L’avventura di LostHighways.it è iniziata quasi in parallelo a quella del progetto JoyCut, quando fu pubblicato il loro primo album The Very Strange Tale of Mr.Man. Da quel momento c’è stata un’intesa silenziosa di comune sentire la musica come unica forza capace di veicolare “alti messaggi” di rispetto verso il nostro pianeta. Inoltre ci ha sempre contraddistinto un modo diverso di essere nel sistema musica, fuori da ogni compromesso, perfettamente dritti con la schiena nel modo di proporre le nostre idee fuori dal coro. Ecco perchè questa intervista con il leader dei JoyCut è un fiume intimo senza argini che se ne frega dei vincoli della lettura veloce della rete. Questa è una pagina pienamente coerente con l’approccio del webmagazine più “scorretto” di tutti, dove le recensioni escono senza un piano editoriale e sono lunghe o corte in base all’attitudine del Lost Writer di turno, dove le interviste come queste vogliono arrichire e far riflettere il lettore, perché devono lasciare una traccia. Insieme siamo analogici nel mondo digitale, ci prendiamo il meglio dai due mondi. Se il quarto album TheBlueWave dei JoyCut ti commuove, ti fa gioire, ti elettrifica, ti silenzia, ti sorprende, ti dà una possibilità di salvezza, questa intervista spiega le dinamiche segrete della grande anima umana e artistica che lo ha partorito. Restiamo umani! Restate umani con noi! Fatevi travolgere dall’Onda Blu! Buona lettura! Buon viaggio!
Iniziamo dal titolo-Haiku di questo vostro ultimo lavoro: [TimesWhenSilenceIsAPoem – TheIceHasMelted – AndBleedingGlaciersFormOurTears]. Approfondiamo questo concetto della “resa” alla lentezza dei processi naturali, del riappropriarsi dell’essere parte di questa natura nel senso più panteistico del termine, del farsi travolgere dall’onda Blu…
Un titolo lungo per infastidire_I pigri, i giornalisti, i centometristi degli ascolti_Gli algoritmi delle piattaforme digitali_I lettori delle auto incapaci di leggerlo nella sua interezza_Una piccola fuga dalla morsa del modello autoritario_Una silenziosa riconquista di libertà_TheBluWave è un varco_Uno scrigno selvatico_Una teca all’interno della quale è custodito un pezzettino organico di natura incontaminata_Un ritorno, per noi analogici, alla cura di sé_Il resto è una declinazione plurale sotto forma di imperfezione, un Haiku contemporaneo_Perché si restituisca all’umano la qualità del pensiero, l’esercizio della riflessione, l’apertura alla complessità_Una lente per osservare la transitorietà della realtà da cui siamo stregati_Per allertare i dormienti sullo stato precipitante al quale siamo destinati_Non sono solo i ghiacciai a sanguinare_
TheBluWave_TimesWhenSilenceIsAPoem_TheIceHasMelted_AndBleedingGlaciersFormOurTears_È un album pubblicato di domenica_Nella giornata Mondiale dell’Ambiente_Giornata che si celebra dal 1974 al grido di OnlyOneEarth_Giornata ingannata, abiurata, raggirata da 48 anni_Certe pratiche e certi convincimenti vanno oramai sostenuti radicalmente_La delicatezza d’essere umani non può cedere ad alcun mercimonio_La precondizione per l’esistenza non può essere tradita_Ho la sensazione che la sfera del “sentire” sia stata definitivamente violata_Come se, impegnati a distrarci ossessivamente dalla realtà, ci fossimo dimenticati di esistere_I decenni si rincorrono e le vicende terrene concorrono ad auto-ottenebrarsi, l’analisi degli effetti delle nostre azioni va sempre prorogandosi, sotto-scacco di una continua falsificazione delle priorità_Eppure, nonostante questo residuo temporale sia evidente, attorno osservo una accelerazione indomita verso l’inutile, quasi ad esorcizzare l’oggettività, una sempre più fervida ricerca di scorciatoie, un bisogno incrollabile di trasformazione della percezione comune, aggiornamento dopo aggiornamento_Si procede per definizioni utilitaristiche rinnovate ad ogni occasione, di giudizi infallibili, di moralismi degradanti, a partire dalla vigliacca semplificazione cui il dibattito socio-politico è ridotto, in rifiuto di ogni dialettica possibile, fino al sopruso avvilente di libertà [che dovrebbero essere] altrimenti inalienabili_
Alla luce di uno scenario così scoraggiante l’auspicio è che una forza sovrasensibile sopraggiunga, che un’onda di coscienza svesta la spiaggia dalle sue scorie, come uno squarcio di metafisica sul metaverso_Siamo in piena emergenza ed ho timore che il superamento dell’identità culturale dei nostri antichissimi padri, a vantaggio della versione solubile del contemporaneo, sia oramai un passaggio compiuto_E non lo dico per rigenerare la consueta noiosa disputa fra antichi e moderni – sarebbe sciocco non adeguarsi a certi corsi necessari- non lo dico con nostalgia_La mia paura è che si sia già verificata una sostituzione “artificiale” del pensiero critico, che dietro i più piccoli elementi dotati di significato in una parola, pur mantenendo intatto suono e forma, si nascondano riduzionismi fuorvianti_Come se usando esplicitamente l’espressione “transizione ecologica” si voglia invece riferirsi ad una “intensificazione radicale dei processi di digitalizzazione”_
Ecco, credo, siamo giunti ad una sovrapposizione narrativa così aderente e dissolta che concetti distinti [per esempio reale e virtuale], cognitivamente, si avvicinano così tanto, da produrre le stesse intuizioni; al punto che i processi neurali stimolati dalla luce del sole, la proiezione e la profondità multidimensionale della visione naturale svaniscano e si sviliscano nella compressione di una luce artificiale_
