Sincerità ed ironia nelle risposte di Andrea Cola. Cantautore di Cesena, alla prima prova in italiano con gli undici pezzi divisi fra rock e pop dell’album Blu. Andrea ci spiega, con accuratezza e consapevolezza del proprio percorso, l’esigenza e la ricerca di nuove forme espressive e di far musica.
Andrea lasci l’inglese e ti metti alla prova con testi nella tua lingua. Vorrei chiederti se alla base di questa scelta ci sia la ricerca di una maggiore sincerità espressiva e quali siano i vantaggi e gli aspetti più interessanti derivanti dall’uso dell’una o l’altra lingua in musica.
La scelta di scrivere e cantare testi in italiano è legata all’esigenza di poter finalmente comunicare realmente con chi ha voglia di starmi a sentire, oltre all’emotività che può essere data dalla parte strettamente musicale. L’inglese, per me che non ne padroneggio né la grammatica né l’espressività lessicale, era diventato una gabbia adolescenziale, un rifugio sicuro e un po’ vigliacco in cui riproporre il suono e la scansione fonetica della musica con cui sono cresciuto e mi sono formato, come molti. Ci è voluto un po’ per sentirmi in grado di gettarmi nell’italiano senza vergogna per quel che dico, ci vorrà ancora di più per arrivare a risultati che mi soddisfino fino in fondo. Per ora utilizzo un metro di auto-giudizio che alla tecnica (che non c’è) preferisce l’onestà e il trasporto.
L’aspetto più interessante che ho ricavato è stato un progressivo e quasi inconscio mutare nell’approccio allo scrivere, un avvicinamento ad un uso degli accordi e delle melodie più vicino alla canzone italiana che a quella anglosassone, per forza di cose i miei riferimenti sono cambiati in funzione della metrica di ciò che voglio dire, di come voglio dirlo e di come vorrei farlo sentire. Della mia lingua, per quel poco che so usarla, e al di là degli straordinari esempi di metriche perfette nel passato e presente, mi piace l’utilizzo sfacciato della frase lunga, della metrica imprecisa che trasmette al risultato un sapore in qualche modo incompiuto ma emotivo.
In quale misura incide, secondo te, da parte di molte band nostrane, il desiderio di riconoscibilità e successo anche al di fuori dei confini nazionali nella scelta dell’inglese e quanto invece sia attribuibile ad un’esigenza di matrice prettamente artistica?
Non so se ho una conoscenza così diretta per parlare delle aspirazioni di chi, in Italia, canta in inglese.
Posso al massimo parlare per quel che mi riguardava direttamente, quando lo facevo io. In generale per me era il modo più naturale per scrivere canzoni, essendo un buon ottanta per cento dei miei ascolti di matrice americana o inglese (o al massimo norvegese), non ho mai veramente pensato che potesse portarmi al di là dei confini nazionali, come poteva succedere per un gruppo del nord Europa o scandinavo, proprio per la mia scarsa pronuncia e conoscenza della lingua.
Parliamo del gusto fortemente retrò, dell’amore dichiarato per la Formula 3 i Dik Dik e l’ultimo Battisti, in che modo credi di aver reso comunque personali i tuoi brani? E in quali aspetti li vedi debitori, invece, di quella temperie musicale tra fine anni ’60 inizio ’70?
Che riscontro hai da parte di pubblico e critica su questo aspetto particolare della tua musica?
Credo che tutti questi riferimenti fossero più evidenti nell’EP Piove A Milano, le melodie erano più spiccatamente retrò e anche sui suoni si era ragionato, in modo naturale, in questa direzione.
In Blu mancano i riferimenti sonori e la struttura tipica delle canzoni dei gruppi che hai citato, gruppi che comunque adoro. Non cerco di rendere più personali i miei brani, è un problema che non mi pongo, cerco semplicemente di raggiungere uno scopo comunicativo attraverso l’utilizzo della musica, possibilmente la migliore che riesco a fare. Non gioco troppo alla citazione anche se allo stesso tempo mi viene naturale dirigermi verso un certo modo di scrivere le melodie, immediatamente riconducibile al contesto della canzone italiana, che è molto peculiare di per sé. Per i testi cerco di descrivere le sensazioni che provo in modo diretto, in una forma che sia rispettosa del significato di quel che vorrei “esprimere”, scegliendo parole facili e senza nessuna assurda costruzione di frase solo per rispettare metriche. E’ la solita vecchia storia, in fondo, cerco qualcuno che capisca quel che sto provando, in modo da essere almeno in due.
