Negli ultimi cinque anni ad Ancona si tiene Acusmatiq, un festival molto particolare dedicato a musica e arte elettronica.
Un festival che vuole approfondire i rapporti tra produzione musicale e tecnologia, tra pratica strumentale e sensibilità contemporanea.
La direzione artistica del festival è curata dall’artista-compositore Paolo F. Bragaglia.
LostHighways ha voluto incontrarlo per un’intervista ricca di contenuti interessanti per quanto concerne la musica elettronica e le possibili sinergie che si instaurano con le arti visuali e le tecnologie moderne del GPS e degli Smartphone, come il fantastico progetto Geotracks ovvero una colonna sonora in base alla percezione dinamica di un paesaggio.
Alla quinta edizione di Acusmatiq tracciamo brevemente l’evoluzione del Festival nel tempo, focalizzando sull’importanza della musica elettronica come forma moderna di espressione culturale ed artitstica?
Anche in questa edizione Acusmatiq credo che sia abbastanza fedele all’impostazione originaria: presentare forme diverse e suggestive del rapporto tra la produzione musicale e la tecnologia, con uno sguardo sempre attento anche sul rapporto tra la pratica strumentale e l’elettronica. In realtà, vista appunto la grande evoluzione di questi ultimi anni, credo che ci siano tante musiche elettroniche. Dalla sperimentazione più radicale al clubbing, ai field recordings, etc, l’utilizzo della tecnologia nella produzione musicale è senz’altro un segno dei tempi, spesso con una cifra estetica fortemente caratterizzante della contemporaneità. Resta comunque fondamentale porre grande attenzione, dato che l’appiattimento della tensione artistica spesso va di pari passo con l’accessibilità dei mezzi di produzione e la conseguente proliferazione delle produzioni. Fondamentale è per noi anche mettere in relazione progetti ed artisti nuovi con realtà storiche e consolidate, alla ricerca di una prospettiva storica. Cerchiamo di non avere nessuna preclusione di genere, la formula di Acusmatiq si basa proprio su una grande apertura a linguaggi e forme anche molto differenti, del passato, del presente e, speriamo, del futuro che vanno a comporre un mosaico spesso complesso ed affascinante.
Quali artisti presenti nella rassegna sono assolutamente da non perdere e perché?
Questa è una domanda difficile! Fabrizio Ottaviucci perchè è un interprete raffinatissimo dei maestri della musica contemporanea e presenta un repertorio elettroacustico con brani di Cage, Riley, Nicola Sani, Scodanibbio. Biosphere perchè è un “monumento” dell’ambient music, autore di autentici capolavori del genere. CarterTutti perchè in trentacinque anni di onorata carriera sono stati protagonisti “storici” della musica di avanguardia elettronica “popolare” e membri fondatori dei Throbbing Gristle, autentico atto di fondazione dell’industrial music. I Mouse on Mars, perchè sono uno degli act più celebri ed eccitanti della scena elettronica degli anni ’90 un periodo che ha costruito un attenzione nuova e diffusa per tutta una serie di sonorità inedite. Chapelier Fou perchè è dotato di una freschezza straordinaria nell’utilizzo del mezzo elettronico, usa insieme a chitarra e violino, creando una bellissima contaminazione tra tensione sperimentale e gusto melodico. Dei Synusonde e della loro commistione tra elettronica e piano non faccio menzione, visto che il progetto mi vede coinvolto in prima persona!
<Geotracks è una produzione esclusiva di Acusmatiq basata ulla sonorizzazione interattiva degli itinerari urbani. Me ne parli? Da filmati visti su youtube sembra una specie di concretizzazione di concetti di realtà virtuale presenti in film come Matrix…
Geotracks sono colonne sonore dinamiche per itinerari pedonali nel cuore della città di Ancona, ideate specificamente per questi, per mettersi in relazione con le loro suggestioni. È un esperimento nel quale credo molto e credo che sia la prima volta per un’operazione del genere; è un po’ il punto di convergenza di tanti stimoli che ho accumulato nel corso di anni di lavoro come compositore per le immagini. La mia passione per l’esplorazione urbana e l’architettura ha fatto il resto. Il tutto si basa si di un concetto: immaginare l’itinerario pedonale dell’ascoltatore come se fosse una lunga carrellata, una soggettiva cinematografica. Concetto semplice, ma ricchissimo di implicazioni, che rivoluziona sia la creazione che l’ascolto. È un po’ l’antitesi dell’ambient music di Brian Eno che propone una definizione del suono di un determinato ambiente in maniera statica, Geotracks funziona, invece, in relazione ad una percezione dinamica del paesaggio. È un’idea che accarezzo da tanti anni ed oggi con la tecnologia a disposizione è possibile iniziare ad esplorare questo mondo. Parto dalla scelta dell’itinerario, la cui percorrenza diventa un “piano sequenza” in soggettiva ed inizio a comporre in maniera il più possibile appropriata rispetto a questo. La tecnologia usata, tramite lo smartphone, fa sì che l’esecuzione del brano, le cui sezioni vengono scaricate in tempo reale dalla rete, vada di pari passo con la posizione dell’ascoltatore lungo l’itinerario. I suoni della città si sommano e si mescolano con il contributo musicale, inutile dirlo. A livello tecnico usiamo una piattaforma di realtà aumentata che gira su Iphone e Android.