Mi preoccupo che un fiocco di neve o un albero vengano clonati così tante volte dallo sguardo, attraverso la serialità di immagini piatte, da non sentirne più la presenza organica, non percepirne più l’essenza, in una dimensione di biodiversità perduta_In questo senso -personalmente- e certamente per vecchiezza, inadeguatezza, sopravvivenza, disperazione, mi sono arreso alla gravità_ Una diserzione dalla contemplazione dell’orrore, in cerca di tempi nuovi, dove il silenzio abiti ancora, si restituisca, si faccia poesia_
Siamo agli sgoccioli di un vecchio mondo, i portali si sono aperti, sospendere il giudizio sulle cose non è più utile, è necessaria una determinazione inedita, una tensione attiva, un risveglio che passi dall’introversione, una riflessione seriosa, lucida, anche brutale, su una realtà in disfacimento_
Crediamo che questo lavoro possa significativamente offrire un distacco funzionale dall’efferatezza macabra del vuoto, raccontando la mostruosità del male, sbattendolo in prima pagina, zoomando fin dentro la pancia della balena_Abbiamo tutti bisogno di meravigliarci, di tuffarci nell’estasi dell’istante, di immergerci nel nostro BLU_In un tempo dove troppi amano solo stupirsi, restare stupiti, instupiditi, passivi dinanzi agli svilimenti, meravigliarsi è ancora l’esperienza più significativa dell’umano, una dinamicità attiva che accompagna fuori dall’ordinario, invita alla “scoperta” di realtà nascoste, offre di interpretare i segni del mondo_
Il BLU è un colore che ha dovuto lottare per emanciparsi, un tratto figurativo esemplare che ha dovuto trovare spazio, non senza difficoltà, per essere considerato alla stregua degli altri_Nel suo libro “Blu. Storia di un colore” Michel Pastoureau documenta la lenta ma progressiva inversione di tendenza che lo riguarda_Oggi è uno dei colori preferiti dalla maggior parte delle persone, ha guadagnato un significativo “rovesciamento”, assurge ad un potentissimo valore simbolico, artistico e letterario_Eppure a partire dal Neolitico, passando per gli antichi Greci e Romani, non è mai stato così: il BLU ha sempre avuto una connotazione fortemente negativa_Oggi, il BLU è da considerarsi un determinismo sociale in piena regola, con le sue alterne fortune rappresenta il ritratto in continuo divenire di una società, quella umana, costantemente impegnata a fissare e ridefinire la propria scala di valori_BLU è il nostro pianeta, la declinazione per la malinconia, la poetica dell’abisso, la salvezza negli astri_È un’onda che sveste la spiaggia, una metafora per raccontare quanto il riconoscimento della tenerezza sia necessario per carezzare dolcemente il disastro nel quale ci troviamo_
Dal punto di vista della ricerca sonora TheBluWave è il punto di approdo delle strade intraprese negli album precedenti GhostTreesWhereToDisappear e PiecesOfUsWereLeftOnTheGround. Quali sono state le principali soluzioni soniche di questo lavoro rispetto ai precedenti album? Certi suoni sono stati scelti per evocare, per interpretare il mood dello struggimento del blu nel nero, della natura dilaniata…
TheBluWave è certamente il compimento di un percorso di ricerca cominciato agli esordi, di una emancipazione dal colonialismo derivativo dell’adolescenza_Dare voce, attraverso il suono, alla natura vilipesa… è sempre stata la nostra cifra espressiva_
Questo tempo, quello che stiamo vivendo, spezzato, dilatato, esteso, disorientato, ha dato sfogo ad una disperazione indomabile, segnata da intermittenze furiose e fughe sfrenate_Più volte, nel corso della gestazione del lavoro, ho creduto di non riuscire a porvi fine_La solitudine mi ha rapito, l’isolamento estraniato, e, se da un lato questa dimensione mi ha permesso di operare scelte preziosissime, senza orologio, dall’altro mi ha allontanato dal senso della misura al punto da marchiare ogni passaggio con severità eccessiva_Con questo lavoro distruggiamo definitamente un sistema che è stato a lungo funzionale_La preferenza di soluzioni meno ritmiche, se si pensa all’uso che in JOYCUT solitamente si fa delle due batterie, è frutto consapevole di una esigenza narrativa molto precisa, assoluta: voler restituire alle pulsazioni abissali un ruolo esclusivo, così che quando i passaggi e gli intrecci battenti si presentano, siano ancora più potenti, magnificati, quasi a rompere l’incedere perpetuo della realtà, intervenendo improvvisi a squarciare la tela_Il resto è un tuffo nell’analogico, rispolverando sintetizzatori, preparando il pianoforte, aprendosi all’uso frequente del corno, della tromba, delle chitarre, dei tamburi africani e giapponesi_Il tutto portato alla saturazione, ad un passo dall’esasperazione passatista, prima che le proporzioni cedano, perché il suono assuma una consistenza eterna_Una provocazione contro gli anabolizzanti inacerbiti di certe produzioni odierne_Lavorare sulla propria materia, immersi nel proprio elemento, può essere del tutto destabilizzante_Eppure questa volta sentivamo il bisogno di elaborare una sonorità testamentaria, destinata a perdurare, frutto esclusivo del nostro sguardo_