Ho trovato Legno Bianco un brano incantevole e di struggente delicatezza, se ti va mi piacerebbe conoscerne la genesi.
Ti ringrazio per il complimento! È una delle canzoni sulle quali ho lavorato di più, in fase di “composizione”. Per questo disco ho utilizzato un metodo che non avevo mai usato prima: essendo abituato a militare in gruppi e provare le canzoni tutte insieme, questo ha influenzato parecchio il mio modo di scrivere i testi, che è di conseguenza frammentario e molto legato all’atmosfera che un determinato modo di suonare insieme può conferire. In questo caso invece non potevo contare su nessun aiuto di questo genere per la stesura delle canzoni, per cui oltre ai classici piano elettrico o chitarra acustica, per alcune melodie che avevo in testa ho deciso di utilizzare il computer per creare dei piccoli loops di tre o quattro accordi che venivano poi passati nell’impianto della mia sala prove e trasmessi praticamente all’infinito, ho passato poi intere serate a improvvisarci sopra parti vocali, finchè non ne ho scelte alcune e scritto i testi, sempre con questi suoni ripetuti sotto. Ogni tanto è capitato che abbia unito due loops differenti per farne un’unica canzone. Legno bianco è una di quelle nate in questo modo. Seppure poi, in fase di registrazione e arrangiamento, sia stata molto elaborata. Il testo è abbastanza astratto rispetto agli altri del disco, mi è venuta fuori una sorta di favoletta macabra.
Nell’Isolal’ossessiva ed ipnotica ripetitività di frasi verbali e musicali sembra evocare magistralmente un parallelo con l’acqua che sa giocare in vortici turbinosi come queste mantriche ripetizioni sembrano fare in musica. Acqua simbolo per antonomasia, di freudiana memoria, del nostro inconscio. Casuale questo collegamento o voluto?
Sicuramente è una canzone dove i suoni sottolineano e contribuiscono a creare una sensazione esattamente nella stessa direzione del testo, e questo lo trovo molto affascinante. Quello di cui volevo parlare non era esattamente legato all’inconscio, ma più vicino alla rassegnazione nel vedere che quel che ci circonda e sta a cuore in qualche modo sta affondando. Qualcosa di abbastanza attuale.
Quali emozioni vorresti suscitasse la tua musica?
In primo luogo curiosità e piacere, poi condivisione ed empatia, successivamente inquietudine e disagio. Ma credo di potermi permettere solo uno di questi livelli. A scelta. Aggiungiamoci pure noia e ilarità!
Quali sono le difficoltà maggiori che si trova ad affrontare un cantautore oggi? Cosa trovi stimolante della scena musicale italiana attuale e cosa avvilente?
Le difficoltà sono essenzialmente il divario tra i molti soldi che servono per registrare un disco in un certo modo e i pochi soldi che si ricevono per suonarlo in giro, ma essendo ciò che più nella vita posso e voglio fare ognuna di queste difficoltà, quando viene superata, è una piccola sfida vinta, e ripaga ampiamente il prezzo del biglietto.
La scena musicale italiana è qualcosa di estremamente vario e di difficile catalogazione, essendone io una minuscola parte trovo abbastanza paradossale l’onere di poterne parlare. Diciamo però, nel mio piccolo, che rispetto molto i gruppi o gli artisti che non si precludono il raggiungimento di un pubblico più ampio, che non hanno paura di confrontarsi al di fuori del piccolo mondo, confortevole e tremendamente autoreferenziale, della cosiddetta musica indipendente italiana, anche rischiando il ridicolo. L’indipendenza se mai è una condizione economica conseguente ad una scelta di libertà artistica, oppure una situazione di passaggio, non uno status social-sonoro.
Quando vengo definito cantautore mi viene sempre in mente l’omonima canzone di Bennato, spesso la stessa canzone mi viene in mente quando a esserlo sono altri.
Grazie di averci dedicato un po’ del tuo tempo, Andrea.
Grazie mille a voi per queste domande, il mio ego è inesorabilmente esploso!