Come sentirsi di vetro tra correnti troppo solide. Essere dell’accanto, dell’altrove, di quel luogo-limbo in cui ci si consuma la carne a forza di sogni, tentativi, coerenze, apnee. Osare un ritratto al difetto, alla lacuna del respiro, all’eccesso di un qualsiasi amore, foss’anche amore per se stessi. Essere e osare. Ecco L’Inesatto. Ecco i Vanderlei. In uscita per Cinico Disincanto/Alidon, L’Inesatto non è solo il primo disco della band: è una destinazione. Di quest’isola su cui ci è piaciuto naufragare parliamo con Cristian, il cantante del gruppo. (Cedere è in streaming autorizzato)
L’Inesatto vedrà la luce alla fine di ottobre. Si tratta del vostro primo album ma non del vostro debutto. Avete una storia. Il progetto Vanderlei ha inizio nel 2005, dopo la precedente esperienza come Kybbutz dal 1999. Dieci anni e più di musica vissuta, suonata, voluta. Cosa è divenuto substrato stilistico e cosa si è perduto o rigenerato nel corso del vostro percorso artistico?
Penso che ciò che ci ha sempre caratterizzato in questi anni, seppur con alcune modifiche di line-up, è l’incontro di storie diverse, o ancora meglio di anime diverse. Non siamo un monolite di gusti musicali, e forse nemmeno di stili di vita, pur essendo ovviamente carissimi amici. Siamo un’entità unica ma in noi c’è una pluralità di idee, di gusti, di scelte che con l’andare degli anni forse abbiamo imparato a gestire e capire meglio. In fondo è questo quello che facciamo: incontrarci, provenire ognuno dalla sue quotidianità e ritrovarci con gli strumenti in mano per raccontare una storia comune.
Come è avvenuto l’incontro con Paolo Benvegnù? Come avete lavorato sui pezzi? Il sentimento delle cose è un sentimento che pulsa fra le pieghe dei vostri pezzi, nella cura straordinaria che li avvolge…
Era il 2002 e ai tempi lavoravo per un’emittente radiofonica bolognese. Paolo aveva appena prodotto un paio di brani nell’album TrasParente di Marco Parente ed ebbi modo di intervistarlo e di organizzargli qualche data a Bologna. Ai tempi, ricordo, Paolo girava con gli Otto’ p’ notri suonando i brani di questo gruppo, degli Scisma e qualche idea dei brani del suo primo disco solista che ancora doveva uscire. Ebbi così modo di conoscerlo meglio e capire che persona stupendamente umana, oltre che artista magnifico e sincero, fosse. Feci sentire a Paolo il nostro demo di allora e lui ne fu entusiasta. Poi uscì Piccoli fragilissimi film, album che mi folgorò letteralmente e capii che poter lavorare con lui sarebbe stato un modo per affidare a mani sapienti la nostra creta musicale e darle una forma ben più bella e completa, grazie alle affinità che sempre più coglievo con il suo percorso. Già la produzione del nostro precedente ep 1234 doveva essere affidata a Paolo, ma i diversi impegni non hanno reso possibile questa cosa. Nel frattempo ho continuato a sentirlo e a seguirlo. Intanto erano nate le prime idee dei brani de L’inesatto, abbiamo fatto sentire i provini a Paolo, che questa volta ha voluto definitivamente entrare nel progetto. Abbiamo sviluppato anche con lui la fase finale di scrittura dei brani per poi riuscire finalmente a entrare in studio nel 2009. E proprio in studio le affinità che ti dicevo prima sono sbocciate e hanno dato i loro frutti. Ovviamente non è da dimenticare oltre al lavoro del “maestro Paolo” anche il prezioso apporto di Michele Pazzaglia.
Moda, dal latino modus – i, letteralmente maniera, norma, regola, tempo, melodia, ritmo. Pensiamo ad un gusto prevalente, a comportamenti collettivi omologanti, alle tendenze del bello, del nuovo, del giusto. Pensiamo alla musica, pensiamola in Italia, oggi. Ed ecco L’Inesatto rivelarsi un lavoro difficilmente collocabile, esserlo volutamente. Cosa NON voleva essere? Quale spazio vuole abitare?
Come ti accennavo prima la nostra musica nasce spontaneamente dall’incontro di noi piccoli giocatori del suono. Praticamente mai si arriva in sala prove con un brano scritto da qualcuno di noi da proporre agli altri, ma tutto nasce assieme spontaneamente e in diretta come in una jam session. Ed essendo il risultato diretto e onesto del nostro incontro, non c’è idea preconcetta di quello che vogliamo fare, ma seguiamo le sensazioni che nascono durante la creazione della musica. Avremmo poi potuto nel disco cercare di inseguire le mode, i suoni e i ritmi che vanno oggi per la maggiore, ma sarebbe stato, e Paolo questo l’ha capito subito, snaturarci. Ha semplicemente voluto essere la nostra più onesta espressione.
