Psychobabele è il nuovo disco dei Leitmotiv, band italiana che già si era fatta notare con il precedente L’audace bianco sporca il resto (2009). Mentre tanti musicisti ed autori italiani cercano riferimenti oltralpe e si trovano a sposare sonorità anglosassoni, i Leitmotiv fanno parte di quella minoranza che pone al centro di ogni riferimento la cultura mediterranea, con orgoglio e spirito di convinzione.
Musica, parole ed immagini disegnano paesaggi che profumano di mare e multiculturalità, e con questa intervista cerchiamo di capire insieme a loro l’evoluzione che ha portato alla nascita di Psychobabele. (Eredità in streaming autorizzato)
La prima domanda non è altro che una curiosità che può però svelare molto sul vostro disco: cos’è, e se esiste dove si trova, Psychobabele?
Giovanni: In realtà ci piace lasciare all’ascoltatore il ruolo di scegliere come svelare l’ambiguità dei significati. Psychobabele può significare molte cose. Innanzitutto è il titolo di una delle canzoni dell’album.. (brano ricompreso nella nostra compilation Bottom of light, ndr)
Giorgio: Dovessi svelare una carta di questo gioco direi che Psychobabele è innanzitutto un nome per descrivere quanto ci circonda. Un mondo in cui l’incrocio tra culture e popoli è troppo spesso un’occasione mancata e i suoi stessi abitanti appaiono disumanizzati, in preda ad un’incomunicabilità “mediata”: una Babele psicotica insomma.
Ho notato un forte cambiamento tra il precedente L’audace bianco sporca il resto ed il nuovo Psychobabele. Lascio che siate voi, dal vostro punto di vista di musicisti ed autori dei brani, a descriverne le differenze…
Giovanni: La prima differenza è che L’audace bianco sporca il resto è stato un lavoro che ha sintetizzato brani scritti nell’arco di tre anni; la scrittura di Psychobabele è stata invece iniziata e finalizzata quasi nella sua interezza in tre mesi. Volevamo cimentarci in un disco immediato, d’impatto. Giuseppe e Dino stavano costruendo delle forti strutture ritmiche e su queste fondamenta si è costruito tutto.
Giorgio: Quest’ultimo è un disco dal sound più omogeneo, in alcuni punti frutto di scrittura collettiva. Se il precedente era una sorta di racconto illustrato in musica, Psychobabele è una vera e propria raccolta di canzoni, un album in senso più tradizionale.
Personalmente noto un allontanamento dalla teatralità narrativa che era presente nel precedente disco. In Psychobabele ciò che possiamo genericamente definire rock ha acquistato più peso. A cosa è dovuto questo cambiamento?
Giorgio: Credo semplicemente che quella teatralità narrativa abbia sposato in Psychobabele la forma canzone, nessun allontanamento, parlerei piuttosto di naturale evoluzione.
Giovanni: I punti su cui volevamo lavorare erano la cantabilità (e quindi la musicalità) e l’impatto. Volevamo spingere il gruppo verso territori in cui non eravamo “naturalmente” associati, che riteniamo anch’essi nostri, e che sentivamo non erano stati in passato messi adeguatamente in risalto.
Siete all’inizio di un nuovo tour, e non avendo la sfera di cristallo non possiamo parlare di ciò che sarà, semmai di ciò che è stato: il precedente tour vi ha portato in giro per l’Italia e all’estero in palchi di livello internazionale. Cosa vi ha lasciato nei ricordi e cosa, di queste esperienze, vi ha “accresciuto”?
Giorgio: Parafrasando uno dei brani dell’album, direi che dopo quelle esperienze di viaggio la nostra storia è apparsa più chiara, le tracce di quegli incontri hanno evidentemente lasciato veri e propri echi sonori oltre che diversi ricordi in qualche modo indelebili.
