Durante un concerto dei Radiohead è stato folgorato dalla conversione: passare dalla vita di DJ a quella di songwriter. Da quel momento il progetto Fink è stato inarrestabile: mago di originali sfumature emozionali. L’ultimo disco Perfect Darkness può essere considerato il punto di magica perfezione della vis artistica del cantautore inglese. Abbiamo raggiunto Fink durante le prove dell’imminente tour europeo che toccherà anche l’Italia, a Roma (il 7 novembre alla Chiesa Evangelica Metodist) e a Milano (l’8 novembre alla Salumeria della Musica). LostHighways ringrazia Fink per la disponibilità e gli apprezzamenti ricevuti. (Lo streaming di Perfect Darkenss – acoustic version è stato autorizzato in esclusiva da Fink stesso).
Il fluire del tempo e i ricordi sembrano essere la base tematica del tuo ultimo lavoro Perfect Darkness. In particolare la title track e Yesterday was hard on all of us come sono nate?
Il progetto Fink non vuole realmente approfondire grossi concetti, tutto sommato a noi tutti della band piace andare soprattutto in studio, scrivere, registrare e poi andare in tour a proporre i live. Possiamo dire che non c’è una voluta densità e profondità di concetti nella nostra musica. Viaggiamo tanto e perdiamo il senso del tempo, molto spesso perdiamo di vista il concetto stesso di tempo… non sappiamo quale fase della giornata è ed anche che giorno è. La musica è una grande e grossa bolla e ci piace starci dentro!
Yesterday was hard on all of us è come un montaggio nella mia mente di pochi pensieri, alcuni duri ed altri luminosi, che ho e avrò sempre. Perfect Darkness è la cristallizzazione di un momento nel tempo, facendo proprio quello che tu vuoi in quell’attimo e ignorando le pressioni del mondo che tentano di avvolgerti.
Potremmo affermare che Perfect Darkness è il tuo album perfetto? Quali sono le principali differenze di questo disco rispetto ai tuoi precedenti tre lavori considerando soprattutto gli arrangiamenti?
La principale differenza sta nel nostro approccio complessivo. Nei precedenti dischi scrivevo la canzone da solo e poi i ragazzi la “coloravano”. Questa volta volevamo un suono diverso, una differente emozione, e così abbiamo iniziato a pensare come una band, quindi creando demo da jams realizzate nel mio loft-studio. Poi abbiamo scremato e preso le idee migliori e su queste abbiamo iniziato a scrivere insieme, siamo giunti ad incastrare i nostri differenti approcci e le vibrazioni. Abbiamo raggiunto un comune sentire e questo ha permesso di far brillare le nostre emozioni individuali. Questo percorso creativo ha rafforzato il nostro collettivo. Abbiamo registrato a Los Angeles, nuova tattica per assorbire un po’ di sole e ambizione! Abbiamo scelto come nuovo produttore Billy Bush per farci guidare in una grossa registrazione senza svenderci, penso che Billy abbia fatto un ottimo lavoro. Noi musicalmente siamo molto scarni ed essenziali e lui è riuscito a catturare quelle energie che si possono percepire durante i nostri concerti.
La copertina di Perfect Darkness per la prima volta non propone lo schizzo del tuo volto. Come sono state scelte le foto dell’artwork? C’è un legame con i testi del disco?
Dopo tre dischi con il mio volto stampato, era giunto il momento per qualcosa di nuovo. L’idea principale era quella di trasmettere che siamo gente a cui fare dischi per il gusto di suonare, non dipendiamo delle etichette discografiche di massa, siamo persone reali. Partendo da questi presupposti volevamo che l’artwork riflettesse le vibrazioni del disco. Credo che sia stato fatto uno lavoro straordinario: volevamo una sorta di proggy cover che all’occhio avesse il potere di metterti in moto delle sensazioni, in modo del tutto naturale, doveva richiamare la sensazione di sopravvissuto. Un’artowrk che catturasse il mood del disco. Volevamo una copertina che comunicasse che stavamo provando a fare qualcosa di diverso o almeno ci stavamo muovendo in una differente direzione.