È stato un vero sforzo, arduo, fisico e mentale_Oramai ci percepiamo come Eternauti, a margine del sistema, in cerca di pace… sapevamo che nessun altro avrebbe potuto aiutarci a trovarla_
Il nostro suono è una vera ossessione, è difficile metterlo nelle mani di collaboratori esterni, lo riconosci solo se escludi tutto ciò che è armonico o melodico, lo trovi quando accetti il corredo del tutt’intorno, è lì che abitiamo noi, è lì che desideriamo giacere_Ecco, probabilmente il vero punto di distacco dagli altri lavori va ritrovato qui, da riconoscersi nella produzione intensamente solitaria, nei tempi lunari, nell’aver affrontato tutte le procedure in piena autonomia, coraggiosamente, dalle riprese ai missaggi, disfacendoli più volte, non ascoltando alcuna urgenza, seguendo solo la voce del proprio spiritello, fino a superare il tremore di sgualcire il quadro, osando distruggere e sporcare, e poi, accogliendo, finalmente, la pace nell’ascolto_
Ci sono stati momenti di sconforto e desolazione_Decisivi_È lì che abbiamo ricevuto l’incoraggiamento di due giganti, Paul Corkett e Mauro Malavasi_Un loro “cenno” ci ha rimessi in orbita, la loro dedizione appassionata, le parole spese, la semplice corrispondenza, la vicinanza, hanno contribuito al distacco definitivo da certe futili apprensioni tecniche, permettendoci di confidare totalmente nei nostri mezzi_Questo pezzo di esperienza è fra le emozioni che porto con me e sento ancora di ringraziarli per questo_Ciononostante, alla fin fine, questo resta un lavoro condiviso, al quale partecipano creature eccezionali come Vince Pastano, Julian Ziklus, Leo Roche, Benoit Perret, Rodrigo D’Erasmo, Come Ordas, Antonello Mauro_
Possiamo dire che il concept che c’è dietro TheBluWave è l’inseguimento della sinestesia artistica totale ovvero l’opposta direzione della musica fluida usa e getta di questi anni social. Penso anche al singolo NOVEMBRE13_ e ai due splendidi video di Megan Mylan, estratti dal film Taller Than The Trees e/o all’anteprima esclusiva dell’album al MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna con una installazione multi-percettiva.
Io e Gael siamo individui affascinati dall’amore, da quell’esclusività imperitura_Io ancora mi commuovo all’idea di vivere questa esistenza accanto ad enti del mio stesso tempo, in un accadimento inspiegabile, all’interno delle cui vicende siamo tutti stati gettati senza alcuna volontà_La musica, nel nostro caso, ha sempre rappresentato un identificazionismo, un riconoscimento a distanza, un uso distintivo dei segni, del look, del linguaggio, di tagli sottaciuti lasciati sul corpo per disvelarsi, una scelta, un attivismo, una promessa di sovversione contro lo status quo dominante_Una salvezza adolescenziale_Un approdo ove lasciar cadere il peso dell’inidoneità_Un modo per individuare simili fra gli sconosciuti, un punto di incontro, un luogo di citazione, una demarcazione netta_C’è qualcuno lì fuori che si senta come mi sento io?
Oggi però la musica, intesa come habitus sociale, assume una funzione inedita_È come se fosse lei, in qualche modo, a tagliarci fuori, a disinteressarsi di noi_E noi, ricambiamo il favore_Non abbiamo più tempo, siamo troppo fragili per combattere i sistemi di controllo, i modelli generativi delle informazioni_Siamo così estranei ai “social” che la campagna di promozione dell’Album è avvenuta fuori, nel mondo reale, riconquistando gli spazi urbani di un tempo_Alla fine cimentarci con il suono è il nostro vero tormento, servirlo stoicamente è la nostra pratica, ed il prologo creativo, nonostante i tempi, le mode ed i mercati, ci conduce sempre lì, a svolgerlo perché sia libero_Siamo destinati a restare nell’ombra ed è proprio questa criticità a permetterci la totale libertà di cui disponiamo_Finiremmo altrimenti per perdere tutto solo per la velleità di poter aver accesso ad una infinitesima parte_Pertanto ci allontaniamo dai linguaggi che non possiamo sostenere e sopportare_Radicalizziamo la cultura del nostro sentire, per divenirne custodi, per difendere i “luoghi” dai quali proveniamo, tenendo ferma la coerenza, senza falsificare i fini per cui osiamo esprimerci, proprio oggi che, dopo vent’anni, possiamo considerarci dei sopravvissuti, dei vettori originari_
L’usa e getta c’è sempre stato… probabilmente mai in questa feroce versione “monouso”_Questo tempo dispotico divora tutto troppo velocemente, costringe a produrre continuativamente, è bulimico, esige sempre il “nuovo”, dove per nuovo si intende l’adesso, l’appena, l’immediato, finanche l’imminente_Ma ad occupare ulteriori considerazioni apprensive c’è l’omologazione al funzionale_Un’uniformazione dalla forma impeccabile, un livellamento senza alcuna pretesa, se non quella di essere “presenti” all’istante, stigmatizzando i sensazionalismi, con l’ausilio dell’immagine, delle produzioni maestose, schiacciate, compresse nell’ossessione del volume e della comparazione; conformità queste destinate a compenetrarsi senza alcuna ragion d’essere_
Eppure, seppure questi costrutti abbiano sempre fatto parte di un certo modo di orientare l’arte e la musica verso l’alto gradimento, oggi viene da chiedersi cosa si intenda davvero per successo, laddove si sta ampliando spregiudicatamente la spaccatura fra seguito reale attivo e consumo funzionale passivo, sovente senza alcuna identificazione fra fonte e suo fruitore_
