Signore e signori ecco a voi il ritorno di The Third Eye Foundation, il lato oscuro ed elettronico, nonché progetto primordiale di Matt Elliott. Per quanto riguarda il suo lato oscuro, in verità, il ragazzo di Bristol non lo aveva nascosto nemmeno nei lavori di folk cantautorale usciti a suo nome negli ultimi anni, ma l’ultimo disco del progetto Third Eye Foundation risaliva oramai al 2001. E questo nuovo ritorno alle sonorità elettroniche non può non contenere in sé tutta l’esperienza musicale maturata da Matt negli anni, il suo interesse per la musica tradizionale dell’Europa centro-orientale e mediterranea, l’amore per gli strumenti classici quali archi e fiati, il nuovo linguaggio appreso e introiettato dal folk. Tutto questo va ad impreziosire quella destrutturazione sonora fatta di loop reiterati e di apocalittiche visioni spalmate su landscape interminabili. The Dark è un blocco unico, suddiviso in cinque movimenti come la più classica delle opere, ma un blocco che si modifica poco alla volta, che tende ad immergerti da capo a piedi nella sua solennità oscura. Lo si avverte sin dai primi gemiti dell’iniziale Ahnedonia, colmi di triste rassegnazione; gemiti che diventano versi umani confusi e poi sempre più chiari, voci che prima piangono e poi urlano la propria disperazione nella loro impossibilità di provare piacere, con pathos sempre crescente, su un sostrato ipnotico reso da un beat carico di tensione nel suo incedere fisso e ripetitivo. L’elemento ritmico di base si mantiene sempre costante anche quando accediamo a Standard Deviation, l’armonia sembra muoversi leggermente di più ma lo fa con riserbo e con lentezza assoluta, con la solita solennità avvolgente. Pareidolia mostra gli archi che si prodigano in una melodia che diviene nenia incessante e soporifera nell’illusione subcosciente che tende a costruire le forme conosciute dall’umano. Poi, ancora lentamente, si avverte un cambiamento, tutto diventa sempre più veloce e più frenetico, le forme assemblate dalla mente si fanno più nervose e allo stesso tempo più maestose e possenti, tratteggiate con maggior fermezza attraverso i pads di ulteriori archi e i fiati che emettono frequenze basse e profonde. Poi il ritmo decresce, si allenta gradualmente, si distende di nuovo, ma ora sembra tutto più confuso nel viaggio onirico ed intenso appena concluso. Infine il beat si ferma e rimane soltanto la parte classica, l’attimo di riflessione malinconica e sofferente alla luce del dolore appena provato che conduce alla più quieta Closure, almeno nella sua parte iniziale. È una quiete indotta dalla consapevolezza, dal mesto ricordo sul quale gli archi riescono a distendere una vera e propria melodia ammaliante e dissuadente. Poi i demoni dell’oscurità dominante arrivano a distorcere anche l’apparente limpidità di questa atmosfera offuscandone gli spiragli di luce, gli sprazzi di redenzione, rendendola più spastica, finché di quella melodia non rimane altro che un sottofondo disperso tra l’intricata trama della drum machine. Ulteriori rumori estranianti compaiono e crescono sempre più per poi smembrarsi in lenti cerchi concentrici decadenti che ci portano verso l’urlo angosciato della disillusa If You Treat Us All Like Terrorists We Will Become Terrorists che chiude il lavoro. Il ritmo della drum machine si fa repentino, gli archi sono inesorabili, oscuri e bassi, come i passi dei soldati che incedono sicuri verso il loro obiettivo. Sembra di sentirli mentre si avvicinano sempre di più. La rabbia cresce insieme alla tensione che diventa quasi insopportabile fino a dissolversi verso un’oscurità ancora più profonda, lasciando immersi senza la possibilità di uscirne. È la fine. E in essa si rispecchia il buio del mondo moderno con tutte le sue ansie e le sue paure.
Credits
Label: Icy D’Ailleurs – 2010
Line-up: Matt Elliott – Chris Cole – Chapelier Fou
Tracklist:
- Anhedonia
- Standard Deviation
- Pareidolia
- Closure
- If You Treat All Like Terrorists We Will Become Terrorists
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