Sfama la migliore fame” (Lob) / Alla fonte di te può restarti la sete (L’inesatto). Qualcosa di primordiale, qualcosa di inafferrabile. L’aroma del sogno, l’odore pungente della carne. Il colore dei lividi, le sfumature dei margini. Parole che afferrano, sputano, denudano, placano. Vertigini. Parole che non riescono a restare solo parole. Come accadono le vostre immagini? Cosa avete fermato nei vostri pezzi?
Ho differenti metodi di scrittura. Solitamente cerco di registrare le immagini che mi circondano reinterpretandole con una forma più definita. Raramente mi metto a scrivere un testo di getto tutto d’un fiato, ma appunto pensieri immagini e sensazioni che vanno poi a prendere una forma e un senso sul gramelot melodico che canto sulla musica creata assieme agli altri. Poi mi ritrovo a capire che le immagini e le parole che ho composto vanno a fotografare non solo il mondo che ho attorno ma anche un percorso personale ed intimo ben preciso, ma ampiamente condivisibile.
I sogni vincenti fanno brillare del resto anche gli occhi più stanchi (Il fascino dell’attimo). Cosa rende vincente il/un sogno?
Il sogno, penso, è per sua natura vincente. Il fatto stesso di avere, coltivare e non scappare di fronte ai propri sogni ci rende migliori.
Graffi e l’accettazione di sé, delle domande destinate a non trovare risposta. Ho visto graffi di poeti sui muri e non li ho capiti / ho riso, ho pianto, lo stesso – fuggendo. Dell’imperfezione e la sua sostanza di pregio…
E’ tutto qui. Il fulcro del percorso del disco è l’accettazione della propria inesattezza, fallibilità, umanità. E accettarsi completamente per quello che si è diviene un punto di forza per ognuno di noi e rende tutto in fondo molto più semplice. Ma sia chiaro: proprio perché inesatti qui nessuno pensa di insegnare nulla sulla vita agli altri! Sono solo punti di vista e stimoli che spero possano essere condivisi e compresi.
Cosa ci riservate per il prossimo futuro? Avete pensato a qualcosa di particolare per i vostri live?
Stiamo ovviamente organizzando la presentazione live di questo disco. Quello che posso dire è che forse rispetto alla registrazione, pur mantenendo la magnifica veste cucita da Benvegnù, mostrerà un po’ più di nervo e potenza, cosa penso normale nei live dove ciò che ci interessa è principalmente coinvolgere emotivamente il pubblico. Stiamo anche iniziando a buttare giù nuove idee che non escludo possano già essere presentate nelle situazioni dal vivo.
Una curiosità: Vanderlei Cordeiro de Lima, il maratoneta. Come vi è successo di pensare a lui scegliendo il nome per il vostro progetto?
Seguii quella maratona delle Olimpiadi di Atene del 2004 in diretta. Questo maratoneta che stava vincendo la sua ultima importante gara della carriera. Poi avvenne il placcaggio di quel pazzo che lo buttò a terra, rompendogli il fiato e il ritmo. Vanderlei si rialzò comunque e continuò la sua gara, ma il tempo perso e la fatica dello shock permisero all’italiano e all’americano di superare il maratoneta brasiliano. Quando infine lo vidi esultare comunque entrando per terzo nello stadio mi venne subito l’idea. Per l’immagine che mi diede di una persona che non si abbatte di fronte alle avversità e sa esultare anche senza vincere, o vincendo in modo minore, portando comunque a termine il suo sogno. Ovviamente anche il suono del suo nome mi convinse subito, oltre al fatto che l’idea di dare un nome proprio di persona a un collettivo mi piaceva molto, come identificare una sola persona, una sola entità.
Un’ultima intromissione: c’è un libro che vorreste avesse letto chi vi ascolta? Un film in particolare che vorreste conoscesse? Un disco che credete imprescindibile?
Domanda non facile… Mi ricollego allora a spunti detti finora. Potrei consigliare diversi libri, ma leghiamoci al concetto di collettivo di persone che si identificano sotto un solo nome proprio comune. Potrei perciò consigliare un qualsiasi libro di Wu Ming, collettivo di scrittori tra l’altro concittadini. Uno fra tutti Q , anche se ai tempi il collettivo si chiamava ancora Luther Blisset, un libro appassionante e avvincente che parla di storia di popolo in maniera epica, dando diversi spunti sull’oggi. Il disco è facile, Piccoli fragilissimi film di Paolo Benvegnù, un album che sa entrarti dentro come raramente succede. Riguardo il film potrei consigliare Stalker del 1979 diretto da Andrej Tarkovskij. Dovrebbe essere un film di fantascienza, in realtà si svolge come un vero e proprio viaggio catartico. Ti cito una parte del monologo dello Stalker: “La debolezza è potenza, e la forza è niente. Quando l’uomo nasce è debole e duttile, quando muore è forte e rigido, così come l’albero: mentre cresce è tenero e flessibile, e quando è duro e secco, muore. Rigidità e forza sono compagne della morte, debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell’esistenza”. Come vedi un punto di vista abbastanza simile a quanto cerchiamo di raccontare ne L’inesatto, con l’imperfezione vissuta come punto di forza.
Grazie, per il vostro tempo e l’ottima occasione che rappresentate.
Grazie mille a voi per la possibilità.