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La Canzone che ti devo: Flo live @ Teatro Bolivar, Napoli, 1 dicembre 2023

Flo @ Bolivar, 2023 - foto Alessio Cuccaro 01È un concerto diverso quello tenuto da Flo al Teatro Bolivar, due anni dopo l’ultima volta, una sfida vinta e uno spettacolo congegnato con cura. A partire dalla scenografia che porta sul palco il salotto della sua intimità, che fa tanto napulegno con quella versione popolare di un divano Luigi XVI, affiancato da un lampione stradale di gusto retrò a significare che la dimensione privata finisce sempre in scena nei palchi quotidiani della città della sirena, siano essi vicoli stretti e bui o assolate piazze monumentali. La formazione del quintetto predilige le corde con il ritorno di Ernesto Nobili alla chitarra classica e al mandolino, assieme a Federico Luongo con la sua fidata Godin Multiac, oltre al violoncello virtuoso, passionale e divertito di Arcangelo Michele Caso, e il minuscolo bağlama del polistrumentista Francesco di Cristofaro, che alterna pure fisarmonica e bansuri, ligneo flauto traverso indiano. All’inizio è spiazzante l’assenza del ritmo scoppiettante di Michele Maione, che ha animato col suo battito gran parte della produzione di Flo, su disco e dal vivo, ma poi pian piano si capisce lo spirito della serata, col canto che si scioglie e cresce trascinante, e allora ecco che anche il ritmo sale con accenti sulle corde, colpi degli archetti, nocche sulle casse armoniche, schiocchi delle dita, mani che battono, senza perdere mai il filo della tensione. Il concerto si apre col fraseggio sensuale di Ça ne tient pas la route e la rivendicazione orgogliosa di un successo ottenuto con lavoro e fatica che arriva oggi a superare il milione di streaming sulla sola Spotify. Tutti in eleganti vesti nere sembrano i Madredeus. Anzi, senza voler stilare classifiche, sono oltre i Madredeus, magnificamente legati al solo fado, oltre il lirismo drammatico di Teresa Salgueiro, poco a suo agio con altri repertori. Flo, invece, può cantare qualsiasi cosa. E lo fa, con la naturalezza spontanea ‘e na tazzulella ‘e cafè, da sorseggiare con gusto alla fine di un pranzo prelibato, condito di ingredienti da ogni parte del mondo, da Napoli al Messico, dall’Argentina alla Francia, rimestati e dosati con la sapienza saporita di un antico focolare partenopeo. Recita passi del suo libro La canzone che ti devo, pubblicato dagli “spacciatori di libri” di Coppola Editore, mentre gli orchestrali accennano motivi, citano Pino Daniele, preparano il terreno per il brano successivo. Si raccontano storie ai margini, di disprezzo e discriminazione come quella di Maddalena, intrappolata nel corpo sbagliato che “controluce, dicono, sembra una donna vera”. Vera come il suo amore seducente e passionale, quanto le trame roventi di Boccamara, in cui il dialogo sentito su disco è risolto dalla sicura versatilità di Flo, che affronta le parti di Servillo come fossero sempre state soltanto sue. Si canta e si legge, la sala risuona di parole, e le parole hanno un peso, specie quelle del gigante De André, ma fluttuano come piume nella Dolcenera cantata da Flo, passando con fluida scioltezza dai cori etnici che furono di Dori Ghezzi e Luvi De André, al timbro denso e profondo di Faber, raramente omaggiato con tanta efficacia. Si suona e si danza, coi tanghèri che a coppie affiatate incrociano gambe e sguardi sul proscenio, al suono delle note dolenti di un amore finito e il canto nero e popolano della struggente Accussì, scritta a sei mani con Sollo e Gnut. Legge i suoi ricordi e racconta la sua adolescenza, Flo, il filo dorato della passione che lega la Napoli di Era de maggio, cantata con burrascosa dolcezza, al tripudio per il primo scudetto, passando per la contestazione identitaria dei 99 Posse, scegliendo non la tribale Napolì bensì l’ineluttabile dichiarazione d’amore di Quello che, intonata rimodulando il fraseggio con scale dinamiche e guizzi infiammati che chiudono con fervore il concerto regolare. Ma il pubblico reclama a gran voce un gran finale prima ancora che il gruppo esca di scena, ed ecco la festa effervescente di Para que tu me oigas, che cita Neruda e omaggia il Sud America imponendo a tutti i presenti di alzarsi in piedi a ballare tra le poltrone della sala, e pare di nuotare nel mare fiabesco di quelle sirene lucenti sospese sul palco, un tuffo tra le onde per esser felici.

Flo @ Bolivar, 2023 - foto Alessio Cuccaro 12

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