Non è facile scrivere di Peppe Barra. Troppo grande la sua maschera. Troppo potente la sua voce. Così legata alla sua terra, così versatile e mutevole, teatrale e lirica, confidenziale e grottesca. Una “Voce mutabile, clandestina. Di rabbia e d’amore. Di pigrizia riflessiva, che scoraggia gli attacchi del tempo, e preserva dal grigiore dell’abitudine nel vivere passivamente”, come scrive saggiamente Renato Zero nelle note di copertina di questo nuovo doppio album, Cipria e Caffè, col quale Barra chiude un trentennio di carriera solista. Doppio non per durata, ma per lo spirito e l’impronta che anima due gruppi di perle lucenti racchiuse nel palmo di ciascuna mano con teporoso affetto. La Cipria è la solenne messa in scena di una tradizione musicale e teatrale in cui affondano le radici e la discendenza stessa del cantante. A partire da Procidana che dà nuova veste alla scuola classica partenopea che risale a Scarlatti, Pergolesi, Paisiello, e che la tradizione popolare accoglie e divulga, come fece allora la Nuova Compagnia di Canto Popolare, in cui militava Barra, che oggi ripropone quel testo anonimo di una cultura antica con intonazione greve su un palco di tragica oscurità, mentre il pianoforte romantico suonato da Luca Urciuolo simula il rollio del mare calmo dopo una tempesta causa di naufragio da cui riecheggiano le rielaborazioni vocali digitali di Mario Conte. E sospinta da un vento magico che soffia il dolore dalla superficie di quel mare giunge l’opera buffa di Leonardo Vinci Vurria addeventare suricillo al cui clavicembalo settecentesco si affiancano tastiere digitali ed effetti elettronici che aggiornano, negli arrangiamenti di Mario Conte e Paolo Del Vecchio, l’atmosfera fatata e paurosa del Pinocchio di Comencini. Poi quel vento si fa oscuro e rituale sul basso ostinato e ipnotico di Vulumbrella il cui fraseggio ancestrale si prolunga in vocalizzi misteriosi, evocativi, antichi eppure straordinariamente attuali. Moderni come le voci nascoste all’ombra del vicolo dove vive Ricciulina, già nel repertorio filologico della NCCP, sanguigna e passionale rimostranza di un amante tradito che Barra porta in teatro a comporre una scena di slanci lirici e meschini pettegolezzi, raddoppi vocali e ansimi affranti, corde tonanti e divagazioni elettro classiche che risalgano al Walter Carlos di Arancia Meccanica. Lo stesso trattamento riceve La Ciorta del decano maestro, ricercatore e cultore della musica napoletana Roberto De Simone, che rispolvera filologicamente la seicentesca Cantata dei pastori, riportata a teatro nel 1974 proprio con la NCCP e Peppe Barra, che qui accentua i tratti istrionici della propria maschera cambiando vorticosamente le scene di un palco in continuo divenire, fino a diventare un teatrino di robotiche marionette in scoppiettante danza strumentale. Ed è ancora un’elettronica inattesa che introduce la chitarra classica di Ivan Del Vecchio con la ben nota sequenza di bassi del giro armonico della celebre tarantella ‘O Matrimonio d’o guarracino, di anonimo autore popolare del ‘700 napoletano, variata qui per l’ennesima volta in versione cadenzata e corposa in cui la storia del litigio esilarante di un mondo sottomarino coloratissimo e variopinto affiora da un vociare rumoroso di un pubblico incredulo. Il grave clavicembalo ritorna poi con la sua lenta cadenza nella tenera metafora d’amore So li sorbe, ancora dal genio di Leonardo Vinci, piena dell’onomatopeico sapore della lingua napoletana, che pronunciata da Barra fa gustare al sol sentire tutto il gusto zuccherino dei frutti maturi. Nella seconda parte dell’album, il Caffè, si passa dall’edificio Teatro al metaforico teatro della vita, quella privata di Peppe. Ma non si tratta di