Certamente viaggiamo su un crinale delicato, ed al di là delle frontiere del momento, supportate dalla consonanza mercificata di approvazioni costituite, insinuate su più piani mediatici, siamo giunti al punto più critico, in cui, la musica, finché prerogativa umana [auto-tune incluso] va strenuamente protetta_Ora che i computer indovinano nuove composizioni, ora che il Sony Computer Science Laboratory, attraverso Flow Machine produce hit istantanee, realizza infinite possibilità di generi, testi e melodie, essere così lontani da tutta questa avvilenza, da tutta questa umiliante disintegrazione, è un vanto senza fine_
Che la musica fosse fluida, vittima dei consensi e non creatrice di assensi, sotto scacco dei numeri e non generatrice di seguiti, serva del mercato e non pungolo per le coscienze, poco importa… la catastrofe è che sia divenuta vaporosa, consunta, consumata, masticata, sputata via e dimenticata_Non dispensabile, sostituibile, ricreabile artificiosamente, perché il ciclo si ripeta infinitamente_
La forza del suono, la meraviglia di una creazione, l’essenza di una canzone, vivono l’apice nel “riascolto perpetuo”, inestinguibile, fino a divenire ricordo, memoria, vissuto biografico, esistenza reale, come per pinocchio diventare un bambino vero_È questa la vita che abbiamo deciso di onorare, è questa la morte che abbiamo scelto di affrontare_Il nostro mondo afferisce a questi sentimenti, evoca queste dimensioni, assurge a questa mozione d’animo_Capisco che oggigiorno queste possano apparire come velleità pretenziose, filosofemi grevi, linguaggi esasperanti, eloquenze consolatorie, eppure le persone sono persone, ed è alle persone che dedichiamo i nostri sforzi, il nostro lavoro, ed è a quelle stesse persone che chiediamo di leggere i segni nascosti, di investire il proprio tempo senza riavvolgere il nastro a piacimento, di lasciarsi travolgere dall’esperienza del racconto“Ascoltare davvero” è divenuto un impegno fin troppo gravoso, come se dedicarsi non fosse esperienza stessa, come se non donasse sempre una opportunità di crescita e di ripensamento_
Sembra quasi che per affacciarsi su tracce come NOVEMBRE13 o BLUTOKYO si debba sostenere un esame di estetica, per via delle immagini madide di cinematografia, di narrazione tenera, con una dedizione alla poetica dell’abbandono, con riferimenti a ricadute sociali pressanti_Invece no, invece è soltanto musica, è soltanto un piccolo iceberg miniaturizzato, un albero, un tramonto, un pianto, un tuffo nell’eternità_E dentro questi cristalli ci sono le storie dell’umano che si racconta_Si racconta per non essere dimenticato_
Taller Than The Trees è la storia di Masami Hayata, un uomo di Tokyo che faticosamente e delicatamente bilancia i suoi ruoli di dirigente pubblicitario, padre, marito, figlio devoto e badante della propria anziana madre malata_La sua vicenda straordinaria invita a riflettere sulla “cultura giapponese contemporanea”, attraverso una nuova lente di indagine, in opposizione alla tradizione nipponica [che vede i maschi poco coinvolti con la figura del caregiver] ed ai falsi ed incipienti doveri capitalistici che rivendicano nel lavoro, nel successo, nel risultato a tutti i costi, l’unica ragione dell’essere, riservando -talvolta- al solo ruolo femminile la sfera dell’educazione, della cura e dell’assistenza_Masami, si fa in quattro, ogni giorno della sua vita, per seguire con premura e riguardo la sua anziana madre, soddisfacendo le aspettative di assistenza familiare che sono profondamente radicate nell’idea confuciana di pietà filiale: “oya koko” = la devozione ed il rispetto eterno per i genitori_All’occorrenza si occupa del proprio figlio di sei anni, permettendo alla moglie -assistente di volo che per brevi periodi lavora lontano da casa- di emanciparsi, seguitando a perseguire senza rinunciarvi, gli impegni professionali_Il Giappone ha la popolazione più anziana del mondo, con un’elevata aspettativa di vita ed un basso tasso di natalità_
Professionalmente è un paese di uomini_Le donne, ad un certo punto, lasciano il lavoro, come prassi naturale, per prendersi cura degli anziani_Il futuro dell’invecchiamento, in Giappone e non solo, è legato all’intersezione di genere_Questa dimensione di realtà è sempre più in conflitto con le esigenze della vita moderna_I vulnerabili diventano un peso_Eppure la perseveranza e l’amore di Masami, perché sua madre riceva grazia e dignità nei suoi ultimi anni, si elevano a pratiche etiche e sociali universalmente rilevanti_Il discusso documentario, girato dalla regista americana Megan Mylan e tratto dalla vera storia di Masami Hayata, è stato adottato dal New York Times, celebrato al Tribeca Film Festival 2017 e pluripremiato nelle rassegne cinematografiche di tutto il mondo_
La narrazione per immagini di NOVEMBRE13 traccia un solco di rara sensibilità, evocando lo spirito dell’altezza, della longevità, della lentezza, della fragilità, del silenzio, del distacco etereo dal sostrato caduco delle vicende terrene_Temi dei quali l’intero lavoro TheBluWave è intriso ed ai quali è dedicato, e che, nello specifico, in questa duplice versione video vengono offerti come ennesimo spunto di riflessione critica_
Per il resto, che ognuno -anche in musica- faccia quel che deve_Noi non abbiamo certo il timore di risultare obliqui_
A proposito di sinestesia, come è nata la collaborazione per il video BLUTOKYO_ con il regista sud-coreano Daniel Kang? Trovo il video magnifico…
