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Slow-core per descrivere stati d’animo: intervista ai Ka Mate Ka Ora

E’ ritornato il trio pistoiese dei Ka Mate Ka Ora. Ancora una volta atmosfere rarefatte dal sapore nostalgico e onirico hanno caratterizzato il loro secondo lavoro discografico Entertainment in Slow Motion. Dopo l’autoproduzione di debutto Thick as the summer stars non si sono spersonalizzati ed  hanno curato di più gli arrangiamenti. I colori sono quelli del post-rock e del dream-pop con folate improvvise di shoegazing. Con Entertainment in Slow Motion i Ka Mate Ka Ora confermano di essere una realtà emergente del panorama indie italiano per nulla trascurabile e LostHighways non poteva lasciarsi perdere l’occasione di rincontrare la band.

Cosa è cambiato dall’autoprodotto Thick as the summer stars al questo primo disco per l’etichetta Deambula Records?
Quando uscì Thick as the summer stars non avevamo la minima idea di come sarebbe stato accolto, conoscevamo solo superficialmente questo mondo. Adesso siamo un po’ più consapevoli di come funzionano le cose. Entertainment in slow motion è, in un certo senso, un album maggiormente pensato, nei suoni, nelle soluzioni, negli arrangiamenti. Avevamo la voglia e la necessità di approfondire il discorso avviato due anni prima.

Quali sono le principali differenze stilistiche tra il primo lavoro e l’attuale? Mi sembra di scorgere più una marcata presenza di chitarre shoegazing…
Non volevamo attuare rivoluzioni “sonore”. Personalmente non amo le band che mutano stile improvvisamente da un disco all’altro. Preferisco quelle che mirano ad evolversi.  In quest’ottica abbiamo cercato di far emergere maggiormente la melodia, di uscire da strutture e mood claustrofobici. In questa direzione è stato fondamentale il lavoro sulle voci tanto quanto la scelta di sonorità più “aperte” rispetto a quanto avevamo fatto in passato.

Back home è stata selezionata nella nostra compilation Bottom of light. Come è nato questo brano?
Stefano: Back home nasce da questo arpeggio minimale e  circolare di chitarra, che inizia ma che sembra non avere una sua chiusura. Il pezzo è nato da una chitarra acustica, ma poi abbiamo ritenuto che il suono delle nostre chitarre elettriche “pulite” avrebbe messo in mostra ancora di più questo senso di “dispersione” del brano.
Carlo: Back Home è l’anti-canzone. Anti-retorica e minimale, interpretata magistralmente da Samuel Katarro.

Di cosa parlano i testi di Entertainment in Slow Motion?
Carlo: Fondamentalmente cercano di essere punti di vista. Una sorta di rappresentazione sui diversi modi di vivere situazioni, sensazioni, suggestioni. Nessuna pretesa di storytelling.
Stefano: I testi delle nostre canzoni descrivono principalmente stati d’animo, che  poi si legano a persone reali e immaginarie  o ad avvenimenti che capitano nella vita quotidiana.

Nel boocklet di Entertainment in Slow Motion c’è scritto “Write your sensation here”. Mi spiegate questo invito ai fruitori della vostra musica?
Alberto: Se non mi piacesse suonare quello che suono non avrebbe senso essere sul palco. Prima di tutto la nostra musica deve piacere a noi. Se poi questa passione si trasmette anche alle altre persone, non possiamo che essere soddisfatti.
Carlo: Sono convinto che le sensazioni siano una delle poche cose private che ci restino. Lo spazio nel booklet riservato a scriverle è, nelle nostre intenzioni, un luogo intimo. Invitiamo a scriverle perché ciò può aiutare a renderle più chiare. Ma siamo felici che ognuno le tenga per sé. Io faccio lo stesso.

Il vostro tour prevede date solo in Italia o cercherete di esportare il vostro verbo anche fuori dai confini?
Tentare di varcare i confini è una cosa che siamo sempre più convinti vada fatta. Probabilmente all’estero c’è un’attenzione maggiore a proposte come la nostra rispetto a quanta pare essercene dalle nostre parti.

Cinque band che vi hanno ispirato?
Alberto: Low, Red House Painters, Mogwai, Sigur Rós, Idaho.
Carlo: Codeine, Galaxie 500, Seam, Slowdive, Velvet Underground.
Stefano: sono tantissime le band che mi hanno ispirato, provo a fare solo cinque nomi, scusandomi con gli esclusi…   Low, Nick Drake, Codeine, Neil Young, Red House Painters.

Avete collaborato anche con due membri dei Baby  Blue. Quanto sono importanti queste sinergie tra gruppi emergenti della stessa terra?
Credo che siano un modo per riconoscere che attorno a te sta succedendo qualcosa e che anche tu, in qualche modo ne fai parte. E’ una forma di condivisione. Umana prima che artistica.

Come vi trovate con la A buzz supreme?
Alla grande! Lo dimostra il fatto che abbiamo scelto di lavorare nuovamente con loro. Sono trai migliori in Italia nel supportare le band. Per giunta affiancando all’aspetto professionale un coinvolgimento umano che in queste cose è fondamentale. Altrimenti sarebbe come vendere biscotti!

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