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“Con l’amore nel pugno per troppo o per niente”, F. – à Léo @ Auditorium, Parco della Musica (RM) 03/04/08

L’aria scura è lacerata da una cascata di luce dorata che si riversa sui tasti di un pianoforte, sulle dita che con una carezza ne distillano musica, mentre giunge una voce a lambire le note, ad intrecciarsi ad esse per danzare Les Forains, l’amour perdu e il ricordo di chi ha trasformato la poesia in volo, in canto. Con delicatezza infinita e grazia inizia a dispiegarsi un atto d’amore rivolto a Léo Ferré, un abbraccio, una musica… una musica che ha cominciato ad esser suonata in un altro tempo, in un altro luogo, prima di questa notte mite, in un giorno appartenente ad anni passati, in un bistrot adorno di memoria ed affetto, a Liegi.

È tra pareti vestite di fotografie e ricordi che Roberto Cipelli ha incontrato Ferré, un’essenza non corrosa dall’oblio, una voce viva che neppure la morte ha reso muta. La musica di questa sera dal cielo dolciastro ha iniziato a sgorgare da quell’incontro ed ha continuato a fluire attraverso altri incontri, fin qui, fino ad un palco di legno dove, alzandosi, si è mostrata nelle fattezze di una ghirlanda di dita e pensieri e fiori, più una cura che un omaggio, un gesto d’amore per onorare l’amore. S’alza così il canto del piano e della gola, della tromba e del flicorno, il palpito del contrabbasso e della batteria, s’aderge per raccontare con i suoni il bene che il poeta ha voluto ai poeti, la sua volontà di mettere ai versi delle ali di note, ali impalpabili e fragili ma capaci di osare il volo, di arrischiarsi nell’aria perché fusa con questa la poesia potesse farsi respirabile, respiro assaporabile da ogni uomo. Si ricorda il bene riservato da Ferré a Pavese, le ali opalescenti donate alle sue parole… Verrà la morte e avrà i tuoi occhi è una battito evocato che lascia a Il blues del blues il piacere di colmare e far straripare lo spazio.Non c’è nulla di male a portare una bimba nella propria stanza a sentire un grammofono. Ma veniva il momento che i dischi morivano soli e nessuno di noi due li ascoltava. Si capisce – eravamo più giovani ancora di loro e quelle arie, quei suoni cantavano forte la vita” (Cesare Pavese)… il blues accompagna l’amore e Saint Germain dès Pres accompagna il blues, una musica senza parole si fa compagna della parola e disegna i sensi inesprimibili delle carezze, delle stanze, delle vie. Si continua a ricordare, le disavventure di Monsieur William vengono chiamate alla presenza insieme ai passi di Les poètes, agli incanti preziosi tessuti da Luigi Tenco. Lontano Lontano. Da lontano affiora la memoria, nella lontananza persiste, attraversa i mari delle nostalgie e i deserti delle dimenticanze perché il passato non diventi perdita. Nel tempo di una canzone la memoria ha la forza della voce di Gianmaria Testa, la delicatezza sublime dei fiati di Paolo Fresu, la gentilezza delle dita di Roberto Cipelli, il vigore delle braccia di Philippe Garcia, il garbo delle mani di Attilio Zanchi… lo splendore delle anime custodi, degli spiriti innamorati. In questa luce rifioriscono i versi di Paul Verlaine, “La musica prima di tutto” è un credo che si fa sussurro, Art Poétique è un corpo di parole da sfiorare e leggere mentre le note s’insinuano sotto la sua pelle e diventanoFree Poétique. Le variazioni jazzistiche a colloquio con il linguaggio fatto d’inchiostro sono spirali in cui perdersi per sentire i nomi nel puro suono, al di là dei significati, solo nei sensi. A queste volute seducenti subentra un attimo di silenzio. Le tavole lignee risuonano sotto i movimenti composti dei musicisti, che abbandonano la scena per lasciarla ad un bicchiere, ad un nettare color del sole, al piano e alla tromba, ad un Colloque sentimental che danza in una luce blu. Dopo l’aurora tinta di abisso le mani tornano ad essere dieci e disegnano dell’amore le brame. “Volevo tenere per te, la luna del pomeriggio. Volevo tenerla per te, perchè sola com’è solo il coraggio. Volevo tenere per te, la luce di quando fa giorno e volevo che fosse per te anche l’attesa che diventa ritorno… E volevo tenere per te la più vera di tutte le rose, volevo tenerla per te, come tutte le cose…”. Le mani trattengono e preservano la luna del pomeriggio e la rosa, le porgono in dono a quell’anima intorno alla quale hanno deciso di girare per scorgerne i profili, i sentieri, le vene, per scoprirla ancora viva, vibrante in un ultimo canto, dialogo Con il tempo, Avec le temps, con gli istanti, ora scanditi dalla lingua francese ed ora da quella italiana, resi fecondi dalla ricchezza del dialetto, dalla voce dei luoghi, portata sul palco dall’attore Enzo Decaro. Il tempo cantato porta nuovo tempo per il canto, che torna a levarsi in memoria de Gli anarchici che “hanno chiuso nel petto un sogno disperato”, per raccontare di quegli uomini che “più hanno gridato, più hanno ancora fiato”, per dire della più anarchica di tutte le forze, quella benedetta e maledetta da Tenco nella struggente Mi sono innamorato di te, scelta per pronunciare quella forza e riversarla in un ulteriore abbraccio dato con le dita e i sospiri, con le corde e le bocche. Con l’amore che fa sentire la sua dolcezza e il suo potere, la sua follia e il suo calore, termina il viaggio della memoria che ha scelto di camminare grazie a membra di musica. Il suono si trasforma in ricordo, in significato, in respiro, in flusso vivo. La poesia risorge da ogni morte.

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