In occasione dell’uscita di Fenice, ultima fatica dei Ronin, è stato un piacere particolare innescare questo scambio di intuizioni con Bruno Dorella, portatore sano delle redini del progetto. Su un piccolo ring di curiosità malcelata e attenzioni prive di orpelli, Bruno mostra il fianco di una natura indomata ed autentica, la stessa che si respira, con prepotente eleganza, fra i pezzi del disco. Non sempre serve il rumore per mettere il punto su ciò che conta davvero. Buona lettura. (Jambyia è in streaming autorizzato)
Mitologia, maturità, malinconia: se fossero i vertici del triangolo Ronin, Fenice sarebbe l’incentro di questo poligono ideale. È verosimile?
Sfondi una porta aperta. Mi dai un triangolo magico, una triade di M, 3 elementi fondamentali nella vita di un artista… Come posso resistere? Sono imbevuto di mitologia sin dagli studi, ho la malinconia come Musa ispiratrice per i Ronin insieme a Sorella Sconfitta, e maturità (o consapevolezza) è ciò a cui ogni artista vorrebbe sentire associata la propria opera. Non so se questo triangolo sia verosimile. Anzi, lo è. Ma il punto è che mi piace a prescindere, quindi lo darei per approvato anche se fosse un’idea campata per aria.
Quanto costa la coerenza nel fare musica?
Se è naturale, come nel mio caso, poco. Niente. Non saprei comunque fare altro. In cambio ho la felicità. Pago e lascio anche il resto a chi lo vuole, io sto bene così.
Una strada lunga dieci anni. Mani perse per la strada, qualche cicatrice e nuovi incontri. Ronin è, oggi, un gruppo, una squadra, un prisma di memorie: come hanno convissuto i vostri talenti? Quale spazio/peso hanno/hanno avuto le intuizioni dei vostri compagni di viaggio? Penso ai vostri ospiti, a Emma, al nuovo assetto della band…
Chi è passato tra i Ronin resta un Ronin. Lascia un tatuaggio sul mio cuore e sulla storia di questo progetto. Dagli ex agli ospiti, ognuno ha contribuito in modo determinante a questo prisma (adotto la tua definizione). Con Emma non ho ancora finito. Dovrà combattere ancora qualche battaglia con noi. Forse molte. Ora che l’ho conosciuta non la lascio scappare tanto facilmente.
Il passo da L’Ultimo Re a Fenice è stato un grande passo, nella forma e nei modi. A stupire particolarmente è la leggerezza che si respira nonostante la densità del disco. Come siete arrivati qui?
Non lo so nemmeno io. Potrei abbozzare delle spiegazioni, ma il punto è che io non avverto una differenza di peso. Avverto solo l’evoluzione di un percorso.
Un diamante la vostra versione di It was a very good year. Perché la scelta di questo pezzo?
Finalmente una domanda da ufficio stampa. Cominciavo quasi a preoccuparmi, non mi avevi ancora fatto una domanda banale. Tra tutte quelle che potevi fare però hai scelto quella giusta, perché è una cosa a cui tengo davvero. Questo pezzo è un omaggio a mio padre, che ce lo propinava con la sua tastiera Casio, di quelle con gli accompagnamenti posticci, ad ogni festa comandata. Famiglia riunita (che orrore… Parenti serpenti a manetta), e tra la tombola e il panettone ecco pure mio padre col suo repertorio: Una Casetta Tra Gli Abeti e It Was A Very Good Year. Ho cominciato ad amare quel pezzo quando lui ha smesso di suonarlo. Ci ho messo vent’anni per arrivare a suonarlo. La cosa più bella è che sono riuscito a portare mio padre in studio di registrazione, e fargli suonare questa canzone dopo venti anni che non toccava la tastiera. L’ha suonata identica ad allora, con lo stesso inciampo nello stesso punto. Perfetto. Avrò tanti rimpianti nella vita. Non questo.
È indubbiamente cinematografica l’atmosfera che si respira in alcuni pezzi. Quale rapporto vi lega al cinema? Di cosa/chi parleremmo se volessimo parlare d’amore per il cinema?
Il cinema e la musica dei Ronin sono fatti l’uno per l’altra, semplicemente. Mi piacerebbe arrivare a scrivere solo per il cinema. Per chi/cosa non importa. Immagini sulla nostra musica, la nostra musica sulle immagini. E’ il massimo che io possa chiedere.
Cosa vi aspettate da questo disco?
Niente. Da un po’ di tempo ho imparato a non aspettarmi serenamente niente. Molto meglio degli antidepressivi.
Il tour di promozione di Fenice vi vede impegnati in numerose date, in Italia e all’Estero: cos’è per i Ronin l’esperienza palco, il contatto con il pubblico dal palco?
E’ strano. Da un lato i Ronin, per la natura del progetto (musica per immagini), potrebbero anche prescindere dal live. Dall’altro lato però io non riesco a farne a meno. Suonare dal vivo è ciò che mi fa stare meglio al mondo. E così porto questi altri tre sfortunati soldati in giro per le trincee di tutta Europa.
Grazie (per Fenice e per la generosità, in ogni sua forma).
Prego, per così poco…