Grazie! Anch’io trovo il video magnifico_
Questa tela di Kang è in influenza reciproca con il suono, una contiguità rara, una prova meravigliosa di compenetrazione fra linguaggi_L’esigenza di coniugare aspetti della sensibilità che spesso sono ridotti a categorie distinte_Daniel è riuscito a “mostrare agli occhi”, a mettere davanti allo sguardo l’intensità profonda di un sentire solipsistico che spesso resta isolato nel fluido oscuro delle riflessioni intime_Un tentativo di evasione da una realtà edificata sui pilastri del pensiero interiore_Un modo per “immaginarla”, proiettarla intuitivamente, senza doverla descrivere_
Daniel è un artista a tutto tondo, ancora molto giovane se si considera quanta esperienza abbia già maturato: è regista, ricercatore di istanti, attore, pianista_
In una delle ultime riflessioni pubbliche abbiamo voluto descrivere con pazienza la sua singolare attenzione all’uso della camera, proprio in riferimento a BLUTOKYO, confidando nell’empatia e nella comprensione del lettore, chiamato a gestire una serie di informazioni forse irrilevanti per la libera fruizione del video ma del tutto significative per chi manifesta un certo interesse tecnico/
poietico_
“La grammatura delle pellicole viene esasperata fino alla massima saturazione_Il risultato è un mix unico fra pixellatura e grana fotografica_Una forma di distorsione che si dissolve nella liquidità dinamica delle tele di Monet_Il dinamismo funesto e gli improvvisi movimenti di camera conducono lo sguardo ad uno spaesamento cognitivo, invitando a centrare l’emotività dei colori nell’esasperazione dei toni, fra sovrapposizioni di piani, sfocature, blurring, trasparenze ed inquadrature materiche_Il quadro narrativo evoca il ciclo vitale del BLU, dolce sfumatura eterea, presente nel respiro di ogni giornata naturale, che carezza, attraverso la luce e le sue rifrazioni, l’immaginario della sensibilità umana, immersa, a sua insaputa, nell’orizzonte cosmico di questo colore_La metropoli, il viaggio paesaggistico e rurale in contrasto, si fissano nei fotogrammi spontanei di riflessi altrimenti nascosti_Le fronde stroboscopiche di alberi rigogliosi riverberate sui vetri dei grattacieli di TOKYO, divengono tele ibride, senza cedere il passo alla freddezza digitalizzata, mantengono tutta la tenerezza estetica dell’esistenza”_
Era il 2015, stavamo cercando, intuitivamente, delle affinità per immagini inserendo parole chiave nella ricerca_Alla voce plantae sono finito sul portfolio di Daniel_L’ho contattato_Ci siamo conosciuti e frequentati attraverso pura corrispondenza_Le nostre mail sono vere e proprie lettere d’amore, antiche, piene di rispetto, fitte di stilemi romantici_Abbiamo cominciato a collaborare ai tempi della Biennale di Venezia_Siamo in simbiosi_
È suo anche l’immaginario struggente di LISANTROPE [montato sapientemente da Luca Previtali], così come quello di ANTROPOCENE, ma non solo_Al MAMbo, nel corso di °°° i n t o t h e B L U, la presentazione ufficiale dell’Album, abbiamo trasmesso nelle stanze del Museo il film BLU|COLLECTION, una raccolta di tutti i capitoli visualidi questo Album_
Fra gli altri, KOMOREBI di Asato Sakamoto e THEPLASTICWHALE di Johann Fournier_
In questo disco ho percepito una cinematica sonora che affonda radici nel passato da Jean-Michel Jarre a Vangelis per poi intrecciarsi con le moderne soluzioni di musicisti contemporanei come Hans Zimmer o il duo Kyle Dixon e Michael Stein…
È un lavoro concepito per mettere in scena tutta la disillusione di questa epoca_Il disinganno del progresso, la disillusione di chi crede e proclama che “andrà tutto bene”_Scorretti egoisti che lasciano sulle spalle di pochi altri la responsabilità di intraprendere azioni impossibili_È una testimonianza, un urlo di disapprovazione_Una mano che afferra per condurre in uno scorcio sicuro…
attraverso il quale sbirciare se stessi dall’esterno dei propri occhi… per ritrovarsi fragili, vulnerabili, ancora umani_È fatto per chi abbia il coraggio di tenere gli occhi chiusi, quell’istante in più… è un commovente impulso per accedere al reale, un viaggio che fa spazio nel pensiero_Un appello alla mente perché edifichi mondi straordinari, al sogno perché dia vita ad interi universi_Uno slancio di inventio, una speciale forma di fantasia che si fa viva soprattutto in assenza di modelli concettuali_
È per questo che risulta cinematico_Induce all’immaginazione, offre al sentimento l’esperienza della riflessione sul mondo_Per quelli della mia generazione, rapiti dal mistero dell’elettronica, dai sintetizzatori, le composizioni avveniristiche di Jean Michelle Jarre e Vangelis evocavano tutto questo_Costruzioni così intense ed eteree, liquide e granitiche, descrittive di arcadie future_ Oltretutto già presenti nelle sigle dei programmi TV e nei film apodittici dei primissimi anni 80_ Impossibile sfuggirgli_Muse perfette per l’apertura, prive di alcun riferimento lirico_ Erano ascolti imprescindibili, oltremodo ispirazionali_Soluzioni eterne, cui gli stessi contemporanei che citi si affidano, in un mix funzionale fra classica, sound design, ritorno alla tradizione elettronica ed incursioni eleganti nella esplorazione sonica_
Per quale film del passato TheBluWave sarebbe stata una colonna sonora perfetta e perché?
