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L’ultimo Dio si chiamava Carnevali: reading di Emidio Clementi@Certosa di Bologna 07/10/10

eclementi_0110Nella scrittura, nulla è più difficile dello scrivere della parola. Ecco, solo a dirlo suona contorto. Non aveva tutti i torti Frank Zappa affermando “parlare di musica è come ballare di architettura”, ma di certo è più semplice che scrivere della parola perché, quando le armi sono le stesse, il duello è alla pari. E io, ovviamente ed umilmente, so che perderei; anzi, neppure mi voglio mettere in competizione, figuriamoci.
Come posso ora scrivere di Emanuel Carnevali, del suo Il primo dio? Come posso ora parlarne seguendo i passi della voce e della penna di Emidio Clementi? Come posso districarmi dal timore? Se solo sapessi suonare uno strumento per davvero, potrei cambiare arma: potrei suonare di loro. Sicuramente riuscirei in modo pessimo, ma sarei più sereno. Invece posso solo scriverne. E non posso farne a meno. E’ più forte di me.
Ora solo le emozioni possono, caso raro, venirmi in aiuto. Loro mi porteranno su strade diverse dall’analisi letteraria. Le emozioni mi traghetteranno lontano dal turbinio lessicale, catapultandomi nella tempesta immaginifica dei sentimenti, delle sensazioni, dei perché e delle risposte da scoprire in una vita.

Sopra la testa solo una manciata di stelle e qualche lampione; il silenzio dei passi che mi accompagnano al camposanto. E’ una sera di inizio ottobre, e sto per entrare in un’altra Bologna. Una è per i vivi, una è per i morti, con la differenza che i secondi non se la prendono se gli abitanti vicini ogni tanto passano a trovarli, tutt’altro, credo faccia loro piacere. Camminare e scrutare gli epitaffi, scorgere minimi dettagli delle loro vite, osservare l’arte che li ha accompagnati nel trapasso, ricordarne le loro storie. Ammirare i magnifici baffi degli uomini degli anni ’20, sconvolgersi per l’intensità degli sguardi delle donne dei ’50, impressionarsi per la magnificenza di alcune lapidi ed opere artistiche, provare compassione per l’umiltà e l’essenzialità di altre disadorne sepolture. Questa sera però l’attenzione è puntata su una delle tante vite qui custodite: la vita di Emanuel Carnevali, artista della parola, vissuto con coraggio nei primi del Novecento tra l’Italia e la sua America.
Numerosi camminiamo nel silenzio del cimitero monumentale La Certosa di Bologna. Una struttura enorme e regolare, ordinata in strade, portici e sentieri, cresciuta ed ampliata dal corpo di un monastero certosino risalente al 1334.
Siamo un folto gruppo, particolarmente eterogeneo per età, e ci siamo trovati tutti qui fondamentalmente per due differenti motivi: i più giovani (tanti) sono stati indubbiamente attratti dalla performance musical-letteraria in programma, ad opera di Emidio Clementi e Massimo Carozzi; i più anziani, invece, sono stati richiamati dalla rassegna concertistica “Adorate le stelle che non passano mai” la quale intende riavvicinare i cittadini ad un luogo tanto importante quanto magnifico come la Certosa di Bologna.
Raccolti nel cortile della chiesa, ci spostiamo verso la sala del Colombario, dove si terrà lo spettacolo; durante il cammino tra gli antichi porticati del monastero effettuiamo alcune brevi pause nelle quali ci vengono date alcune curiose e fondamentali informazioni sulla importanza artistica e storica del luogo, delle tombe sulle quali realmente camminiamo, sugli affreschi e le sculture che sfioriamo e scorgiamo tutt’intorno a noi.
Il buio è in armonia con le luci soffuse e tremanti delle candele, fin quando non raggiungiamo la sala del concerto: una grandiosa galleria (a metà tra una cattedrale ed una sontuosa galleria del centro cittadino) è illuminata con luci rosse e blu; fiori e candele stanno a terra sulle tombe e sui loculi ad illuminare pavimenti e pareti. La città dei morti risplende di nuova vita: qualcosa di inusuale e grandioso.
Chissà quante storie sarebbero da raccontare, chissà quante vite degne di attenzione sono custodite intorno a noi? Proprio in omaggio a tutte queste altre vite silenti, una è bene urlarla e diffonderla. Quella forse più curiosa ed al limite. La vita di un intrepido sedicenne che nel 1914 decide di fuggire dalla famiglia e tentare di vivere d’arte e per l’arte, in America.
Emanuel Carnevali, per soli sei anni, visse tra New York e Chicago, ma questo breve lasso di tempo gli bastò per sconvolgere la sua persona e la letteratura d’oltre oceano. La sua personalità forte e lontana da ogni tipo di conformismo riuscì ad esporlo alle attenzioni di grandi poeti e scrittore dell’epoca: Max Eastman, Ezra Pound, Robert McAlmon, William Carlos Williams, amici, colleghi, compagni di avventure. La propria scrittura, espressa con un personalissimo americano sgrammaticato ma incisivo ed affascinante, permetteva a Carnevali di descrivere il mondo con i cromatismi delle emozioni, esaltando i dettagli, senza perdere occasione per criticare e denunciare i mali della società. Visse di stenti, con lavori saltuari, frequentando delinquenti e prostitute, fin quando nel 1922 dovette tornare in Italia per cercare di curarsi da una malattia nervosa che lo costringeva in balia di potenti e continui tremori. Fu ricoverato a Bazzano, in un ospedale di provincia dove rifugiò il corpo e la mente, continuando a scrivere poesie e testi fino alla sua morte nel 1942. Proprio nella Certosa di Bologna venne sepolto e poi traslato in un ossario comune.
eclementi_0210Dimenticato da tanti, Emidio Clementi lo scoprì in gioventù. Nel suo romanzo, L’ultimo dio, Clementi racconta di come venne a conoscenza dell’opera di Carnevali e come questa ebbe la capacità di cambiargli la vita. Questa sera, nella sala del Colombario la musica si staglia tra le navate, la voce amplificata giunge alle orecchie trasformata dal tonante rimbombo della struttura. Assistere a questo speciale reading letterario è qualcosa di fortemente faticoso, che richiede un’attenzione fuori dal comune a causa di una pessima acustica controbilanciata dalla incredibile bellezza del luogo.
La voce di Clementi e le sue parole non perdono però di intensità. L’ultimo dio ci narra il parallelismo di due vite e due rielaborazioni romanzate semiautobiografiche: la vita sregolata da poeta maledetto di Carnevali e quella di Clementi stravolta dall’incontro con l’opera del primo.
Il racconto di Clementi sfugge da un luogo all’altro, di situazione in situazione, da Bologna degli anni ’80, all’infanzia a San Benedetto del Tronto (anni ’70) fino alla Svezia; nel romanzo si può leggere della consapevolezza di un uomo diventato adulto, dei primi passi sulle proprie gambe, della nascita dei Massimo Volume, del loro scioglimento, del quotidiano, magnifico o crudo che sia. In corrispondenza con ciò si trova l’America di Carnevali, lo sporco, la poesia, il coraggio, la sofferenza, il dolore, la morte, la capacità dell’arte di trovare nuova vita nei cuori altrui.
Clementi racconta l’incontro con Carnevali come qualcosa di più di una fascinazione letteraria: la sua vita è cambiata perchè Il primo dio ne ha scontornato gli spigoli, ne ha creati altri. In un’intervista affermava che il romanzo si chiama L’ultimo dio, perchè Carnevali, per lui, è stato quello: dopo di lui, non ha sentito più la necessità di ammirare così tanto qualcuno, non ha sentito più il bisogno di affidarsi a qualcuno.
Questa è la poesia di Carnevali vista attraverso la vita di Clementi. Oggi quest’ultimo ce ne ha parlato in un evento unico ed irripetibile, il cui ricordo tutti i presenti porteranno per lungo tempo al caldo dentro di sé.
Il corpo di Carnevali riposa da qualche parte, in un punto imprecisato qui intorno a noi, vicino a noi, e mai come oggi suonano vere e profetiche queste parole che Carnevali un giorno scrisse.

