Alla seconda giornata del Neverland, l’isola che non c’è inizia ad avere sempre meno segreti. È facile da raggiungere seguendo le tracce del giorno precedente: ancora gli stessi profumi, gli stessi colori ad impregnare i dintorni. Le note e le parole lanciate nell’aria ieri sera ancora riecheggiano, nell’attesa di scostarsi appena per lasciar posto a quelle che stanno per attraversare i corpi e le anime dei presenti. La giornata si preannuncia lunga e particolarmente calda: sull’isola l’estate sembra alle porte e il clima è quello di un giorno di festa. Ed è davvero festa! L’imponente struttura del palco, alla fine dei soundcheck di tutti gli artisti, si erge a manifesto di ciò che sta per accadere attraverso un gran numero di strumenti accuratamente disposti in ordine di esibizione. È tutto lì. La magia del Neverland è completamente contenuta su quel palco e attende solo di poter essere sprigionata con tutta la forza di sua competenza nella provincia bergamasca.
Intorno alle 17.00 qualcosa inizia a muoversi e alla spicciolata la gente comincia ad occupare la grande area riservata al festival. A Fabrizio Coppola il compito di animare questa prima folla, purtroppo ancora molto poco numerosa. Niente luci ad arricchire lo scenario ad esclusione di quella di un sole caldo e persistente. Un forte applauso accoglie Fabrizio che con timida disinvoltura apre le danze con la sua Tutto resta uguale. Ed è subito Neverland. La freschezza dei brani di Coppola ben rispecchia la situazione che si va via via costruendo. La risposta del suo pubblico è notevole: si può distinguere nettamente un coro unanime di voci che urla al cielo il ritornello di La città che muore. Un piccolo uomo su un grande palco che, grazie alla sincerità della sua proposta, non passa certo inosservato e soprattutto inascoltato. Questa, per lui, è anche l’occasione per presentare un brano nuovo, Respirare e lavorare, estratto dall’ep di prossima uscita, con cui conclude la sua performance.
Solo pochi minuti separano un’esibizione dall’altra e senza che si abbia modo di percepire il cambio palco, iniziano a prepararsi gli Amor fou. L’aria del festival entra prima di tutto nei polmoni degli artisti, come dimostrano Raina e compagni. La loro immagine usuale, riflesso di una natura piuttosto introspettiva, lascia il posto ad un approccio più informale e appropriato per una sera che tarderà ancora a calare. L’impatto live è del tutto coerente con l’impressione iniziale: le due chitarre di Dottori e Raina stridono energia da proiettare oltre le transenne, così da attirare l’attenzione di un pubblico crescente anche quantitativamente. Lo stesso concerto si smuove seguendo questa modalità evolutiva: se La convinzione, il primo pezzo, ancora presentava qualche incertezza, queste vengono abbandonate di brano in brano, fino a Se un ragazzino appicca il fuoco e Cos’è la libertà?. Quest’ultimo va a chiudere un’esibizione a mio parere interessante proprio nella sua veste alternativa, che ha concesso più respiro al trasporto emotivo senza rinunciare a una buona prestanza dal punto di vista tecnico.
Sono ormai passate le 19.00 e l’isola continua a richiamare a sé persone. I grandi nomi di questa sera suoneranno ormai tra poco e i fan iniziano a sgomitare per ottenere la posizione migliore. Sotto il palco c’è già una folta calca di persone di tutte le età pronta per essere travolta da Il Teatro degli orrori. E travolgere è il verbo più adatto! Esponenti di un rock primitivo quasi frugale, fin dal primo brano si impongono come la vera rivoluzione della serata. Accattivanti fino all’estremo, si muovono con grande libertà sulla scena del Neverland. Libertà che è espressa prima di tutto attraverso la forza animalesca delle loro scelte artistiche e poi grazie ad una grande presenza scenica che fa del loro live un vero e proprio spettacolo. L’irriverente Vita Mia apre la performance così come nel disco di debutto, Dell’impero delle tenebre. Ciò che non può lasciare indifferenti è l’attitudine all’eccesso, alla maledizione, tradotta con grande abilità non solo vocale ma soprattutto strumentale: Francesco Valente ha un rapporto vivo e carnale con la sua batteria, tanto da impugnare le bacchette al contrario estremizzando ancora così il suono. Lo stesso si può dire di ogni membro in rapporto al proprio strumento. Carroarmatorock! è l’occasione per una breve polemica sulla televisione e sulla possibilità che questa ha di formare le menti delle persone che l’accendono: la salvezza è rappresentata invece da situazioni come questa, che invitano ad uscire di casa, svecchiando le proprie idee. Con Lezione di Musica, dopo un’ora abbondante di set, Il Teatro degli orrori lasciano definitivamente il palco.