Potresti descrivere la vostra collaborazione con 59 productions per il particolarissimo visual del tour Perfect Darkness in Europa?
59 productions voleva lavorare su qualcosa di divertente ed allo stesso tempo di disadorno. Si tratta di una squdra specializzata in grandi opere in teatro come quella di Jónsi dei Sigur Rós. Gli abbiamo dato l’opportunità di realizzare qualcosa che fosse realmente diverso per entrambi. Era fondamentale progettare un show tanto emozionante quanto flessibile per la versatilità di palco (ci adattiamo spesso a grossi, piccoli, costipati e bizzarri palchi!). Gli abbiamo inviato tutti i demo, le prime registrazioni, gli schizzi, le prove, così che le loro idee si sviluppassero e crescessero contemporaneamente alle nostre registrazioni, sono entrati completamente nel nostro lavoro, poi ci siamo rinchiusi in una grossa stanza per sei giorni suonando mentre loro ci giravano intorno, è stato grandioso e sinceramente non ci aspettavamo quel risultato dopo quelle prove.
Qual è stato il preciso momento in cui hai capito di poter cambiare la tua carriera da DJ a songwriter?
E’ stato ad un iper-affollato concerto dei Radiohead, Beck aveva appena completato un set acustico del seminale Sea change e c’era una pioggia battente. Ero bagnato fradicio come lo erano tutti i miei amici, del tutto travolto da questa pioggia torrenziale, poi le nuvole si sono schiarite, il sole bruciava su di noi e qualcuno mi ha passato un grosso spinello, ne ho preso un tiro e i Radiohead sono usciti per suonare Ok Computer. In quel momento ho capito che tutto quello che volevo era smettere con il lavoro di DJ. Volevo fare qualcosa di più ambizioso della musica da ballare. Questo pensiero si è incastrato nella mia mente e si è confermato anche quando ho visto i System Of a Down all’Astoria a Londra… l’energia, l’eccitazione, il rumore era tutto quello che desideravo e mi allontanava definitivamente dal ritornare nei nighclub… avevo bisogno di qualcos’altro.
Quali sono per te le differenze tra il live set di un dj e quello di un songwriter?
La principale differenza è nella consapevolezza cge sei tu a suonare. Quando sei un DJ, ha a disposizione un’infinità di dischi, devi riflettere i desideri della folla, quello che vuole festeggiare, il mood che sente quella sera e devi essere sempre pronto con una larga selezione ad hoc per ogni situazione. La prima cosa che ho realizzato quando ho iniziato questa nuova fase della mia carriera era questo: hey! devi solo suonare il tuo nuovo album, non puoi suonare niente altro, cosi se non piace ecco… non hai alternative! Questa consapevolezza è un grande sollievo, un modo totalmente diverso di vedere le cose, soddisfacente, terrificante, è una droga, incessantemente divertente.
Perchè scegliesti di suonare una chitarra classica?
E’ uno strumento un pò più calmo degli altri così tanto che lo puoi suonare nella stanza da letto senza annoiare nessuno, soprattutto quando ti ascoltano nei primi sei mesi quando la tecnica è veramente brutta. Sono cresciuto in una piccola casa dalle pareti poco spesse, così una chitarra elettrica o il basso o la batteria non potevano essere un’opzione! Eppure… questo non ha significato non poter essere più percussivo, passionale e violento con la chitarra!
Tu sei cresciuto a Bristol. Che ruolo ha giocato questa città nel tuo background?
Bristol è grandiosa. Io sono cresciuto con Tricky, Massive Attack, Smith and Mighty e Portishead. E’ stato un vero onore far parte del Bristol sound. E’ una città da bazzicare, da uno stile giovane e soprattutto imbattibile per scoprire tendenze musicali straordinarie. Nei club le persone erano cosi diversificate, ti poteva capitare di sentire reggae, funk, hip hop, jungle, soul… tutti questi generi nella stessa notte, così da avere un’educazione musicale ampia e magica. La cosa sensazionale di Bristol è che afferra la musica da ogni dove e la tramuta in qualcosa di veramente suggestivo da trascinarti dentro. Riesce ad avvolgere il mondo in una nube fumante. L’artista Banksy riassume tutto questo per me. Solo Bristol poteva farlo splendere.
