La claustrofobia che diventa rock. La cappa angosciante di oscurità che ammanta il nostro apparente mondo da incubo. Atmosfere da David Cronenberg a David Lynch nel noise di una delle più interessanti live band italiche: The Dead Elephant. Citazioni dall’Ecclesiaste in un rock che rompe gli argini della psichedelia per giungere ad impeti metal-doom con intermezzi free-jazz di indubbia arte strumentale. Lowest shared descent ha ottenuto i consensi della critica. E’ il coraggio di trovare il punto di giunzione tra la mente e la carne, tra l’uomo e la bestia. LostHighways intervista Enrico Tauraso e Fulvio Grosso dei Dead Elephant per dimostrare quanta sostanza c’è dietro l’attitudine di questa band di Cuneo.
Perché nel cd avete scelto di citare quella parte del libro del Qohelet dell’Antico Testamento?
E: Il libro dell’Ecclesiaste è molto affascinante. Per molti aspetti controverso. E’ incredibile che un autore come questo sia stato inserito nelle sacre scritture.
Lowest shared descent sembra diviso in due parti: la prima più metal (più bestia, più fisica) e la seconda più psichedelico-doom (più uomo, più mentale)… com’è nato l’album attraverso le otto tracce che lo compongono?
F:L’album è nato in modo molto naturale, suonando ore ed ore nella nostra sala prove a Fossano (CN).
E: Quando scriviamo un pezzo cerchiamo di non precluderci nessuna strada. E’ la canzone che ci guida e ci fa capire come deve essere suonata. Non c’è davvero nulla di premeditato.
In Post crucifixion ci sono gli inserti sax di Luca Mai degli Zu, parlateci di questa preziosa collaborazione?
F: La canzone in cui ha suonato Luca è nata come pezzo strumentale. Dopo qualche tempo ci siamo resi conto che inserire un fiato poteva diventare un esperimento interessante su un brano come quello.
Quanto è importante la dimensione live per voi? Quanto è difficile portare in giro la vostra musica in Italia?
F:La dimensione live per i Dead Elephant è fondamentale. Un momento di catarsi con effetti benefici sulla nostra persona, diciamo quasi terapeutica. Per noi è una situazione basilar, per il benessere della band e per ricevere e dare continuamente stimoli. Nello stesso tempo ci rendiamo conto che in questo paese non c’è effettivamente una cultura rock e di conseguenza lo spazio per band come la nostra è ridotto…
E: Credo che con un progetto come il nostro sia fondamentale suonare fuori dall’Italia.
In Italia credo che sia un po’ più difficile ma non vendiamo fumo e quindi sono certo che uno spazio lo stiamo ricavando.
Come sono nate le illustrazioni “kafkiane” dell’art-work di Lowest shared descent?
E: Per conoscere la risposta a questa domanda dovresti parlare con Marco Corona (n.d.r. grande suggestivo disegnatore di fumetti). E’ lui l’autore delle tavole.
Come vi siete trovati con la RobotRadio Records?
E: Stefano è una persona molto umile e onesta, qualità umane che amiamo particolarmente… Soprattutto quando devi rapportarti verso le etichette. Mi piace l’attenzione e l’impegno con cui cura le sue uscite.
Quanto è diventata importante la rete per la promozione di un disco?
F: La rete è la salvezza per realtà musicali come la nostra perché è il luogo dove vengono scambiati milioni di canzoni di gruppi indipendenti ogni giorno. Avere a portata di mano la possibilità di poter scaricare e ascoltare la musica di una band è una rivoluzione musicale. Ci sono miriadi di band e di conseguenza sulla quantità anche milioni di dischi brutti, ed è una fortuna poter ascoltare la musica prima di lanciarsi in un acquisto.