Lo scopo di LostHighways è soprattuto quello di scovare delle ginestre nel deserto lavico della musica underground italiana. Scoprire le atmosfere eteree e lisergiche della musica dei The Mantra ATSMM è stato come trovare uno scorcio nascosto nella tua città natale, come lo svelarsi de “la porta magica di Coraline” tra i luoghi di ripetuto consumo di vita quotidiana. Dove si parla solo di corruzione e disastri ambientali, come Napoli e dintorni, è nato un gruppo di quattro amici che traghettano su scenari di densità marina la voce sognante e profonda di Adriana Salomone. Defeated songs è il loro disco d’esordio e fende l’anima dell’ascoltatore. Questa giovane band ha grosse potenzialità e LostHighways non poteva non darle il dovuto spazio tra le sue strade, sperando di spingere altri a varcare la porta immaginaria della loro suggestiva musica.
“Mare mare voglio annegare, portami lontano a naufragare” (F. Battiato). Questo versi riecheggiano in un angolino dell’artwork di Defeated songs e ritorna cantato sul finire del brano Septembers. Come mai questa citazione?
Dietro questi versi c’è un profondo senso di appartenenza e rispetto verso la nostra terra e verso determinati artisti italiani quali Ennio Morricone, Nino Rota, Fabrizio de Andrè e lo stesso Franco Battiato. Abbiamo scelto proprio quest’ultimo perchè riascoltando a ripetizione La Voce Del Padrone, nel periodo di composizione di Septembers, abbiamo notato come lui stesso cantava versi dei Beatles e dei Rolling Stones, introducendo citazioni in inglese su testi in italiano. Ci abbiamo giocato su ed abbiamo deciso in questo modo, e con il suo consenso, di utilizzare una parte di un suo testo, l’unica di tutto il disco in italiano su dei brani in inglese.
Vi va di spiegare le origini del nome della band?
No! Scherziamo, in effetti è un puzzle di citazioni: MANTRA è un brano di Lateralus dei Tool, SPOTLESS deriva da un film che abbiamo amato a lungo, The eternal sunshine of the spotless mind, MOON è stata scelta perchè in quel periodo avevamo un’ossessione sia per Moonchild dei King Crimson che per Sail to the Moon dei Radiohead… e così via.
Se doveste definire la vostra musica attraverso un’opera d’arte, quale sarebbe?
Non crediamo ci sia un’opera d’arte che possa definire la nostra musica. Sicuramente siamo influenzati da moltissime forme di espressione, dalla pittura alla scultura, dall’architettura alla musica. E’ molto difficile il rapporto con la nostra stessa espressione, sicuramente non è un approccio lucido, come può essere quello di un ascoltatore.
Siete un band di origine partenopea che ha scelto di cantare in inglese. Il vostro obiettivo è quello di valicare i confini italiani o semplicemente è stata una scelta artistica?
Non crediamo ci siano obiettivi nell’arte, almeno intesi in termini di mercato. Semplicemente abbiamo la necessità di comunicare al maggior numero di persone possibile e la lingua inglese è quella che lo permette.
Come è nata la canzone Clouds?
Clouds è nata da una particolare sequenza di accordi e da un lungo testo che abbiamo scisso ed utilizzato in due canzoni (Clouds e The Inner Season). Inizialmente era arrangiata semplicemente con chitarra acustica e due voci, ma non eravamo completamente convinti del pezzo, ne abbiamo parlato con Luigi ed abbiamo deciso di arrangiarla attingendo dalle sonorità di Billie Holiday.
In una scala da 1 a 100 quanto vi sentite pronti e perfetti in veste live e perchè?
Siamo eternamente insoddisfatti, si può sempre migliorare e se si vuole davvero lasciare il segno bisogna lavorare, lavorare e continuare a lavorare; questo discorso non riguarda solo il live ma è proprio il nostro approccio alla vita. Il live sicuramente è il momento più bello del nostro lavoro, c’è il pubblico, c’è la musica che fa da tramite e ci sono quattro amici di lunga data che cercano di dare il meglio.
Una band italiana a cui vi sentite molto vicini dal punto di vista artistico?
Amiamo Battiato, De Andrè, Battisti, i grandi compositori come Morricone o Rota, i cantanti degli anni ’60 come Bruno Martino, alcuni jazzisti come Paolo Fresu.
Dal vivo suonate una suggestiva cover di David Bowie, perché?
C’è sempre molto da imparare dal Duca Bianco, abbiamo provato a riarrangiare Space Oddity per vedere che effetto avrebbe fatto cantare una sua canzone con le nostre sonorità, il risultato ci ha soddisfatto e così l’abbiamo registrata e spesso la proponiamo dal vivo.
Quanti compromessi siete disposti ad accettare per raggiungere un eventuale successo mainstream?
Il mainstream lo si ottiene quando si riesce a comunicare tanto alle persone nel modo più semplice possibile, è un percorso artistico molto stimolante e ci vuole davvero tanto tanto lavoro. Ce la mettiamo tutta, non è un compromesso per noi, piuttosto si tratta di un obiettivo.
Cos’è la musica indipendente per voi?
Per noi c’è la musica e basta, è tutta una questione di comunicazione, come dicevamo prima. Non riusciamo ad etichettare così facilmente l’espressione.
Cosa pensate di internet come strumento di promozione?
Sicuramente internet dà la possibilità a molte band, come noi, di mettersi in contatto con tanti artisti e con tante persone, una buona promozione virale ti permette davvero di raggiungere ottimi traguardi.
Cosa ha ispirato l’art work del vostro disco?
Abbiamo lavorato, come al nostro solito, con Helder Pedro Moreira, il nostro grafico portoghese di fiducia. Volevamo esprimere il concetto del nostro album di debutto in maniera semplice ed efficace. Il tema trattato è la sconfitta, vista tuttavia con accezione positiva, in effetti è il punto più basso da cui partire ed in un certo qual modo quando si è sconfitti ci si sente consolati del fatto che più in basso non si possa andare. E’ come essere ai piedi di una montagna da scalare e per apprezzare il raggiungimento della vetta, in maniera più assoluta, è necessario percorrere tutta la risalita. L’artwork vorrebbe esprimere quest’idea, un uomo che innaffia una pianta secca, cercando di farla germogliare, rinascere, di darle nuova vita.