Mettiamola così, capovolgendo l’impianto della domanda, e rispondendo al sottotesto ed alle sue implicazioni, rifuggendo definitivamente ogni dubbio e fugando erronei riferimenti di vanagloria autoreferenziale, direi che certamente senza 2001: Odissea nello Spazio e successivamente Blade Runner verrebbe a mancare una intera letteratura sonora legata ad una specifica cifra di genere_Una somma impalcatura di quei linguaggi rivolti a scorgere albe dell’avvenire non si sarebbe mai edificata ed il desiderio positivo, continuo, di misurarsi con certi giganti non avrebbe dato vita alla maggior parte dei compositori contemporanei, impegnati sempre a superarsi per contribuire, attraverso musica originale, al consolidamento inestinguibile fra suono ed immagini_
Sgombrato il campo dal Sacro Graal, tornando sulla terra, troverei TheBluWave e le sue tessiture a proprio agio in moltissimi film del passato_Estendendo lo spettro di genere ed immaginando l’aderenza fra contenuti e contesto, rispettando al massimo la natura di quelle pellicole, mi vengono in mente certe scene suggestive di E.T., alcune più crude di Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino_Per la serie di Kislowski Decalogo Plato|SHIRAKABA sarebbe perfetta_In un film a mio parere meraviglioso Risvegli, ThePlasticWhale contribuirebbe alla dolcezza infinita di quella narrazione_Ci trovo affinità anche con quelle scene più tensive di Tetsuo se penso ad Antropocene_L’orchestrazione di BluTokyo potrebbe farsi largo in Platoon e Betty Blue… o in C’era una volta in America… ma solo nella scena meno importante – se mai ce ne fosse una – e per puro tributo_Siberia funzionerebbe in TheDayAfter, pellicola che ha sconvolto per anni i miei sogni adolescenziali_Komorebi, quando l’ascolto, mi fa venire in mente una cavalcata di spettrali cavalieri oscuri dagli occhi rossi, una reminiscenza infantile di un film/cartone animato Disney, non saprei dire se La spada nella roccia o simili_
Le tracce sono molto lunghe ed ognuna serba in sé più di un movimento armonico_Questo esercizio di immaginazione, di adattamento al passato che hai proposto, seppur solo teorico e mentale, conferma la sensazione che ho provato quando finalmente, dopo tempo di distacco, ho riascoltato l’intero lavoro: una descrizione ampia dello spettro sensibile dell’umano, attraverso un suono eterno, proiettato al futuro e radicato nel passato, capace di raccontare i multiversi esistenziali, dando voce all’insondabilità dell’essere, nell’ordinario e nell’extra ordinario_Alla fine le scene dai film o i piccoli passaggi scenici ai quali faccio riferimento, non sono altro che racconti dal profondo, ai quali ben appartengono i traccianti di TBW_
A quale brano di TheBluWave sei più affezionato e perché?
La pandemia ha portato via il mio caro nonno di 100 anni_L’essere umano dal quale ho preso il nome e tratto valori e forza_Un patrimonio dell’umanità che, nonostante l’età, non sarebbe morto altrimenti_Era sano, talvolta ancora capace di lucidità ed analisi_Il modello di società che abbiamo inconsapevolmente abbracciato non tollera alcuna disfunzionalità di sistema_Ciò che non rende è un peso_Siamo interessati a riconsiderare le marginalità solo quando possa rigenerarsi in valore, ecco il proliferare di dubbie strutture, del politicamente corretto, dell’etica da Fabian Society_
Molti giustificano ed accettano la scomparsa degli anziani, quasi come se fosse inevitabile -superata una certa soglia- doverli parcheggiare in un altrove del mondo, nelle retrovie del presente,
dimenticandoli, abbandonandoli in un oblio dal quale noi stessi non potremo sfuggire_ A discapito dell’età, molti di loro avrebbero ancora da dire, da raccontare, da scrivere_
L’età è un intelligente ripiego per accettare la morte ma un effimero pretesto per accelerarla_ A lui è dedicata LISANTROPE, traccia cantata, presente in TBW_
Perché un musicista deve essere funzione per la comunità, deve passare dall’egocentrismo all’eco-centrismo?