Ai poeti

Essenze di ogni bellezza interiore,
violini le cui corde vibrano
in lunghe, dolci, delicate armonie –
anche se vi toccano le dita ruvide del mondo,
anche se vi toccano le dita fredde del Dolore –
pensate al giorno
in cui dal sonno delle vostre tombe
vi desteranno il tuono delle vostre voci
e il vento forte, fresco della vostra musica:
e nella terra fertile degli anni
le vostre voci fioriranno e diverranno tuono,
la vostra musica diverrà vento che purifica e crea.
(Emanuel Carnevali da Lo splendido luogo comuneIl primo dio, 1918, ed. Adelphi)

Ora ho un sentore, come un brivido leggero ma definito: sento che questa serata mi ha segnato. Forse non quanto a Clementi segnò la lettura in una sola notte del romanzo di Carnevali, però sento ancora viva sulla mia pelle l’intensità dell’incontro magnifico al quale ho assistito. Come due persone che si rinnovano stima ed amicizia, questa sera al Cimitero Monumentale La Certosa di Bologna è andato in scena uno spettacolo intimo ed appassionato. Ne è testimone tutta la gente che pian piano, in difficoltà nel sentire il rimbombo delle parole sulle pareti secolari, si accalcava sempre più vicino a Clementi, e chi come me sul finale si è spostato dietro agli amplificatori, per sentire la voce viva di Clementi, senza filtro.
Non è stato un concerto, forse qualcosa di più simile ad un rito pagano. Un reciproco dirsi “grazie”, tra uomini ed artisti, e mi piace convincermi di averlo sentito echeggiare insieme i miei passi, nel silenzio del camposanto.
(Foto di Emanuele Gessi)

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