una chiusura nella solitudine di un camerino, perché il caffè a Napoli è un rituale di convivialità, e sorseggiando queste tazzulelle ‘e cafè Barra chiacchiera amabilmente in confidenza con alcuni fortunati invitati, senza porsi come anziano maestro che promuove ammiccando le nuove leve, che sarebbe banale, ma come vitale protagonista di una scena musicale in cui convivono espressioni talvolta agli antipodi, talenti scafati e proposte più contemporanee. Si passa così dal soffice tre quarti di Neve di Toto Toralbo (Luna Janara, Toto Toralbo e i MiniMali), che rimanda all’omaggio a De André di Cani randagi (1995) e s’evolve come tolta da una prova generale in cui la primadonna affina i passaggi chiave di un’interpretazione puntualizzata in volto da sottili cambi d’espressione, alla densamente nostalgica Vint’anne, che i due orsacchiotti Sollo e Gnut tirano fuori dal cilindro magico da cui sono sbucati L’orso ‘nnammurato e il recente Nun te ne fa’, brano che dilaga in crescendo maestoso sulla pulita chitarra elettrica che regge una voce corposa da tenore antico, che non necessita palco. Si gioca poi con un oriente elettronico raccontato da La Niña, autrice di ‘A Città d’e sante con lo sguardo a Caravan Petrol di Carosone, che porta il duetto con Barra dai vicoli di Napoli ai tremanti vocalizzi della kasbah. Ma è forse nel successivo duetto con Tosca che l’album tocca il suo vertice lirico trasformando Si ce stesse ‘na parola, di Mario Tronco (Orchestra di Piazza Vittorio) e Alessio Bonomo, in musicale sussurro di maghi e fattucchiere che si cercano al buio, danzando eleganti sulle onde increpate di un mare di piombo e di luna argenteo. E bagnato da quelle acque magiche Barra scivola nei dolci ricordi d’infanzia che son soliti venir fuori quando si conversa con amici di vecchia data, così un classico del cinema che fu come Ma l’amore no (1942) sprofonda con dolcezza confortante in un morbido swing di voci ironiche, chitarre semi acustiche e tromboni sgraffiati. È il preludio del gran finale che recupera la filastrocca Papaveri e papere, portata al successo da Nilla Pizza nel 1952, un tema fanciullesco che nascondeva in semplici metafore un’insospettabile satira politica, qui trasportato da un grande teatrante in un minuscolo teatrino delle marionette, grottesco come quello del Mangiafuoco di Collodi, col quale sembrerebbe identificarsi a tratti Barra, che guida sapientemente il maestro di piano che l’accompagna nella scelta dell’accordo giusto, cambiando di volta in volta il tono della canzone. con la stessa facilità con cui Peppe muta una vivida smorfia della sua straordinaria maschera. Giacché il gesto, il segno che non vuol spiegazioni, sono la più grande dimostrazione dell’arte.
Credits
Label: Marocco Music / Soundfly – 2022
Line-up: Peppe Barra (voce) – Luca Urciuolo (pianoforte, clavicembalo) – Paolo Del Vecchio (chitarra classica, mandolino, chitarra elettrica reverse, armonici, bouzouki, chitarra semi acustica) – Mario Conte (basso synth, moog, rielaborazioni vocali digitali, ambientazioni sonore, tr-808 programming, trombone analogico, drum machine) – Pino Basile (percussioni, grancassa, piatti, cannetta, tamburello) – Ivan Del Vecchio (chitarra classica) – Ivan Lacagnina (grancassa, piatti, rullante, percussioni) – Sasà Pelosi (Basso) – La Niña (voce) – Marco ‘Benz’ Gentile (violino, kamancheh) – Tosca (voce) – Mario Tronco (pianoforte)
Tracklist:
- PROCIDANA
- VURRIA ADDEVENTARE SURICILLO
- VULUMBRRELLA
- RICCIULINA
- LA CIORTA
- ‘O MATRIMONIO D’O GUARRACINO
- SO LI SORBE
- NEVE
- VINT’ANNE
- ‘A CITTA’ D’E SANTE feat LA NIÑA
- SE CE STESSE NA PAROLA feat TOSCA
- MA L’ AMORE NO
- PAPAVERI E PAPERE
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