivo di Michele Maione, compagno musicale prediletto di Flo, che preferisce sottili diteggiature a colpi brutali, le spazzole alle bacchette, mantenendo al contempo una carica tumultuosa e inarrestabile, come nella tradizione aggiornata di Malemaritate. È a lui che Flo volge più spesso lo sguardo in cerca di uno spunto per un guizzo improvviso, è con lui che la cantante dialoga in arditi fraseggi dispari all’unisono, autentici scioglilingua che conta sulle dita della mano libera dal microfono. Gli fa da contraltare Davide Costagliola, sempre compassato e affidabile; con sorriso sornione e un cenno del capo chiama gli stacchi e i cambi di passo, rivelandosi silenzioso pilastro musicale del quartetto, anche quando alterna un elettrico Fender Jazz, a cui ha smontato il battipenna, con un morbido basso acustico, il vintage Artcore Ibanez. Completa il quartetto il chitarrista Federico Luongo, visto lo scorso anno in duetto con Flo in una dinamica versione di Scalinatella, che si approccia con molto rispetto e premura ai brani, ma appena può sì cimenta in veloci staffilate jazz manouche, come nella travolgente versione di Para que tu me oigas, imbracciando una classica Multiac, la stessa utilizzata da Marcello Giannini sul palco del San Ferdinando, ed è la stessa suonata da un ospite speciale a fine serata: chissà se si tratta di un perfetto accordo tra i tre chitarristi o di una indicazione della stessa Flo, che forse sente il timbro di questo strumento particolarmente vicino alla propria visione musicale. Proprio al centro della serata la cantante guadagna la ribalta per un set a due col virtuoso della fisarmonica Carmine Ioanna, con cui si lancia in un repertorio sudamericano di ritmi a rotta di collo, scale vertiginose e timbri teatrali d’altri tempi. Ed è giusto che la tensione di tale sfoggio di tecnica sì chiuda con la dolorosa e amara passione di un classico della canzone napoletana, Scetate, riletta con audacia e rispetto in un crescendo impetuoso. Ma la ricerca sulla tradizione scava ancora più a fondo, fino ad archetipi ancestrali, di una cultura orale quasi primordiale nelle sue forme elementari e istintive, messa in scena in duetto serrato tra la voce di Flo, che ripercorre la storia dei pescatori che invocano Sant’Antonio per catturare il pesce spada, con un occhio a Modugno e uno alle lavandaie del Vomero, e le percussioni variopinte di Maione, che si produce anche in una spiazzante seconda voce. Il ritorno della band sul palco per i bis rituali riserva una gradita sorpresa, complice forse il progetto Passione live che quest’estate ha portato sul palco del Campania teatro festival (e in questi giorni in replica addirittura a Dubai) un dream team di voci partenopee, da James Senese a Dario Sansone, da Raiz a Simona Boo e alla stessa Flo, accompagnate da una band di tutto rispetto con la direzione musicale di Ernesto Nobili. È comunque inatteso l’annuncio dell’imminente arrivo sul palco proprio di Nobili, mentre Flo lo presenta commossa come autore della sua canzone migliore Ad ogni femmina un marito, ed è davvero da lacrime ardenti la versione che ne danno, così drammatica, così passionale, densa, e così piacevolmente leggera e confortante come solo la gioia di ritrovarsi può essere. Per questo il concerto non può che chiudersi stravolgendo A festa di Milton Nascimento, in medley burrascoso con la sua Maria, Maria, celebrando allegramente la musica che si ritrova e si ricongiunge finalmente col pubblico. Finalmente.
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