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“Non ti fa prurito quella pelle nuova?”: intervista a Glauco Gabrielli (Vetrozero)

Glauco Gabrielli è corpo e, soprattutto, anima dei Vetrozero, band trentina che esordisce in questo 2011 con Temo solo la malattia. Un disco che è stato una terapia, una sfida, una speranza, come ci racconta lo stesso autore dei brani. Sfrontata, graffiante, dolce: la musica dei Vetrozero può essere tutto questo. Alcune domande ci permettono di capire come nasce la loro musica, come si evolve e dove sta puntando. (Una pistola non dice: – Salve!- è in streaming autorizzato)

Quando si apre il packaging del disco ci si imbatte in una sorta di premessa che rivolgi all’ormai prossimo ascoltatore: mi sembra giusto partire proprio da lì. Le frasi che più mi hanno colpito sono “questo disco è suonato da ignoranti ma pensato da poeti” e “questo disco si chiama faccia tosta di meritare una speranza”. E non penso che tu ti riferissi solo alla speranza nel successo…
Quella piccola prefazione a cui ti riferisci mi è venuta di getto, una sera particolarmente affannosa in questi anni di lavorazione del disco. Pensavo non sarei mai riuscito a chiuderlo e così fantasticavo di averlo e stringerlo tra le mie mani. Quella pappardella voleva essere un modo di sottolineare cosa questo rappresentasse per me. “Questo disco è suonato da ignoranti ma pensato da poeti” significa che abbiamo cercato di supplire con il cuore a quello che non siamo riusciti a dare con le nostre mani.

Temo solo la malattia: può sembrare una frase banale ma dopo l’ascolto del disco sono certo che non lo è. Identificando un solo timore annunci a tutti che ne sono stati vinti tanti: senza voler invadere il tuo privato, puoi indicarcene alcuni?
La paura di stare soli, la paura della paura, la paura del distacco dalle cose reali e dai rapporti umani. Mi ero isolato, stavo perdendo il contatto con la realtà e l’amore per me stesso.

Ad ascoltare i brani sembra che ci siano vari spaccati di vita: quando sono stati scritti e come si sono evoluti nel tempo?
A parte Il mostro e la Ninna Nanna, tutti i brani si riferiscono ad una relazione finita nel 2004. Questo per quanto riguarda la genesi concettuale. Per quanto riguarda concepimento e registrazione dei brani, sono praticamente tutti passati attraverso una fase di pressatura molto pesante. Siamo partiti da fragili ossature cercando poi di renderle solide, aggiungendo e togliendo cose, provando e riprovando, limando e modificando. Così per le musiche come per i testi. Questo ci ha portato via un sacco di tempo e non avere una scadenza ovviamente non ci ha aiutato. Abbiamo cercato di portare al massimo delle proprie potenzialità ogni brano: finchè non credevamo di esserci riusciti non ritenevamo un brano chiuso. In tutto ciò è stato determinante e fondamentale l’aiuto di Fabio de Pretis.

Con le premesse di cui si parlava prima, ci si potrebbe aspettare un disco di rock pesante, duro, rabbioso. A tratti c’è anche quello ma la ricerca della melodia, sia nella musica che nel canto, è evidente. Ci sono dei riferimenti musicali che credi possano aver influito più di altri alla creazione del sound dei Vetrozero?
Ognuno di noi ha un proprio background e bagaglio di ascolti ed esperienze musicali, ma non penso che queste si incontrino propriamente nella creazione della nostra musica. Siamo impegnati a cercare e segnare la nostra strada. Noi non inventiamo niente, ma cerchiamo di non assomigliare a nessuno, cerchiamo la nostra personalità e il nostro universo. Non vorremmo chiuderci in un solo genere o in un solo modo di fare e di suonare, non ci piace la musica di nicchia. Vorremmo fare musica di spessore fruibile da tutti.

