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Come in un sogno: The Irrepressibles @ Teatro Storchi (MO) 09/10/10

irrepressibles_liveNon ho mai apprezzato molto i concerti di musica classica e, tantomeno, le opere di lirica. Mi infastidisce in particolare tutto ciò che, in qualche maniera, possa suonare barocco alle mie orecchie. So bene che ai più le mie parole potranno persino risultare volgari, ma da amante del rock’n’roll i miei ascolti sono decisamente orientati verso altre sonorità.
Fanno eccezione gli inglesi The Irrepressibles, il cui splendido esordio é – speriamo solo finora – sfuggito a molti addetti ai lavori. Perché se già su disco la loro formula funziona splendidamente, dal vivo si rimane estasiati di fronte a cotanta maestria.

Sarà che la cornice del Teatro Storchi di Modena, una volta entrati in platea, predispone positivamente all’evento, ma la bravura della band guidata da Jamie McDermott é fuori discussione. Sarebbe forse più indicato parlare di orchestra, perché oltre alla voce e alla chitarra del leader, sul palco sono schierati 2 clarinetti e altrettanti violini, una viola, un contrabbasso, un pianoforte, uno xilofono e percussioni varie. Senza contare gli elementi scenografici per dar vita all’Air Spectacle (in replica il 3 e 4 novembre p.v. al Romaeuropa Festival), ovvero diverse file di palloncini bianchi, che corrono dal pavimento al soffito, e una dozzina di ventilatori posizionati lungo il perimetro.
Alle 23, puntualissimi, entrano i 9 protagonisti, agghindati da capo a piedi con dei vestiti bianchi composti di piume e disposti dietro il sipario a forma di “W”, dove ovviamente la posizione centrale é appannaggio del vocalist.
L’incipit, stasera come su disco, é affidato a My friend Jo, la cui l’esecuzione é da manuale. C’é però nell’aria la sensazione che lo show debba ancora decollare; e infatti, dal brano seguente, ad ogni episodio si abbinerà una diversa coreografia: con i ventilatori in azione, tutti i componenti (eccetto McDermott, impegnato nel canto) simulano alcuni movimenti come se il vento soffiasse sui loro corpi in una determinata direzione piuttosto che in un’altra. Aggiungeteci che ciò avviene mentre negli stessi frangenti i musicisti sono impegnati a suonare gli strumenti, coordinandosi però fra loro senza alcuna sbavatura. Sarà quindi un crescendo di emozioni, per cui anche i più diffidenti – e in generale tutti coloro che nutrivano perplessità sulla riuscita della serata – rimangono a bocca aperta, estasiati di fronte a queste semplici ma azzeccate trovate.
Non per questo la dimensione sonora passa in secondo piano, anzi si crea un connubio inaspettato tra la musica e qualcosa somigliante alla danza che cresce d’intesità mano a mano che la scaletta prosegue. Segnalare quindi le canzoni che più di altre lasciano il segno é davvero un’impresa; a un certo punto, infatti, svestiti i panni del critico in cerca di tutti i possibili indizi da appuntare sul taccuino, la scelta é stata quella di godersi esclusivamente lo spettacolo. Di fronte all’interpretazione di Forget the past, Nuclear skies, Anvil, In this shirt e In your eyes lasciarsi andare alle emozioni dei momenti salienti è inevitabile; le canzoni lasciano infatti il segno nei cuori di tutti i presenti, che richiamano a gran voce sul palco la piccola orchestra quando, dopo poco più di un’ora, decide di congedarsi. Non basterà poi il bis di due soli brani per mandarci a casa felicissimi, siamo tutti speranzosi che venga quantomeno ripescata una cover dal repertorio di Grace di Jeff Buckley o finanche qualcosa da Ziggy stardust di David Bowie. Niente da fare: il rientro sul palco é per i saluti e gli inchini finali. Si accendono le luci e il sogno finisce. Ma stavolta il risveglio é fra i più belli. (Foto)

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