Sono stati selezionati in Mouths, la nostra ultima compilation relativa alla scena underground campana. In Pretty Prizes gli Psychopathic Romantics destrutturano la forma canzone capovolgendo lo stile più classico del primo intenso lavoro Altered Education. Sono un gruppo inclassificabile in cui confluiscono diverse influenze , su tutto il collante di suoni mediterranei come quello del mandolino. Un denso flusso di art-rock. LostHighways ha voluto approfondire il progetto per dare risalto anche all’iniziativa della band di promuovere questo loro secondo lavoro con la possibilità del free-download di tre brani.
Quali sono le principali differenze tra il vostro album d’esordio e il recente Pretty Prizes? Pongo questa domanda perché si notano delle scelte di stile ben nette, come ad esempio un abbandono quasi totale della forma canzone con inciso melodico…
Le differenze non scaturiscono da particolari scelte stilistiche, o meglio non in maniera consapevole, poiché il modo di scrivere e di arrangiare i pezzi per il nuovo album in realtà è stato condizionato dalla voce: Dust, già batterista della band, ne è diventato anche il cantante dopo che Raffaele Frascadore, voce nel disco d’esordio e nel successivo tour, ha deciso di abbandonare il progetto. Il modo di cantare è meno melodico, il timbro e la personalità della voce sono completamente differenti, e ciò ha caratterizzato in maniera decisiva il sound della band.
Invece Transparent Smiles rientra nei canoni classici della forma canzone ed è un brano veramente riuscito. Potete raccontarci la genesi di questo brano?
Questo brano parla dell’ipocrisia e dell’apparenza. Nei nostri pezzi, infatti, non facciamo altro che descrivere le cose che ci succedono o che vediamo accadere intorno a noi tutti i giorni. Dal punto di vista compositivo, non essendo legati ad uno stile o ad un genere in particolare, ogni volta cerchiamo il modo più appropriato e convincente per veicolare quello che vogliamo comunicare.
Nello specifico, Transparent Smiles risulta più melodica degli altri brani di Pretty Prizes, anche perché è stata scritta prima che ci fosse il cambio alla voce e, nonostante abbia subito diverse modifiche nella struttura, tagli nel testo, riadattamenti e riarrangiamenti, conserva le linee melodiche originali, che da subito si erano rivelate efficaci.
Mi ricordo che il primo incontro con il vostro progetto fu un ep che lasciavate gratis all’uscita di un concerto dei Marlene Kuntz. Entrambi i vostri due lavori sono delle autoproduzioni. Cosa pensate dell’autoproduzione in generale e della promozione web e passaparola?
In realtà nella band solo Dust può definirsi autoprodotto, visto che ha scelto di investire personalmente sul progetto, e noialtri siamo di conseguenza “prodotti” da lui. Scherzi a parte, se non trovi qualcuno disposto a darti una mano o a collaborare, l’autoproduzione diventa una necessità dettata dall’urgenza di pubblicare un lavoro in cui si crede. E questo, purtroppo, non è quasi mai qualificante, visto che l’autoproduzione è generalmente considerata un prodotto di serie B, a prescindere della sua effettiva qualità. Del resto molte piccole etichette “producono” gli artisti chiedendogli soldi, senza correre rischi di seri investimenti, senza praticamente cacciare un euro e soprattutto senza un minimo di ritegno. In sostanza sono autoproduzioni col nome di altri. Siamo disgustati da questo modo di agire: tanto vale autoprodursi sul serio. Preferiamo metterci la faccia, rischiare i nostri soldi (quelli di Dust!) e sottostare solo alle nostre regole. In quest’ottica la promozione è fondamentale, specie col web e col passaparola, per diffondere “dal basso” la musica che non può godere di grandi vetrine.
Quanto conta l’attitudine live di una band ? Cosa pensate delle vostre performance? Riuscite a trasmettere le emozioni registrate nei vostri dischi?
Riteniamo che la musica necessiti di una componente visiva e del contatto umano tra chi suona e chi c’è di fronte, perciò conta tantissimo: è un potente mezzo di coinvolgimento ed amplifica le sensazioni, specie nel rock. Inoltre la musica è un momento di condivisione. Speriamo che a lungo andare la fruizione della musica non avvenga esclusivamente nell’isolamento dell’ipod e del web. Per quanto riguarda i dischi, la nostra preoccupazione è esattamente l’opposta… riusciamo a trasmettere nei dischi le sensazioni che suscitiamo (e che noi stessi proviamo) dal vivo?
Cosa significa per voi sperimentare nel rock?
La musica è libertà e quindi, dal momento che già si può praticamente fare quello che si vuole, sembra superfluo parlare anche di sperimentazione. Noi, ad esempio, abbiamo scelto di contaminare il rock dei nostri album con frammenti di sonorità più tradizionali, che ci aiutano a non perdere di vista la nostra provenienza.
D’altra parte di termini come sperimentale e alternativo crediamo ne sia stato fatto un tale abuso che ormai tutti si affrettano a definirsi tali, senza preoccuparsi semplicemente di produrre buona musica.
Un nome di gruppo italiano con cui vorreste collaborare e perché?
Nei nostri cinque anni di attività abbiamo imparato che la musica è un’occasione di incontro prima umano che professionale. Collaborare non è altro che un naturale sviluppo dei buoni rapporti che si riescono ad instaurare. In linea di massima troviamo stimolante l’idea di collaborare con artisti anche molto diversi da noi, per ottenere così risultati fortemente contaminati e poter arricchire la nostra gamma di sonorità più propriamente rock. Ci vengono in mente ad esempio Daniele Sepe e Enzo Avitabile, con i loro fiati, le loro sonorità mediterranee e la loro continua ricerca di coniugare innovazione e tradizione, o Vinicio Capossela, che pare sia un grande bevitore da sfidare…
Ho visto che donate in free-ware tre vostri brani(link). Cosa ne pensate del free-download?
È un ottimo strumento promozionale per avvicinare potenziali ascoltatori. Noi lo utilizziamo e ne testiamo continuamente l’efficacia, visto che in maniera facile e veloce concede alla nostra musica una buona circolazione e visibilità.
Quanto è facile trovare spazi per esibirsi live in Italia, in particolare al Sud?
Ci sono molti posti per suonare, ma quelli che più si distinguono per una discreta programmazione sono davvero pochini. Ovviamente per questi contesti più apprezzabili c’è da mettersi in fila: se i posti sono così pochi e i gruppi così tanti, evidentemente in Italia ci sono più musicisti che potenziale pubblico. Il Sud non è messo peggio, anzi constatiamo molto fermento. Basti pensare al successo che conseguono i numerosi festival estivi che qui si organizzano ogni anno, tutti con ottime offerte musicali del panorama nazionale ed internazionale.