Giovanni: L’esperienza umana e artistica ci ha così arricchito che sogniamo di rifarla al più presto. Parlare insieme a ragazzi che provenivano dalla Bosnia, dalla Macedonia, dalla Slovenia e sentire la loro descrizione della Yugoslavia pre e dopo la guerra (molte persone in Italia dovrebbero sentire oggi i loro racconti!); condividere con i ragazzi del sud del bacino del Mediterraneo (a cui va tutta la nostra attenzione in questi giorni) ed europei notti di musica, di danza, di chiacchiere.. scoprendosi molto più simili di quanto nessuno ci avesse mai detto. Queste sono esperienze uniche. E vorremmo fossero molto più frequenti, e riguardassero sempre un numero maggiore di persone. Quali sono, se non queste, le vere pratiche di pace?
Nonostante queste esperienze, a differenza del precedente album, la lingua italiana in Psychobabele è praticamente solitaria… nella nostra ultima chiacchierata mi avevate detto che la scelta di usare altri lingue oltre l’italiano era stata irrinunciabilmente mirata a determinati brani. Come è stata la scelta per i nuovi brani?
Giovanni: E’ stata comunque una scelta naturale. Si scrive nella lingua in cui si riesce a pensare… e al di là del dialetto, questi ultimi anni sono stati anni in cui, nel bene e nel male, noi siamo stati legati e presenti nel territorio. Non abitando più in Francia, quella lingua per me è via via diventata meno naturale. Per quanto riguarda l’inglese, rischiavamo di trovare soluzioni in qualche modo “scolastiche”. E infine, avevamo voglia di rischiare anche su questo: il testo in italiano veniva incontro all’immediatezza che andavamo cercando.
Giorgio: Posso aggiungere che alla naturalezza dell’approccio si è affiancata una sfida progressiva: cimentarsi con l’italiano voleva dire scrivere in una lingua dall’indubbia musicalità che però non è certamente di matrice rock. Tutto ciò ha portato ad un italiano se vogliamo diverso da quello cantato da L’Audace bianco sporca il resto: forse più vivo.
Questi cambiamenti di cui parliamo (ed i brani) sono nati in tour o in sala di registrazione?
Giovanni: Il precedente tour è stato incessante, e i periodi di pausa non sono stati mai veramente tali. Quindi in realtà abbiamo dovuto fermare tutto per concentrarci sul nuovo album, il cui concretizzarsi è avvenuto principalmente in preproduzione (durante una registrazione in studio, purtroppo, non si ha né il tempo, né la tranquillità necessaria). Però ovviamente una buona parte delle idee testuali sono state partorite durante i momenti più impensabili – spesso in tour. E di pari passo alla scrittura, anche la consapevolezza di quello che era stato fatto e di quello che si sarebbe voluto fare è stato un percorso di maturazione compiuto da noi tutti durante la tournée.
Il legame con “la terra” è forte anche nei vostri nuovi brani; in particolare mi ha colpito un passaggio: “lo chiedo alla mia terra che è muta e non sa rispondermi, me la prendo con lei ma è l’unica a sorridermi”. C’è conflittualità ma gratitudine: spiegatemi questo difficile rapporto di cui parlate.
Giorgio: Tuo malgrado, sei figlio del luogo in cui nasci e cresci e questo legame si mantiene autentico solo se vissuto in maniera attiva, dialogandoci e, perché no, scontrandoti. Il modo migliore per amare “questa terra”, evitandole il ruolo di cartolina su cui commuoversi, è riconoscerne le brutture, scuoterne i comodi silenzi, provare ad estirparne l’erbaccia. Devo concludere, però, che quel verso continua ad essere la mia migliore risposta alla tua domanda.
