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The Smile @ Roma Summer Fest, 24 giugno 2024

The Smile @ Auditorium Roma - Photo Kimberley Ross

Arriviamo in trasferta da Napoli poco dopo l’apertura dei cancelli. È una fresca serata estiva, contrariamente alle aspettative di calura estrema, e allora ci pensa James Holden a scaldare l’arrivo dei primi spettatori davanti al palco della cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, col suo serrato set di manopole, macchinari, ritmi sintetici e loop elettronici, squarciati dalle incursioni free jazz del sax di Chris Duffin, che rimpolpa anche il ritmo con percussioni assortite e irregolarità umane. Il parterre si riempie e così le gradinate che raccordano i tre giganteschi scarabei progettati da Renzo Piano come coperture delle tre sale dell’Auditorium, rivestite di lastre di piombo come antiche cupole barocche, pronte a vibrare migliorando l’acustica dello spazio. La scenografia, secondo lo schema collaudato del gruppo, è dominata da uno schermo orizzontale in rapporto quattro a uno, sul quale scorrono in quadrati primi e primissimi piani dei musicisti, mentre in basso un pannello solcato da bande luminose definisce il mood di ogni singola canzone con cambi netti del colore dominante. Luci blu, per la seconda sera di fila, sul palco della cavea a raccogliere gli strumenti dalle mani dei roadies mentre salutano quasi timidamente il pubblico salgono in quattro: col trio The Smile c’è anche Robert Stillman, che inizialmente siede alle tastiere, una delle tante disseminate qua e là, per poi dedicarsi principalmente ai fiati, trattati come lunghi pad di sintetizzatori. Luci rosse, parte l’acustica bossa nova di Wall of Eyes suonata da Yorke mentre canta con voce distante e Skinner riempie il suono con un pattern di timpani profondi e bacchette imbottite. Greenwood, invece, stringe al petto un basso Fender in attesa del suo momento nella seconda parte del brano, in cui la band parte alla deriva di una psichedelia ossessiva. Luce verde, l’inquietudine scivola sul ritmo atipico di The Opposite coi suoi vorticosi break nevrotici e Yorke che si dimena su un basso Gibson indiavolato, suonato con stile forgiato spontaneamente sullo strumento e non in trasposizione dalla chitarra. Ma stasera le due menti dei Radiohead non hanno limiti di strumentazione e in ogni brano si scambiano di posto godendosi il puro piacere di suonare, concetto alla base del trio The Smile che garantisce l’efficacia e il successo di un approccio sperimentale invero poco easy. Così, nelle eteree atmosfere di Speech Bubbles Thom passa a una Epiphone semiacustica mentre Johnny si divide tra tastiera e arpa suonate in contemporanea, una per mano! Per le trame sperimentali che introducono Hairdryer è Yorke a premere i tasti di un sintetizzatore, mentre Greenwood torna al basso Fender distruggendo un archetto da violino sulle corde, come Jimmy Page nelle lunghe divagazioni che i Led Zeppelin si concedevano in Dazed and confused, prima di passare al plettro nel ritornello incalzante: tra i rari momenti cantabili di una performance che mette le invenzioni strumentali prima di ogni altra cosa. Nella parte centrale del concerto trova ampio spazio il repertorio inedito, dalle trame mediorientali di Colours Fly, eseguita live già del primo tour del 2022, alle chitarre solenni del lento gospel Instant Psalm, fino alle bizzarrie del sintetizzatore di Greenwood che col suo andamento sbilenco offre in Don’t Get Me Started l’opportunità a Yorke di esibirsi in eccentriche e divertite mosse di danza prima di scatenarsi in una atipica apertura techno assieme agli altri musicisti della band. E dopo aver ripescato dal primo album le dense cadenze di Skrting on the Surface, con Yorke a dirigere le urla dei presenti con mano levata, e le nevrotiche chitarre di Thin Thing , su cui si avvita una voce filtrata e irreale scatenando sovente il pogo, Greenwood siede al piano per le dolci note beatlesiane di Friend of a Friend, con Sinner che si scatena nelle ardite parti glissate dando prova della sua statura tecnica e creativa. E così anche nei cambi dinamici di Read the Room e nel ritornello trascinante di We Don’t Know What Tomorrow Brings, altro momento da cantare tutti insieme, prima di perdersi nuovamente negli eterei intrecci di sintetizzatori e falsetto fluttuante che si dilatano nella visionaria Teleharmonic, nei suoi organi nebbiosi che volano alti su un crescendo di piatti e basso gommoso. E dalle tastiere Thom passa al piano per rievocare il finale epico dei Peaky Blinders con le trame avvitate di Pana-Vision dalle quali ci si fionda nel mantra ansiogeno e frippiano di Under Our Pillows, turbato dalla coda rovente di batteria free jazz. Poi Yorke, che è molto più disposto al gioco di quanto si possa pensare, fa il verso a Jim Morrison annunciando You Will Never Work in Television Again, ma il brano parte per la tangente lungo le sue traiettorie affilate e basso sostenuto, per poi chiudere i tempi regolamentari con l’arpeggio sanguinante di Bending Hectic e il suo maestoso vento rock estatico a ricoprire tutti come una tempesta di sabbia nel deserto. Pochi istanti di applausi e il quartetto rientra in scena con The Smoke e qui Yorke viene sorpreso dal pubblico che appena riconosciuto il pezzo inizia a cantare il riff bluesy che aveva garantito il successo dell’esordio della band al primo ascolto. Evitando il rischio di un nuovo poropopò che possa rovinare il brano come toccato a Seven nation army sulle curve dei mondiali 2006, Thom dirige divertito il coro per poi chiudere con un taglio netto passando a Feeling Pulled Apart by Horses l’unico episodio di un passato pre-Smile che vede il sodalizio Yorke-Greenwood più solido che mai. Il finale intimista tocca invece a You Know Me! con Thom al piano e Johnny al violoncello senza corpo a intrecciare pulsazioni di misticismo che evocano l’arpa di Alice Coltrane, in malinconica ascensione spirituale, celebrando il dio della musica.

P.S. Greenwood è stato male pochi giorni dopo il concerto, gli auguriamo che possa rimettersi in fretta e che i tanti inediti e le improvvisazioni ascoltati trovino presto la strada di un terzo, inevitabile album dei The Smile.

Foto: Kimberley Ross

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