Batterista, chitarrista e cantante, Davide Combusti, in arte The Niro, si prepara all’uscita del suo primo disco solista dall’omonimo titolo The Niro.
E lo fa in quest’intervista schietta ed efficace, con la quale invita ad entrare trasversalmente nel suo mondo. Dopo la folgorazione per An ordinary man, LostHighways indaga da vicino il mondo affascinante di The Niro.
Un rapido sguardo su ciò che già è stato e su ciò che si appresta ad essere.
Ma bastano poche parole quando hanno il dono di essere quelle giuste.
Hai iniziato come batterista per poi trovare una strada che ti permettesse di esprimerti in prima persona. Da cosa nasce quest’esigenza?
E’ nata per caso, una mattina di qualche anno fa. Ho iniziato a scrivere, e non mi sono più fermato. E’ passato almeno un anno prima che decidessi di suonare i miei brani dal vivo.
Sei giovane e hai una storia artistica relativamente breve. Eppure puoi vantare esperienze notevoli. Una su tutte, l’apertura della data romana dei Deep Purple nel 2006. Come si arriva su un palco del genere?
E’ stato un caso. Mi chiamò un noto organizzatore di live a Roma, e mi chiese se quella sera avessi avuto da fare, perché c’era da aprire un concerto. Quando mi disse che si trattava dei Deep Purple lì per lì rimasi colpito, ma poi cominciai a ridere, e accettai.
A quanto ho capito, altri erano stati contattati prima di me, ma si rifiutarono di affrontare 8000 rockers incazzati. Armato di chitarra classica elettrificata, andai al Palaghiaccio di Marino. E’ stata un’esperienza intensa. Dopo il concerto Don Airey mi disse che ero stato un eroe. Non ci dormii per due notti.
La scelta della lingua inglese per esprimere il tuo talento, ti ha aperto le porte dei locali d’Europa e d’America. Cosa pensi delle diverse scene musicali con cui sei entrato in contatto?
Adoro la scena underground americana. Trovo che al di là del valore oggettivo della musica statunitense, ci sia tra i musicisti un rapporto molto cordiale, di rispetto. E sono anche ospitali. A New York, lo scorso settembre, in un momento in cui mi ero trovato improvvisamente senza un alloggio, sono stato ospitato dal batterista degli Asobi Seksu per una settimana. Non mi aveva mai visto prima.
L’uomo comune oggi si lascia scivolare tutto addosso. Non si stupisce più di niente. Non sogna più.
Mi piace molto Martin Amis, ma anche il primo Jonathan Coe. Leggo molte biografie di personaggi storici.
Nei testi di questo ep parli della verità e dei suoi odori. Dell’errore e delle sue forme. Che ruolo giocano queste due componenti nella tua vita di uomo e di artista?
Sono parte di me, come credo anche di qualunque altro essere umano. Nello specifico, Mistake parla di un mio autoammonimento riguardo certi personaggi del mondo della musica che mi avrebbero volentieri cambiato artisticamente. Quindi è un invito a non sbagliare.
L’11 aprile è prevista l’uscita del tuo disco. Cosa pensi che possa aspettarsi il pubblico dopo l’anticipazione dell’ep e del primo singolo estratto, Liar? E cosa ti aspetti invece tu da questo disco?
Non lo so davvero. Dentro quest’album c’è tutto ciò che amo. Spero che arrivi soprattutto l’onestà della proposta. Per il resto non mi aspetto nulla in particolare.
Benissimo, direi! Non farei altro nella vita.