Una stanza ritratta in fotografia con dei colori pastello e un’atmosfera sfumata.Un gatto in primo piano e, poco più in là, una ragazza dai capelli biondi che lo guarda e sorride. Sì, avete ragione. E’ la copertina di Tapestry di Carole King.
Del resto Tapestry è uno dei dischi che non può mancare nella nostra collezione di vinili.
Ma è davvero solo questo? E’ davvero solo un disco da collezionare, un oggetto? Io penso sia molto di più.
Tapestry è, in primo luogo, il disco della maturità della King.
Carole King, una donna che fece molto per tante voci celebri nei lontani anni ’60 e che dovette aspettare almeno il 1971 per uscire da dietro le quinte. Una scrittrice che donò forse le migliori canzoni delle Shirelles, che collaborò con la Franklin e che conobbe artisti del calibro di Marvin Gaye e Neal Sedaka. Una pianista dal tocco leggero che, inaspettatamente, dopo una carriera spesa a scrivere per altri, creò quello che viene universalmente riconosciuto come uno dei capolavori della musica d’autore americana.
Un disco che trova, nelle sue atmosfere a volte soffuse, a volte tirate, a volte romantiche, a volte arrabbiate, la sua “dichiarazione di sé”. Un disco di quelli nati quasi per caso, a giudicare dai numerosi tentativi della giovane newjorkese di sfondare.
Un disco che, da quello che si dice, per quanto possa essere in linea con l’aspetto delicato della King, stona totalmente con la sua vita irrequieta e con i suoi turbolenti amori. Amori che, turbolenti o meno, hanno portato all’interpretazione di Will you love me tomorrow, uno dei brani più sentiti dell’intero disco, scritta dalla cantautrice per un gruppo femminile dei primi anni ’60 e che qui trova la sua forna definitiva.
Bisogna ricordare che, oltre alla poetica delicata della King, in Tapestry è forte l’influenza di uno dei nomi più alti del cantautorato statunitense dei ’70, quel James Taylor che risuonerà You’ve got a friend e con cui il chitarrista scalerà le classifiche con la sua versione solo chitarra acustica e voce, e si nota la presenza di un’altra voce femminile di rilevanza storica, Joni Mitchell, qui impegnata nel controcanto.
Tapestry, nonostante le numerose hit da classifica (o forse proprio a causa loro) è, in assoluto uno dei dischi germinali per la musica d’oltreoceano. Da Tapestry in poi, il cantautorato americano si affermò come fenomeno vendibile alle grandi masse, uscì dai localini frequentati da residuati del flower power e diede il La a quella sinfonia di differenze che viene definita “cantautorato femminile”
Perché è proprio questo che fece la King a sua insaputa. Sdoganò uno stile, firmò dei successi che sono diventati degli standard con cui ci si confronta da allora (basti vedere la bellissima versione cantata da Amy Winehouse di quella stessa Will You Love Me tomorrow di cui sopra), aprì la strada ad una musica scarna, fatta di strumenti acustici, atmosfere colte, testi poeticamente romantici ma coscienziosamente indipendenti. Un disco stupendo e intimo, spiazzante e divertente, che fa della canzone d’autore, della voce limpida e forte della songwriter e della musica lineare il suo punto di forza.
L’introduzione di I feel The Heart Move è di quelle che si ricordano e sembra strano ora, pensare che è seguita da uno dei brani più struggenti della King, quella So far Away che sembra lacrimare dalle casse di un vecchio giradischi. Home Again e Way Over Yonder ci portano tenendoci per mano alla stupenda You’ve Got a friend.
Il disco si dipana con classe fra accordi in minore e semplici giri di pianoforte, una chitarra arpeggiata a sottolineare alcuni passaggi, qualche fiato qua e là giusto per rendere l’atmosfere più soft e nulla più.
Tutto si dipana con classe, lontano dalle derive jazzistiche della King dei tempi a venire.
Tutto finisce così, con la classe sussurrata dei sentimenti non gridati ai quattro venti. Si arriva alla traccia che dà il nome all’album e infine ecco chiudere con (You make me feel like) A natural woman che un nome del calibro di Aretha Franklin renderà immortale.
Eppure questa versione intima, sussurrata, tenera, resta ancora la migliore.
L’intero disco, per quanto datato, è un ode alla femminilità, alla donna ma, soprattutto, alla semplicità.
Un lavoro indimenticabile.
Se non l’avete dovrebbero eliminarvi dalla faccia della terra.
Credits
Label: Ode – 1971
Line-up: Carole King: (voce, pianoforte) – Joel O’Brien (batteria) – Danny “Kootch” Kortchmar (chitarre, conga) – James Taylor (chitarra acustica) – Joni Mitchell (cori)
Tracklist:
- I feel the earth move
- So far away
- It’s too late
- Home again
- Beautiful
- Way over yonder
- You’ve got a friend
- Where you lead
- Will you still love me tomorrow?
- Smackwater Jack
- Tapestry
- You make me feel like a natural woman
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