Un musicista è giocoforza funzione per la propria comunità_ Eco vuol dire “casa” e mutua il suo utilizzo attraverso ogni declinazione possibile, sempre, in un contesto di favore per l’ambiente circostante_ Anche quando si traveste di dissenso opera perché il bene comune sia difeso e riconosciuto_ La musica è per sua natura un servizio_ Muove e commuove, salva, fortifica, determina, induce alla rabbia e la placa, invita alla ribellione, radica senso di appartenenza, semina e raccoglie distanze… ma sempre, nonostante le difformi espressioni, si restituisce alla collettività, raduna e cura, solleva questioni ed accompagna alla costruzione di una identità distinta e distintiva, secolare, spirituale, transculturale_ Il passaggio cui fai riferimento, al di là della sua oggettivazione, del lessico categorico che si può legittimamente confutare, è insito nella maturazione di ogni individuo, a maggior ragione nell’artista_ È il suo peculiare segno di unicità_
Jack White ha dichiarato che le Major devono iniziare a pensare sul serio alla produzione dei vinili perché piccole etichette come la sua non riescono più a soddisfare la richiesta del mercato. Ma a questo punto bisognerebbe pensare seriamente al vostro vinilificio legato alla campagna Music Declares Emergency, tesa a promuovere una sostanziale conversione ecologica dell’industria musicale… vogliamo approfondire questo tema focale del vostro progetto?
White ha ragione, e chissà se -anche solo indirettamente- abbia voluto far leva sul caso Adele, su quell’indelicato stallo monopolistico del mercato, nel tentativo infelice di paralizzarlo
strategicamente, rallentando tutte le “altre” produzioni ed i relativi processi di posizionamento, ivi incluse le programmazioni di concerti e le promozioni_ Una cosa è ampliare capillarmente una produzione di comparto per soddisfare una esigenza multipla e collettiva, altra cosa è sovra-produrre un solo bene per saturare il mercato_ Quest’ultima è una dinamica delittuosa, non fosse altro perché “milioni” di quei vinili finiranno invenduti, resi e poi distrutti_ Per decenni potrebbero resistere nei mercatini o essere reintrodotti in qualche autogrill di frontiera,
o, se la lungimiranza fosse virtù, potrebbero essere riciclati_ Ma, al di là di questa considerazione personalissima, White evocherebbe investimenti imprenditoriali privati, diretti, congrui per risollevare un mercato che mai prima d’ora si era mostrato così responsivo [il mercato del Vinile ha superato di gran lunga il CD], auspicando la realizzazione di stabilimenti di produzione di proprietà delle Major per fronteggiare una domanda in continua crescita_ Se stiamo alle logiche di mercato c’è certamente coerenza in questa sua istanza, eppure alcuni passaggi, probabilmente impliciti, a mio avviso andrebbero analizzati_ Non è sempre vero che ingenti investimenti o la mobilitazione di alti vertici di un ramo produttivo, siano, da soli, capaci di provvedere alla soluzione definitiva di certe esigenze correnti, a meno che non ci si riferisca a biechi oggetti inanimati, le cui finalità siano prettamente materiali, passive, prodotti privi di alcun contenuto sensibile, non relazionabile con la sfera emotiva di un individuo_ La musica non è un prodotto, né il suo supporto può esserlo_ Da esso dipende la qualità dell’ascolto, esperienza profondamente legata all’impulsività umana_ Il supporto è frutto di una delicata lavorazione, al limite dell’artigianato, ed i responsabili della produzione sono figure indispensabili, impossibili da moltiplicare al bisogno, così come un medico o un insegnante non possono essere “chiamati a raccolta” a piacimento_ L’istruzione e la formazione necessitano di tempo inesorabile, di una esperienza insondabile perché l’eccellenza si manifesti_ Chiederne l’utilizzo immediato, solo pensando di iniettare moneta, non significherebbe affatto rispondere ad una esigenza, tanto più ad una carenza, men che meno ad un’emergenza, e se mai fosse possibile accelerare certi processi, si andrebbe a discapito di cura e qualità_ L’intromissione massiva ed immediata di capitali ingenti in mercati particolari sortisce un effetto negativo_ Nel caso del vinile si potrebbe danneggiare nuovamente un ecosistema in ripresa, virtuoso, autonomo, credibile, si destabilizzerebbe ulteriormente un universo dapprima smantellato e successivamente abbandonato, sminuito al grido delle nuove opportunità tecnologiche, al soldo di nuovi spazi di crescita, sostituito da quei progressivi supporti di massa, oggi, a loro volta in crisi_ Negli anni il vinile è stato dimenticato, messo da parte, quasi dequalificato… e con lui, gli artigiani, gli ingegneri, i tecnici competenti capaci di produrlo_Questi ultimi hanno dovuto reinventarsi e riassestarsi; solo grazie ad una fervida ed appassionata resistenza hanno tenuto vivo un sogno, altrimenti derubricato, tenuto ai margini delle stime dalle etichette discografiche_ Oggi la discografia registra un incremento della richiesta del vinile_ Crediamo si possano generare all’istante stabilimenti per produrne quantità illimitate? Che un vinile si possa produrre in serie, affidandolo alle sole macchine, senza tener conto della formazione delle figure professionali necessarie per seguire i processi di realizzazione?
