Grigio, gonfio nel cielo di un pomeriggio che anela alla primavera. Gocce, sparse, lievi, a dar suono al silenzio che i pensieri raccolgono per trattenere il sapore dell’attesa.
19 Marzo. Un giorno di quelli che hanno un posto a parte negli angoli della memoria, ancor prima di viverli perché la sensazione dell’unicità palpita, ineluttabile.
Ore 17.00.
Poesia. Versi. Composizione. Ispirazione. Prosa. Opera. Musa. Amore. Creazione. Metrica. Suggestione.
Un senso di ricchezza e fiducia comincia a farsi strada, come un’inondazione inarginabile e piacevole.
Pubblico rispettosamente silenzioso. Un incontro vissuto come un privilegio, come un’occasione di confronto, di ascolto.
Cristiano Godano regala una prospettiva sul percorso che lo ha portato alla sua prima Opera Letteraria: I Vivi (ed. Rizzoli), una raccolta di sei racconti. Racconti in cui rintracciare un universo lessicale che scatena il gioco dei rimandi alle canzoni dei Marlene Kuntz, rimandi non volontari ma generati da un mood che prende possesso di una fase e la spinge in prospettiva, fino a coincidenze e conseguenze.
Scrittura analitica, bagnata di ironia, di sarcasmo, di ghigno, di sesso. Qualche musicista osa scrivere un libro raccogliendo l’onda della fama (presunta) e scatenando il giro degli ipocriti consensi. Qualche Musicista deve scrivere perché il tempo è maturo, perché la sua mano è sempre stata estensione di una sensibilità che prende forma/sostanza nella Parola, e nella Parola incastrata nel ritmo delle combinazioni che suonano Versi e poi Prosa. Tutti sono coscienti di interagire con un Artista, sincero, consapevole, lucido, colto che racconta la possibilità di un rapporto di fascinazione tra scrittore e lettore, come un incantesimo che per un’ora si compie fermando il tempo, dilatandolo come una bolla fragilissima che non esplode ma ondeggia in tensione.
Sembra che la sacralità del linguaggio possa essere un vizio capitale, che
L’aria intorno diventa rimembranza di altre vite: Nabokov e l’amore assoluto di una compagna che ha donato il sentimento della dedizione, anteposto ad ogni egoistica pretesa; Doisneau e la tenerezza possibile, rubata all’attimo immerso nella velocità del quotidiano, colta dallo sguardo dell’entusiamo delle due ore…
Le parole raccontano anche il motivo profondo del Live In Love Tour. La musica dei Marlene Kuntz approda nei teatri, il rock rompe la canonica ritualità e investe il corpo nella sua staticità, afferra l’attenzione pretendendola: “una buona dose del pubblico ha inteso come stanno le cose, interpretando i nostri desideri di conquistarla con musica dolcemente tesa”.
Il tempo di spostarsi al Palapartenope e nuovo stupore coglie, assoluto. Il colpo d’occhio è pura meraviglia. Il palco ispira una dimensione di totale intimità. L’attesa è vissuta a voce bassa, ancorata alle sedie blu.
Le luci si abbassano e una voce sparge frammenti da La vera vita di Sebastian Knight (V. Nabocov): “Questo ti farà soffrire mio povero amore. Il nostro picnic è finito; la strada è buia, piena di buche… Quando dico “due”, ho già cominciato a contare e non vi è più limite. Esiste solo un numero vero: Uno. E l’amore, a quanto pare, è l’esponente migliore di quest’unicità”.
L’inizio. Il granito dei MK (ovvero C. Godano, L. Bergia. R. Tesio) si arricchisce dei nuovi innesti: Luca Saporiti al basso e Davide Arneodo alle tastiere, al violino…
Un viaggio di emozioni tra presente e passato, tra morbidezza e violenza elettrica esasperata fino alle code che lanciano nell’aria spore disarmanti. Sezione ritmica incalzante; chitarre in dialogo serrato fino al delirio; un violino caldo e acido, all’occorrenza; una voce che urla tutte le sfumature più estreme dell’amore e sussurra quelle più lievi. Fantasmi, 111, Musa, La libertà, Schiele, lei, me, Ineluttabile, Uno, Nuotando nell’aria, Impressioni di settembre, La canzone che scrivo per te, L’esangue Deborah, Bellezza… e il pubblico si alza ripetutamente in piedi, sciogliendosi in un prolungato e commosso applauso. Sentirsi parte di un tutto, perdendo i contorni e fluendo: è accaduto, è stato possibile. Circa due ore e mezza di rock, dolcissimo e aggressivo, di seta e cristalli in frantumi, trovano epilogo nell’ultimo bis: Negli abissi fra i palpiti e Sapore di miele. I saluti sono interminabili. Ancora in piedi e mani che battono un ringraziamento che sembra voler trovare infiniti varchi.
I Marlene Kuntz portano sulla scena del rock l’incantesimo della comunicazione che non cerca codici comodi, superficiali. I Marlene Kuntz sanno usare le Parole, le Note e non temono di sfidare l’intelligenza del pubblico: “E’ meglio dire che l’arte è / generosa fontana / o ritenere per giusto che / sia come una spugna / che assorbe e s’imbeve di tutte le cose / con la curiosità e l’estasi della bontà?”. (Lost Gallery)
Ho visto lo spettacolo a Firenze.
L’ho trovato curatissimo sia nella scelta della scaletta che nella coreografia..
Ma devo dire che in alcuni momenti avrei voluto potermi muovere di più tanto era forte l’emozione che ho prvato dentro.
Rosa, le foto sono spettacolari.
I miei complimenti. Bucano.
Avrei voluto poter avere la tua stessa libertà di scatto.