Tu hai collaborato con Amy Winehouse. Cosa pensi di lei e di quello che è successo?
La ferita è ancora viva… proprio ora io penso a lei come ad una piccola ragazza che non è stata troppo tempo tra di noi. Il mio cuore e il mio affetto sono costantemente con la sua famiglia ed i suoi cari. Siamo stati tutti sconvolti dall’accaduto. Quando l’abbiamo saputo, eravamo a Los Angeles, in una location leggendaria (Tthe whiskey on Sunset) per le band metal, e abbiamo lasciato il segno pur proponendo un genere insolito lì. Mi ricordo queste parole: “ti abbiamo perso di nuovo Amy”. Sono rimasto in piedi e non sono riuscito a trattenere qualche lacrima. Lei era straordinaria, fuoriosa, unica. Spero che proprio adesso stia suonando in qualche posto con Dinah Washington ed altre dive del soul che sono scomparse. Quando perdi qualcuno all’inizio sei in una fase di stordimento… ecco, io sono proprio in quella fase ora.
Tu hai fondato a Brighton la Folklaw Records, un’etichetta indipendente per artisti folk emergenti. Cosa ne pensi della musica indipendente? E’ un buon momento?
La Folklaw, fondata insieme al produttore Tim Bidwell, era un progetto a cui tenevamo tanto finchi tutti i nostri artisti non sono stati rubati da noi dalle grosse etichette discografiche e noi purtroppo siamo andati amaramente in bancarotta! Seriamente… Domino Warp, Xl, PIAS, Ninja Tune, tutte queste etichette hanno iniziato da qualcuno che ci ha creduto. Se ami la musica, realizzare un’etichetta è uno dei mille modi per essere coinvolto. Io sono sotto l’egida della Ninja Tune. La musica indipendente è un concetto complesso come non mai oggi: prendi Adele che sta riscontrando un grande successo ma è su un’etichetta indipendentel, i Radiohead sono tecnicamente “unsigned”! Musica indipendente signifca essenzialmente tutto quello in cui crei da solo, che richiede molta autostima e stima dagli altri. Devi crederci fortemente o prima o poi le majors ti affosseranno, come accade in molti casi. L’approccio indipendente dell’artista è quello di non sentirsi vincolato nelle scelte artistiche, di non sentire la pressione delle majors. Io personalemente accetto un’unica pressione della Ninja, quella di realizzare il tutto senza spendere troppe risorse.
Tu hai collaborato anche con Andy Barlow dei Lamb. Recentemente c’è stata la reunion dei Lamb con il loro quinto album. Cosa pensi di questo magico ritorno?
Il progetto Fink ha avuto nel corso degli anni contatti con ognuno dei membri dei Lamb. Andy ci ha dato una grossa mano durante le registrazioni di Distance and Time e gli sarò sempre immensamente grato. Lavorò veramente sodo per consegnarci un disco grandioso. E’ un ragazzo eccezionale. Lou ci ha dato la possibilità di un’apertura durante il suo tour solista al Paradiso di Amsterdam e al Jazz Café di Londra. E’ una donna tanto interessante quanto bella. Jon Thorne, per me assolutamente nella top 5 dei migliori bassisti del mondo, ci ha riempiti di complimenti dopo averci visti al Green Man Festival, ha detto di aver apprezzato ogni nota, ogni particolare del nostro set, è stato entusiasta. Quando salirò su grossi palchi con il prossimo disco sarò felice di condividere qualche tour con loro, perché sono sicuro che loro spaccheranno ancora, e se Andy non dovesse lanciare un assolo di djembe durante la performance… si potrebbe anche richiedere il rimborso!