I complessi passaggi per la produzione di un vinile sono una vera e propria arte, che va dall’approvvigionamento delle lacche fino alla realizzazione del taglio, via tornio, laddove
l’ingegnere, lato per lato, produce una serie di matrici [eseguite galvanicamente] padre [negativo], madre [positivo], stampatore [negativo]_ È chiaro che se si ha a cuore la difesa della propria opera, frequenza su frequenza, dinamica su dinamica, passare per le mani di queste sensibilità rarissime, dalle capacità tecniche quasi in via di estinzione, tutte umane, determina una differenza sostanziale quando poi, infine, si ascolta la musica_ A questo punto, se il mercato andrà nella direzione desiderata da White, dobbiamo confidare che la custodia e la difesa di una tradizione tecnico-pratico-artistica, con conseguente passaggio di staffetta formativo fra figure professionali abbia luogo “nel tempo” e che, in caso di accelerazione tecnologica, vi sia almeno un ricollocamento delle nuove tecnologie in virtù di una conversione ecosostenibile degli stabilimenti e degli impianti_ Del resto, nel merito, White con la sua ThirdManPressing [siamo stati a visitarla] è già pioniere di questa filosofia, fra i pochi che possono concedersi una elaborazione “tecnico-artistica” del vinile, al limite del poetico, ai confini con l’oggetto d’arte, studiando, sondando, giocando con il mistero dei solchi e del loro uso magico, dando voce a vere e proprie esperienze sonore_ In questo senso l’esperienza di TheBluWave è particolare_
Abbiamo lavorato sin da principio, dalle riprese al missaggio fino al mastering, con la consapevolezza che ogni passaggio ci avrebbe condotti al vinile_ Pertanto anche il taglio è stato prodotto “in casa”, ad hoc, sartorialmente, perché il risultato sonoro fosse di altissima qualità, in simbiosi con le scelte artistiche_ Ai vinilifici abbiamo spedito il “nostro taglio” ed a loro ci siamo affidati per il resto della produzione_ Questa avventura, lunga e sofferta, difesa fino all’ultimo Hz, grazie all’ausilio preziosissimo di Giovanni Versari e Gengy, tagliatore geniale, ha spalancato nuovi spiragli e chissà che proprio partendo dal nostro paese, da queste figure così appassionate e preparate, non si possa immaginare di offrire produzioni impeccabili anche a terzi, aprendo una breccia produttiva altamente competitiva con un approccio virtuoso impareggiabile_ Il primo vinilificio con il quale abbiamo lavorato ha sede in Olanda e da sempre è in sintonia con la
nostra visione, continuamente alle prese con le sfide sulla riduzione dell’impatto ambientale, dall’uso di materiali totalmente ecosostenibili, riciclati e compostabili, dallo smaltimento
all’assemblaggio dei granulati riciclati o circolari, fino all’imballaggio ed alle spedizioni carbon neutral_ Ha realizzato per noi una versione in vinile nero 180 grammi totalmente riciclato ed una tiratura più piccola, di sole schegge colorate, i cui pezzi risultano essere unici_ Tutti i lati D di questa versione hanno una etichetta singolare_ Per il vinile trasparente, ci siamo affidati ad un vinilificio Spagnolo, il primo capace di produrre un vinile in Plastica Riciclata al 100%_ Ciononostante, entrambi, come tutti gli altri impianti del pianeta, hanno avuto e stanno avendo ritardi nella produzione, per le ragione delle quali abbiamo discusso, per via dell’immensa richiesta, ma anche perché per lavorare con merito non si possono disistimare certi criteri, certi tempi, o certi parametri etici sottoponendo il proprio team a sforzi insostenibili_ Oggi si può attendere anche 9/12 mesi per una produzione efficiente_ Sarà capitato a molti di vedere artisti, giornalisti, appassionati, indossare una T-Shirt “NoMusicOnADeadPlanet”_ Questo è lo slogan di Music Declares Emergency, cui il vinilificio Deepgrooves col quale lavoriamo è parte, così come altre organizzazioni, a partire da Earth/Percent alla quale noi siamo strettamente legati_ Insieme si lotta perché l’industria musicale, soprattutto quella mainstream legata a logiche obsolete, sia coinvolta nell’acquisizione di una coscienza e di una condotta in linea con le transizioni indispensabili_
La conversione dell’industria discografica [che ancora utilizza smisuratamente plastica, imballaggi ed incellophanature monouso, senza alcun ritegno] non è solo necessaria ed urgente, dovrebbe
rappresentarsi come maturazione al passo con le esigenze della contemporaneità_ Andrebbe misurata e monitorata con parametri proporzionali_ Quanto più cresce la produzione green tanto più dovrebbe decrescere tutto il resto, fino alla completa sostituzione di “pensiero”, congegni ed impianti_ A quel punto, lo spazio digitale non sarebbe così significativo e potremmo cominciare, un passo alla volta, a ridurne gli argini_ Invece l’industria musicale è disinteressata, resta industria, polifagica, tende sempre ad aggiungere, a conquistare spazi, ad estendersi militarmente, mistificando la libertà di scelta con il senso del servizio_ È ossessionata dalla crescita, attenta alle sole risposte “quantitative”_ Addebita all’utente finale ogni responsabilità_ È lui il capro espiatorio, è “lui che lo vuole”, è sua la “domanda”… e la domanda si sa, va soddisfatta ad ogni costo_
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