A LostHighways piace molto la sinergia che può nascere fra musica ed arti visuali, possiamo parlare delle performance audio-video che caratterizzeranno questo festival?
La performance di Cronofobia va proprio in questa direzione, è il lavoro di un collettivo che produce sinergia tra musica ed immagini lavorando in maniera precisa e puntuale con delle proiezioni sulle architetture che ospitano le loro performance, che in questo caso è la splendida Mole Vanvitelliana di Ancona. Anche CarterTutti presenteranno una performance audio-video, Harmonic Coaction che sarà alla Tate Modern di Londra nel prossimo autunno.
Come è cambiata la musica elettronica dagli anni settanta ad oggi? Penso alle testimonianze del Museo Temporaneo del Synth Marchigiano…
Immensamente. Nei primi 70 l’elettronica ancora faceva fatica a trovare una propria estetica. C’erano gli apripista come Walter Carlos, c’erano tutti i compositori colti che pionieristicamente avevano utilizzato i nuovi mezzi di generazione sonora nei loro lavori sin dagli anni ’50 (Nono, Berio, Stockausen etc). Ma nella popular music solo a partire da quegli anni si è cominciata a definire un’estetica “elettronica” della creazione musicale (di pari passo con l’evoluzione tecnologica.) Moroder e Kraftwerk, ad esempio. Molto spesso nei vari generi musicali il synth era solo una tastiera un po’ più versatile (penso al rock, al prog, al jazzrock) che, oltre a tentare di emulare gli altri strumenti, produceva qualche suono bizzarro. Il museo è per noi una testimonianza importantissima sia da un punto di vista culturale che tecnico-industriale. un mondo scomparso che ormai sopravvive solo più in questi strumenti e nei dischi che, in quegli anni, hanno contribuito a realizzare.
La realtà delle netlabels quanto ha contribuito nella diffusione promozionale della musica elettronica?
Credo in maniera immensa. Premetto che però sono della vecchia scuola, anche per ragioni anagrafiche, e quindi molto affezionato a dischi, packaging, etc. Ma credo che il futuro ormai sia in rete. Devo però dire che la proliferazione delle produzioni in qualche caso va di pari passo con la diluizione della qualità.
Quali sono i progetti futuri di Paolo F. Bragaglia come compositore di musica elettronica?
Nel prossimo autunno uscirà l’album (appena finito di mixare) di debutto dei Synusonde, il duo che ho formato con il pianista classico Matteo Ramon Arevalos. È un esperimento al quale tengo molto, considero una grande sfida mettere in rapporto l’elettronica contemporanea con il piano e tutto quello che rappresenta per la cultura musicale dell’occidente. Soprattutto nel cercare di evitare esiti banali o semplicemente “decorativi”. Ci sono tante possibilità da gestire e sinora siamo molto contenti del risultato. Inoltre è mia ferma intenzione portare avanti il progetto Geotracks in nuovi luoghi, ci sono già delle idee, ed ho iniziato a lavorare al mio nuovo disco da solo, che segue Mystere du printemps uscito ormai quattro anni orsono.
Cosa pensi dell’ultimo disco di Brendan Perry?
Sono molto contento di questa domanda, sono letteralmente un fan di Brendan Perry e devo dire che il suo Ark mi piace davvero tanto, anzi l’ho preferito al precedente The eye of the hunter. Certo l’elettronica che Brendan ha usato non ha i crismi della novità assoluta della creazione sonora, ma devo dire che è perfettamente funzionale alle straordinarie atmosfere fuori dal tempo che riesce a creare. In alcuni casi, a mio giudizio, si avvicina agli episodi più riusciti degli anni d’oro dei Dead Can Dance.
Negli ultimi vent’anni quale disco di musica rock-pop ha usufruito maggiormente di influenze della musica elettronica diventando un esempio perfetto di sinergia tra questi due mondi?
Screamadelica dei Primal Scream, ma è solo il primo che mi viene in mente…