Sono passati vent’anni dall’uscita dell’album che ha certamente cambiato la storia del rock, non a causa di particolari virtuosismi strumentali, ma semplicemente perché in ogni nota e in ogni urlo del cantante sono racchiuse le sensazioni e le angosce di un’intera generazione che intravedeva in lui un autorevole portavoce. Si tratta di Nevermind, il secondo album dei Nirvana, divenuto un totem e un manifesto culturale, il simbolo di uno stile di vita. Di lì in poi la musica non sarebbe stata più la stessa.
Allora i Nirvana non erano ancora i mitici apostoli del grunge ma soltanto un gruppo con all’attivo un promettente album d’esordio intitolato Bleach. A distanza di due anni da quell’album dal suono molto più vicino all’hard rock e al metal, Kurt Cobain e Krist Novoselic incominciano a pensare a qualcosa di nuovo, seguendo la strada indicata, in parte, da band come i Sonic Youth. Le nuove sonorità nate dall’incontro del punk con influenze metal e con elementi della scena alternativa e l’ingresso nella line-up di Dave Grohl alla batteria fanno fare un salto di qualità al gruppo. Il suono si presenta meno grezzo rispetto al loro primo lavoro anche a causa di alcune intromissioni della casa discografica, la Geffen. Cosa che farà infuriare Kurt al punto di farlo arrivare a ripudiare l’album il cui sound non lo soddisfaceva.
Il titolo del disco Nevermind significa “non importa” o meglio “non ci pensare”, scelto per sottolineare il clima di indifferenza che Cobain voleva, a tutti i costi, squarciare. Significativa a riguardo la cover che ritrae un bambino di quattro mesi (Spencer Elden) fotografato in una piscina di Pasadena in California mentre insegue un biglietto da un dollaro infilato in un amo da pesca. Quel bambino sono io – avrebbe detto più tardi – vorrei trattenere l’innocenza di quell’istante per sempre.
Ma Nevermind è più di un disco: è la quintessenza della musica grunge. Produsse un memorabile ricambio culturale e uno shock mistico.
La traccia d’apertura Smell Like Teen Spirit è, di sicuro, la canzone simbolo dell’album: le urla doloranti di Cobain sembrano poter spazzare via la frivolezza degli anni ottanta. Splendido il lavoro alla batteria di Dave Grohl, mentre l’assolo avvolgente di chitarra di Cobain che riprende la linea melodica della voce è uno dei più belli nella storia della musica rock.
Segue In Bloom con il suo acidissimo assolo e l’urlo rabbioso del ritornello che introduce una melodia semplice. Le prime parole, mormorate su un giro di basso laconico e depresso, sono la rappresentazione migliore del disagio di Cobain (“Sell the kids for food/ weather changes moods/ Spring is here again/ reproductive glands”).
Segue il malinconico giro di basso diventato leggenda, quello di Come As You Are. Il testo parla dell’insicurezza a relazionarsi con gli altri sebbene si sia pronti ad accettarli. La seconda strofa si incentra su un momento chiave di esasperazione rassegnata e sublime (“And I swear that I don’t have a gun”). Un pezzo con cui confrontarsi almeno una volta nella vita.
Altri episodi leggendari di questa pietra miliare del rock sono la minimale ma efficacissima Polly, il delirio schizoide di Lithium, non deludono nemmeno canzoni come Drain You, Lounge Act e Stay away, che coniugano perfettamente lo stile grunge.
Da citare l’autobiografica Something In The Way, soffusa ballata acustica che si distacca dallo stile del resto dell’album e che ne anticipa la chiusura, affidata alla gosth-track Endless, Nameless, una registrazione di chitarre dilaniate e annientate in studio, con distorsioni tremende.
Vent’anni più tardi Nevermind resta un disco da ascoltare tutto d’un fiato, lasciandosi trascinare dalla struggente voce di Kurt e dalla sua musica. Un disco meraviglioso, in cui rumori e musiche si fondono in un suono perfetto e che contiene nel suo titolo una dolcezza che continua a sbocciare, anche adesso che le grungissime camicie a scacchi se le mangiano i tarli nei cassetti.
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