Tu sei autore dei brani, testi compresi. Più che vere e proprie narrazioni sembra di avere di fronte delle istantanee, ma si nota un’abile ricerca lessicale. La musicalità delle parole, le immagini alle quali rimandano, il ritmo… è una cosa voluta o in qualche modo spontanea?
La questione dei testi è abbastanza spinosa. Mi stanno molto a cuore e mi hanno tenuto in ansia per molto tempo. Non so se la cosa mi riesca bene, ma cerco di spremermi in quella direzione. Sono riuscito nel tempo a semplificare la mia maniera di comunicare, ma credo che ci sia ancora un sacco da fare perchè la resa non risulti criptica. Non penso di essere molto musicale, sono molto legato alle parole, cosa che spesso risulta essere un limite.

Glauco Gabrielli è l’autore dei brani, ma non è solo e nel nome Vetrozero vive una vera e propria band. Quanto c’è degli altri componenti in questo Temo solo la malattia? Essendo un lavoro che appare molto personale, deve essere difficile lasciarsi troppo avvicinare, accettare compromessi, o sbaglio?
Ho la fortuna di suonare con dei musicisti formidabili, che danno solidità e concretezza al nostro suono. In questo disco vive anche la loro passione e la loro tenacia. Io però sono il solo a sapere cosa questo gruppo debba essere. Io traccio il segno e do la direzione, ma senza il loro supporto non sarebbe possibile e non sarebbe lo stesso. Loro tengono a galla la mia fervida ma fragile fantasia.

In Solubile c’è una preziosa collaborazione con Emanuele Lapiana (in arte N.A.N.O.). Intervistandolo ha espresso affetto ed ammirazione nei tuoi confronti, ma anche gratitudine riguardo ai tuoi continui complimenti per il suo lavoro. Cosa hai cercato di suo per il tuo brano? So che ti eri rivolto a lui per la produzione dell’intero disco…
Emanuele è prima di tutto un amico carissimo. Lo ammiro per la sua maniacalità, il suo senso critico, per la magia che riesce sempre a creare qualunque cosa faccia.  Volevo proprio un po’ di quella magia in un brano che aveva un’atmosfera a mio parere adatta: rarefatta e crepuscolare.

Tra tutti i brani di Temo solo la malattia, quale credi sia il meglio riuscito “per te” e quale invece è capace di colpire maggiormente il pubblico?

Personalmente penso che il brano meglio riuscito a livello sonoro sia Il mostro. Grisou col suo ritornello penso invece sia il brano che colpisca maggiormente chi ci ascolta.

Il vostro disco è appena uscito e vi potete permettere il vanto di avere aperto un concerto italiano degli Skunk Anansie, oltre all’esperienza al contest dell’Heineken Jammin’ Festival che vi ha visto vincitori: ti aspettavi questo?
Quelle che hai citato sono state due esperienze molto gratificanti che abbiamo vissuto quest’estate e quella passata. Entrambe sono arrivate del tutto inaspettate e hanno rappresentato una bella iniezione di fiducia, indispensabile per dei giovani musicisti come noi.

Capita spesso che band, le quali non hanno dimostrato fretta di realizzare un album subito agli albori della propria carriera, poi quando partono acquistano un ritmo molto deciso: è anche il vostro caso? Se già pensate al prossimo disco, notate un’evoluzione dei suoni e della composizione?
Abbiamo grandi aspettative per il prossimo disco, e vorremmo realizzarlo entro Settembre 2012. Tutto questo tempo passato in studio ci ha aiutato a capire meglio come comportarci con la creazione e l’arrangiamento dei nostri brani. Li trovo più semplici ma anche più maturi. Vorremmo variegare di più la nostra musica: essere più rock nei pezzi tirati e più leccati sui brani più intimi. Estremizzare senza perdere il filo conduttore.

Riuscirai a mantenere il tono “autobiografico” o ti dovrai obbligare a puntare la chitarra verso il mondo esterno?
L’essere autobiografici fino al midollo, parlare di se stessi potendo far rispecchiare gli altri in ciò che si scrive è una bellissima cosa, ma può risultare limitante o straniante se non si centra l’obiettivo, se non ci si azzecca. La sfida vera è parlare degli altri in maniera personale, liberandosi un poco della prima persona.

Una pistola non dice: – Salve! – Preview

Il mostro – Video

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