Giovanni: La terra è il territorio, ovvero la natura che ti circonda, che per noi è ancora di una bellezza tale da lasciarci ammutoliti. La terra sono le persone che condividono con te la quotidianità, la comunità a cui appartieni e in cui ti sei formato (ovvero le radici), un cerchio concentrico che parte dalla tua famiglia (in senso largo) e va verso l’esterno con i tuoi amici, i tuoi conoscenti. Infine la terra sono anche i comportamenti sovrastrutturali e quindi le istituzioni (anche queste in senso largo) che di questi in qualche modo sono state emanazione. Ovvero gli strumenti sociali, stratificati dalla storia del luogo che agiscono su di te, sulla tua esistenza e che permettono, incentivano o affossano la tua realizzazione personale e professionale. A questo punto, non c’è bisogno di parafrasare ancora, basta seguire il ritornello: “Mangia ninfea, mangia pietà, tra queste paludi scure ristagna la tua libertà / mangia ninfea, mangia viltà, affonda i mercanti in fiera padroni di questa città.”
La tracklist del disco sembra avere un ordine di intensità: i brani, inizialmente duri e spiccatamente rock si ammorbidiscono fino agli ultimi due deliziosi Eredità e Limacuore. Questo ordine è casuale o voluto?
Giovanni: La scelta dell’ordine non è mai facile. Ricordo che Amerigo ci consigliò questa chiusura perché appunto tutti i brani precedenti avevano un certo tipo di tensione che Eredità era l’unica a rilasciare. E tutti convenivamo che Limacuore fosse il brano più adatto per chiudere il disco. Per quanto riguarda l’inizio invece, tendiamo anche nei live a farlo molto forte. E’ come la fiamma iniziale che serve ad accendere il fuoco.
In fondo al disco è celata una traccia fantasma al termine di Limacuore… suoni e musiche rubate in sala prova. Grezze, sporche, rabbiose. Com’è nata l’idea di questo inserimento e che significato ha?
Giorgio: Sono “scatti” sonori (polaroid che suonano) presi nella cantina in cui è fermentato Psychobabele!
Giovanni: Sai che diverse persone ci hanno chiesto se ci fosse stato un errore? Nella nostra saletta siamo soliti registrare ore e ore di prese dirette. Queste in particolare erano sessioni libere riprese durante la preproduzione, in cui talvolta ci scambiavamo gli strumenti (per esempio in uno dei momenti c’è Dino al basso e Peppino alla batteria) o sperimentavamo con nuovi (Natty all’ukulele). Amerigo ci ha sempre motivati in queste “avventure”, sin dall’inizio della nostra collaborazione: per lui, in questi frangenti, mostriamo la naturalezza con cui suoniamo insieme, poiché è vero, ci siamo formati suonando, cominciando insieme molti anni fa. In un primo momento alcuni di questi “pezzetti” dovevano essere intermezzi tra una canzone e l’altra. Poi non abbiamo voluto spezzare il flusso così diretto delle canzoni e abbiamo creato un’intera e lunga traccia fantasma, come anticipava Giorgio, chiamata Polaroid, che raccoglie istantanee dal nostro rifugio creativo.
In realtà questa traccia, nonostante a tutti lasci soprattutto una sensazione di cupezza, contiene diversi momenti più felici o anche giocosi su strati di uccelli di primavera. Però in fondo è vero, la nostra (e qui non ci riferiamo solo a noi) strada è dura. E quindi si combatte, no?
Quando ho conosciuto la vostra musica tra le primissime informazioni che ho trovato ricordo la nota di apprezzamento di Cristiano Godano nei vostri confronti. Ora tocca a voi: c’è qualche gruppo emergente che vi ha colpito di recente che vi sentite di dover “segnalare” come Godano fece per voi?
Giovanni: Mi sa che è un po’ difficile l’inversione di ruoli, non abbiamo certamente raggiunto un’esperienza paragonabile a questi nomi! Inoltre, il nostro nome è sconosciuto a moltissime persone, perché non hanno avuto mai modo di ascoltarci e ancora meno di vederci dal vivo. Ad ogni modo ci sono due progetti del nostro territorio che stiamo in qualche modo sostenendo: i Lenula, un trio della provincia di Brindisi, e la giovane cantautrice Eneri, di Lecce. Entrambi portavoce di interessanti sintesi tra la canzone italiana e stimoli provenienti da un globale altrove.