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“La vera arte è quella che rimanda alla vulnerabilità”: intervista ad Alessandro Grazian

La musica tessuta da Alessandro Grazian è un ventre in cui sentire, un cielo in cui vedere i suoni prendere forma di fughe, danze, immagini, sogni… è una vertigine in cui perdersi nella propria fragilità, scoprendola apertura, possibilità, occasione che rende i sensi capaci di ac-cogliere senza il filtro delle difese. La grazia ha assunto in Caduto il profumo dell’intimità, senza abbandonare quest’essenza la sua anima creatrice si è ritrovata a percorrere nuovi sentieri, terre di suggestioni e malie in cui le note e le parole sono fiorite in una bellezza incantevole effusa da un Soffio di nero. La curiosità e il desiderio di cura vogliono scivolare in questo soffio, nei sensi e nella poesia che custodisce, per lasciarsi avvincere dal pensiero che diventa melodia, dall’anima che si tras-figura in suono.

L’estate porterà tra il calore e i colori il tuo nuovo disco, l’attesa diventa però già ascolto grazie alle sei tracce di Soffio di nero, Ep digitale che custodisce evocazioni e semi, il disegno di un orizzonte dentro il quale cominciare a sentire.
Hai scelto di offrire qualcosa in più di un’anticipazione, qualcosa che parlasse di radici, una musica che lasciasse apparire un percorso… quali terre e dimensioni ha attraversato?
Da quali linfe è stata nutrita la tua scrittura?

Dopo la pubblicazione del mio primo disco, Caduto, ho sentito l’urgenza di percorrere altre strade. Man mano che componevo mi accorgevo che le parole, le note e le suggestioni che mi spingevano a scrivere erano diverse da quelle del mio primo lavoro, così ho cercato di assecondare questa nuova direzione.
In questi ultimi anni ho ascoltato molta musica slegata dal mondo delle canzoni e mi sono appassionato a molte storie. Nelle nuove composizioni inoltre mi espongo anche come compositore strumentale. Penso che l’Ep in qualche modo introduce il nuovo immaginario su cui si fonderà il seguito del disco d’esordio.

Cinque brani inediti ed Aria di neve trasformata in un vestito aderente alla tua pelle, ne hai fatto un dono mettendoli in free download sul tuo sito… cosa ti ha spinto a presentare questo lavoro, che a sua volta inizia a disvelare la tua nuova opera, attraverso un’esperienza di condivisione?
La lavorazione del nuovo disco, per svariate ragioni, è stata abbastanza lenta (tuttora ci sto lavorando) perciò prima dell’estate volevo dare una testimonianza concreta del nuovo progetto, anche per ridefinire un po’ i confini del mio stile. Se non avessi pubblicato l’Ep, buona parte del materiale che lo compone sarebbe rimasto inedito e ciò mi sarebbe dispiaciuto. Volevo condividere questo materiale in fretta, con tutti e senza nessun filtro, per questo ho scelto di creare l’ep scaricabile gratuitamente.

Come accennato, la tua voce illumina Aria di neve di Sergio Endrigo, lo ha fatto di frequente durante i concerti ed ora questo raggio che anima si è fatto traccia nell’Ep; a breve uscirà Il dono, tributo ai Diaframma che vedrà una splendida lettura di Siberia da parte dei Marlene Kuntz e una tua interpretazione di Fiore non sentirti sola… tra le fibre di queste vesti tessute da altri cosa ritrovi di te?
Da sempre mi confronto con la scrittura di altri autori in cui mi riconosco; a volte interpretare è un modo per capire qual è il proprio valore aggiunto. Con Aria di neve ho tentato di restituire il mio lato più educato e solitario (solo chitarra e voce). Endrigo è uno dei miei preferiti “uomini che cantano” italiani.
Con Fiore non sentirti sola dei Diaframma ho cercato anche di dare una chiave personale nell’arrangiamento, orchestrando, suonando e registrando tutto da solo. Ho provato a sposare il mio mondo con la poetica di Federico Fiumani ed è stata un’esperienza preziosa.

Ermitaž, La Couronne, Und die Liebe lacht sono temi, suggestioni ed ambienti sonori che apparterranno al tuo nuovo lavoro e che in Soffio di nero conquistano un’autonomia dalla quale sembrano offrire all’immaginazione e alle immagini una tela su cui proiettarsi… le parole sono quasi assenti ma è evocato una sorta di universo visivo.
Dall’Ermitage al mondo di Egon Schiele, si prospettano luoghi e figure, viaggi e segni… sei un musicista, ma anche un pittore, in che modo l’arte figurativa impreziosisce di riverberi il tuo canto?

Sono cresciuto frequentando, seppure a volte in modo conflittuale, il mondo dell’arte (che parola impegnativa!). Mi sono sempre nutrito di immagini e suggestioni e penso sia abbastanza naturale che tutto ciò finisca nella mia musica. Sono felice se ciò avviene e mi auguro che questa influenza non sia percepita in modo affettato. Attraverso questi nuovi brani la cosa che mi sta più a cuore è proprio evocare certe suggestioni visive.

