Quando la mia amica M. mi ha proposto una serata musicale all’apartamento Hoffman per il concerto di Kaki King le ho detto subito SI. Il locale mi appare molto accogliente anche se illuminato con luci soffuse, tanti cuscini colorati, qualche poltroncina qui e là e di fronte al palco uno spazio dove accomodarsi a gambe incrociate. Nell’attesa cantautorato di qualità, che mi ha fatto subito pensare “sono a casa”. Conoscevo quasi per niente la musica di questa chitarrista statunitense, di cui la mia ex coinquilina G. e altri amici mi avevano parlato molto bene.Ad aprire la serata, The sleeping tree, cantautore di Pordenone che a vederlo sembra un folletto di un piccolo boschetto irlandese. Sale sul palco imbracciando la sua chitarra a sei corde nera e un sorriso ritenuto per l’emozione che sia allargherà di lì a poco ma senza mai esplodere. Le sue influenze cantautorali sono fortemente anglo-irlandesi, ma Giulio Causin (questo il suo vero nome) le ha interiorizzate per raccontare le sue storie, in cui chi ascolta può immaginare di fermarsi ad osservare la danza di una foglia autunnale con una tazza di the caldo al profumo di miele tra le mani, simile al calore di un cuore pulsante d’amore che è un’eterna bugia (Love is an eternal lie). The sleeping tree lascia il palco con un inchino pronto a passare da protagonista a spettatore, seduto tra il pubblico trepidante. Qualche minuto di pausa, le tre chitarre sei, sette e dodici sono già pronte ad attenderla; Kaki King sale sul palco. Classe 1974, capelli corti, portamento un po’ mascolino che la fanno sembrare molto più giovane, con una grinta e una disinvoltura immediatamente percettibili. La prima cosa che salta agli occhi sono le sue mani e in particolare le sue unghie, corte nella mano sinistra e molto lunghe in quella destra, questo le permette di non usare il plettro, per rendere il suono più naturale possibile. Per quasi tutta la prima parte del concerto imbraccia sempre la stessa chitarra, nera a cassa armonica chiusa dal suono tiepido e dalle poche sfumature, quasi a voler far emergere più la sua “bravura tecnica” che non l’anima delle canzoni, dando ampio spazio a molti virtuosismi proponendo brani dai ritmi veloci e poco incisivi. Nella seconda parte del live lo scenario muta completamente, Kaki cambia chitarra quasi ad ogni brano, da Chaos in the castle a Ritual dance, con in mezzo una passeggiata notturna illuminata dai lampioni di San Francisco (Night after sidewalk) concedendosi una capatina in un negozio di dischi aperto a suonare uno dei suoi brani più intensi dal titolo Neanderthal. Alle prime luci dell’alba di questo passeggiare notturno si ha la sensazione di risvegliarsi insieme a Christopher, il coraggioso protagonista di Into the wild sulle note di Doing the wrong thing, (il brano è contenuto nella colonna sonora del film).
Quella del 6 dicembre è stata una serata emozionante ma non scintillante. Uno dei motivi è probabilmente la sua incapacità di coinvolgere adeguatamente il pubblico, forse perché il pubblico stesso e una parte della critica hanno sopravvalutato un po’ la sua musica.
Grazie a Gianluigi per la preziosa collaborazione.