Nell’attesa di vedere Morgan calcare la scena, la sera e con lei il buio rivestono i confini dell’isola, senza nasconderla, senza chiuderla, ma donandole un aspetto più maestoso.
Passano i minuti e l’ansia cresce: sul palco si monta il necessario per il live rigorosamente elettronico di Morgan in duo con Megahertz. Quando tutto è pronto, il pubblico acclama a gran voce l’inizio dello spettacolo. Salgono in coppia sul palco, indossando abiti eleganti: bianco per Morgan, nero per Megahertz.
Sono gli ex-Bluvertigo e Decadenza a far esplodere il pubblico in un boato. Ormai non si distinguono più gruppi di persone: ora è la massa, con l’energia che essa può scaturire e diffondere. Intanto sul palco si susseguono problemi tecnici, affrontati da parte di Morgan sempre con un sorriso e una battuta e qualche critica alla macchina, cui l’uomo tende incautamente ad affidarsi. La performance prosegue con brani estratti dall’ultimo disco, Da A ad A, e dal precedente Le canzoni dell’appartamento, sempre inframmezzate dai grandi successi dei Bluvertigo. E così si alternano Animali familiari, che mette in risalto le sue grandi doti di interprete, Me, in cui la complicità del duo è accentuata da un contatto fisico degli strumenti, e La crisi, introdotta da una cover di Ma cos’è questa crisi dei Folkabbestia. Nove pezzi. Nove sigarette. C’è sempre più coinvolgimento, tanto che con il corpo sembra voler raggiungere il pubblico e unirsi ad esso, come nell’abbraccio stilizzato che concede al termine della sua esibizione, dopo che Altre forme di vita ha concluso un grande live, dal punto di vista umano e artistico, dimostrando quanto queste due realtà con-vivono in lui.
Il palco è di nuovo in gran fermento. Sembra incredibile come quella folla di strumenti, in poche ore, si sia ridotta allo stretto necessario a rendere la poesia dei Marlene Kuntz. L’isola ha perso la sua inesistenza: è stata invasa in ogni suo angolo, al di là di ogni previsione. Ora c’è. E lo urla agli ultimi artisti che calcheranno la scena. Salgono sul palco, silenziosamente. E con lo stesso silenzio si apprestano ad iniziare. “Niente oggi sembra favorevole: gira il mondo con ostilità, ogni impressione mi fa debole e sento dentro solo sfiducia” : Stato d’animo è un moderato inizio di questo live, come a non voler consumare tutto e subito, dando modo di introdurre l’ascoltatore all’interno della loro musica. Segue una cover dei Diaframma, Siberia, che interrompe appena il dolce snodarsi dei brani estratti da Uno. L’intensità sul palco trova conferma nell’attenzione del pubblico e nella sua partecipazione solerte. Godano prende parola per la prima volta per introdurre la cover di Gaber, La libertà, brano di cui ne percepisce una particolare vicinanza alla propria sensibilità. La gente canta, a squarciagola, accompagnando le parole e il loro significato: “La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione.” L’atmosfera è mantenuta dall’esecuzione dei grandi successi del passato, Nuotando nell’aria e La canzone che scrivo per te. Una voce comune richiede Festa mesta e Godano interviene di nuovo, costretto a deludere quella domanda, proponendo L’esangue Deborah. Poi ancora pezzi di oggi e ieri a confrontare un percorso sempre all’insegna dell’Arte e del culto della Parola, dell’attenzione e della morigeratezza, del dono di sé e della ricezione dell’altro. L’aria sul palco è assolutamente professionale, controllata. L’interazione tra i Marlene Kuntz si limita al necessario: ciascun componente fa il suo, ma il risultato è corale e totalizzante. L’esperienza teatrale ha lasciato il suo segno, soprattutto su Godano, che ha sviluppato un buon uso del linguaggio non verbale per comunicare, ad esempio dimenandosi e portandosi le mani al volto nei brani della disperazione. Ancora una cover separa dal bis: Impressioni di settembre della PFM, a regalare un altro momento di grande profondità. A chi ancora sperava in Festa Mesta, il bis non regala sorprese. “Forse, davvero” anticipa l’inconfondibile Lieve, cui ha fatto subito seguito A fior di pelle. Perché è lì che l’emozione ti raggiunge prima. È lì che l’emozione si ferma, tra l’adrenalina e il cuore. È lì che questa prima edizione del Neverland voleva arrivare. È esattamente lì che il ricordo dell’isola che non c’era si insinuerà. Pronta a ritornare ad esistere, tra la sua realtà e la memoria di chi l’ha vissuta. (In collaborazione con Emanuele Gessi ed Ilaria Agrò). (Lost Gallery)