Attraverso Soffio di nero apprendiamo che il nuovo disco si dispiegherà lambendo ed attraversando alcune capitali del vecchio continente, portando con sé la memoria della feconda cultura mitteleuropea, dai così un orizzonte fisico ed estetico al tuo canto… cosa vuole significare la scelta di una tale cornice che non ingabbia ma dischiude in profondità una materia, la trama di un luogo e di un sogno?
Dopo Caduto mi sono accorto che era importante per me uscire dall’intimismo autoreferenziale. Avevo bisogno di popolare i nuovi brani con sogni e luoghi che sento vicini. Quella mitteleuropea è una delle possibili chiavi di lettura del nuovo disco. Di fatto ho aperto un po’ di cassetti in cui avevo rinchiuso molte passioni, e il disco ha preso sempre di più una forma evocativa, quasi cinematografica. Alcuni luoghi sono luoghi che ho frequentato, altri rimangono fughe di fantasia quasi salgariane.

Non celi i mondi a cui guarda la tua ricerca musicale, De Andrè e Tenco, Jeff Buckley e i cantautori francesi da Brassens a Ferré, nel tuo ultimo lavoro poi con grazia fai emergere la ricchezza lasciata da Nico Fidenco e Sergio Endrigo, la tua arte indaga e trattiene il passato ed insieme lascia che fiorisca in forme nuove.
Heidegger definisce i fruitori dell’arte “salvaguardanti” poiché preservano il mondo e la terra da cui l’opera sorge… sia come musicista che come ascoltatore ti senti in qualche modo salvaguardante?

Sì, credo di esserlo…

Presenti la tua poesia nella purezza della sola voce, compagna della chitarra ma anche attraverso felici collaborazioni, come quella con Enrico Gabrielli… il tuo canto s’aderge essenziale e con la stessa naturalezza danza con arrangiamenti sofisticati.
Su questa fiorente linea di confine sono nati i tuoi dischi e i tuoi concerti, tra la solitudine e buoni compagni come ti muovi e porti avanti la tua arte?

In questo Ep (e nel disco che uscirà) mi sono sentito in fondo più compositore/regista che cantautore.
Il fatto di avere vicino a me musicisti molto bravi e sensibili mi ha permesso di sviluppare alcune idee che covavo da tempo. Ho passato intere giornate in solitudine a comporre, vagliando e scartando idee, e ho passato anche tempo con Enrico Gabrielli, Nicola Manzan, e altri collaboratori a formalizzare le idee e a discutere. Nel caso dell’Ep invece le composizioni del trittico mitteleuropeo sono state interamente composte, suonate e registrate da me.
Alterno perciò un metodo di lavoro solitario e un metodo di lavoro collaborativo: credo di non volere rinunciare a nessuno dei due, sono bellissimi entrambi, anche se non sempre semplici.

Sia quando le mani accarezzano le corde della chitarra che quando le dita fanno viaggiare i colori con il pennello indaghi la figura umana non dissimulando le sue fragilità. Francis Bacon ha affermato che “La vera arte è quella che rimanda alla vulnerabilità”… tu ti e ci consegni alla vulnerabilità, quest’abbandono che è slancio e forza come si trasforma in musica nella tua anima?
Quanto le parole e le note che intrecci devono al tuo non sfuggire la fragilità?

Questa frase di Bacon è rimasta scolpita nella mia testa per anni, e con piacere l’ho vista scritta a Palazzo Reale a Milano il mese scorso in occasione della mostra su di lui. Detto ciò posso dire che questo è il mio modo di sentire l’esperienza creativa, mi sono avvicinato alla musica con questo spirito e mi accorgo che quello che cerco a volte è proprio questa vulnerabilità.

Hai composto in diverse occasioni per il teatro, da Onde, uno spettacolo di danza ambientale, a Nati sotto contraria stella, pièce d’ispirazione, passando per Sueña, in cui hai, tra le altre cose, musicato testi liberamente tratti da Jacques Prévert e Louis Aragon. Com’è stato per te essere musicista in seno al teatro?
Devo puntualizzare che non sono l’autore delle musiche dello spettacolo Nati sotto contraria stella. Io ho sostituito Dario Buccino (l’autore) mettendo dove era possibile la mia cifra personale. L’esperienza shakespeariana è stata incredibile perché ho fatto 80 repliche in tutta Italia, condividendo il palco con grandi professionisti e imparando molte cose. Per quello che riguarda invece gli altri spettacoli in cui mi sono esposto come autore delle musiche l’esperienza di scrittura è stata bella e spero in futuro di avere ancora l’opportunità di farlo. Lavorare per il teatro è molto stimolante e nel disco nuovo un paio di episodi saranno proprio tratti dalle musiche che ho scritto per uno spettacolo di qualche anno fa.
Quello del musicista di scena è un ruolo in cui mi sento a mio agio, mi piace molto!

Guardando i tuoi quadri o pensando alle tue incursioni teatrali, sentendo la tua musica, si avverte l’amore per il rapporto tra i diversi linguaggi che dicono la bellezza… hai contribuito a questo rapporto con i tuoi lavori, come vorresti partecipare ancora in futuro a questa relazione tra le arti?
In futuro mi piacerebbe poter collaborare ancora a progetti artistici paralleli, magari dare il mio contributo a progetti altrui. Per ora la mia speranza è di avere ciò che mi piace chiamare “salute creativa”.

Soffio nero – Preview


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