Suoni, come aria leggera venata di pastello, come sogni dal retrogusto di sereno e d’infanzia, come emozioni che lasciano la gola secca. Suoni ad accompagnare parole intime che si srotolano in dolcezza, come un tappeto di brividi sparsi e fiori bagnati. Suoni come gesti ritrovati, genuinità leggere uscite fuori quasi per caso tra mucchi di giocattoli dimenticati, con cui giocavamo da bambini e depositati in un angolo in cantina, tra la polvere di un incanto ormai sbiadito. Suoni come spontanei fotoscatti di stupore, di disincanto, del ritrovarsi disarmati e confusi di fronte alla bellezza. I suoni di Kiddycar, l’automobilina a pedali, eco di un’esigenza eterna: quella di voler riguardare il mondo con gli occhi sgranati di un bambino. In queste coordinate la parabola crescente della band aretina, che le nostre autostrade perdute già avevano ripetutamente incrociato negli scorsi mesi, prima in occasione dell’uscita del loro primo LP, Forget About (Seahorse Recordings) e poi di How this Word Resounds, splendida opera frutto della collaborazione con il poliedrico Christian Rainer.
E dopo che RadioUnoMusica ha proposto la band, tra gli artisti che considera il meglio delle sue scelte di musica italiana, dal pop, al rock, al soul e al jazz, sul player online del sito Eurosonic.net, stasera in diretta dall’Auditorium della sala A del centro Rai di Via Asiago a Roma le suggestioni della loro musica prendono forma in un concerto dalle tinte ancor più intense ed esclusive, trasmesso sulle frequenze di Radio1 ed in streaming sul portale di Radio Rai1. La band si avvale infatti per quest’occasione, di un trio di archi, due violini (Andrea Cortesi e Gloria Ferdinandi) e un violoncello (Paco Mengozzi), ad arricchire e colorare con un arrangiamento a dir poco sublime, le tinte soffuse delle loro note, intime e bagnate di sognante essenzialità. L’intro strumentale di As the Dawn Creeps Up the Sky, con Valentina Cidda al pianoforte, introduce magicamente l’ottimo lavoro d’arrangiamento degli archi, che tessono incantevoli aurore sonore che, accostate alla delicata impostazione indie-pop e impressionista del resto dell’arrangiamento, creano un mondo sospeso e galleggiante, classico eppur sperimentale, fatto di suggestioni aeree e gesti discreti, pregni di significato e fascino. Impressionano il cuore i gesti di Valentina, il suo modo di muoversi sul palco con leggerezza e leggiadria e di intervallare ogni brano con simboli e versi poetici suggestivi e senza tempo. In scaletta, in lenta ed elegante successione, molti brani tratti dal loro lavoro d’esordio, a dispensare intimi sussulti, in quel panico quasi dolciastro che stropiccia l’anima (nella lunga atmosfera fredda, sospesa e lunare di The Dawn and the Fly, con tintinnare antico e bambinesco di xilofono), a concedere danze di pensieri dal confine incerto con il sogno e profumo d’arancio d’intorno (nelle giravolte oniriche e senza peso di Nothing Serious), di battiti che hanno il sapore, rubando i versi a Valentina, dell’ incanto e del disincanto, come “due abissi che si tengono per mano… un pozzo che guarda il cielo”. Con Human Logic, il suo intrecciarsi metafisico d’archi, la sua leggerezza acida e turchese, il cuore non può che fermarsi per pochi istanti, battere al contrario ma così forte da farti volare in alto, per abbandonare il senso dell’umano sentire. Col brano successivo è chiamato sul palco Christian Rainer, sino ad allora seduto tra il pubblico dell’Auditorium, per intonare insieme a Valentina le profondità vibranti e sconfinate di Elsewhere, probabilmente in uno dei momenti più emozionanti della serata: un brano tratto dal loro lavoro di collaborazione, che evoca spazi vastissimi colmi di echi e di silenzio, d’eternità di striscio che durano il tempo di un timore. Ancora grandissime emozioni con la ballata cristallina e malinconica di Ame et Pau, cantata in francese, perla rara e preziosa, nonché capolavoro di grande essenzialità. Valentina canta in un registro contenuto, soffuso, che tocca ad una ad una le corde dell’anima; gli arrangiamenti del basso di Paolo Ferri e della chitarra dell’eclettico e bravissimo Stefano Santoni contornano con disciplina ogni singolo brano; il trombone di Simon Chiappelli è semplicemente una delle sorprese più belle: nei melodismi appassionati di Trop Facile, che porta alla mente Burt Bucharach e le atmosfere aperte da colonna sonora, come nella dolcissima fantasia caleidoscopica della bellissima Time, brano di chiusura che sa pescare un incastro di archi e trombone mozzafiato. I Kiddycar porteranno in giro per la penisola e con questa formazione particolare ed eclettica le suggestioni della loro musica, la poesia sospesa dei loro versi e dei loro suoni a mezz’aria. Nello stupore di chi deciderà, come noi stasera, di assistere ad un loro live di passaggio, la possibilità o l’illusione, forse, di fruire davvero della bellezza delle cose con occhi diversi, magari soltanto il tempo di un’emozione.