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Ho una passione che è anche la mia fortuna: intervista a Ciro Tuzzi (EPO)

Gli Epo sono una band davvero eccezionale. Costruiscono un pop emozionante che tende la mano al rock nel retrogusto e al folk nelle virate introspettive. Ogni cosa è al suo posto arriva a cinque anni di distanza da quel Silenzio assenso accolto dai favori sia di pubblico che di critica. Ogni cosa è al suo posto uscirà il 30 aprile e noi ve lo presentiamo con quest’intervista a Ciro Tuzzi (voce, chitarra e autore dei testi e delle musiche) e due streaming: A piedi nudi sui vetri (brano apripista già lanciato in free download dal SoundCloud della band) e Un fuoco (centro emozionale del nuovo lavoro) ovvero un’esclusiva assoluta per LostHighways. (Foto di Francesco Marrone)

Ogni cosa è al suo posto arriva a cinque anni da Silenzio assenso. Cosa è cambiato negli EPO in questo periodo?
Sono cambiate tantissime cose. La formazione degli Epo è cambiata totalmente. Gli unici collegamenti tra i tre dischi degli Epo sono io e la passione per la musica. In realtà ho realizzato pienamente questo cambiamento di formazione solo quando abbiamo redatto i credits del disco, le varie uscite ed entrate nella formazione sono avvenute nel tempo e gradualmente. In 5 anni possono succedere tante cose.

Cosa vuol dire, sia emotivamente che musicalmente, stare lontani dalla “scena” ai fini del ritorno?
E’ sempre passato tanto tempo tra un disco e l’altro. Non sono propriamente un autore prolifico. Però preferisco pubblicare un disco che per me sia denso di significati piuttosto che scrivere dei “riempitivi” per promozionare 2/3 singoli. L’uscita di A piedi nudi sui vetri ha avuto un gran bel riscontro, segno che c’è ancora qualcuno che vuole ascoltarci. E’ una fortuna e ci sentiamo lusingati da questa opportunità.

Ogni cosa al suo posto, un titolo che può essere interpretato come un punto di arrivo o uno stato dal quale finalmente partire. Come lo intendono gli EPO?
Credo che siano entrambe le cose. E’ un punto di arrivo perchè finalmente siamo riusciti a scattare una fotografia della nostra creatività, dando una forma definitiva alle canzoni e alle emozioni che raccontano. Allo stesso tempo è un punto di partenza: col bagaglio delle esperienze fatte, esperienze che ci hanno fatto ulteriormente maturare sotto il profilo artistico ed umano, siamo pronti a vedere questo disco dove ci porterà. Siamo davvero curiosi.

A piedi nudi sui vetri è il brano che avete scelto per presentare l’album. Perché proprio questo?
Ci affascinava l’idea di pubblicare un “singolo non singolo”, una canzone con un testo duro che parla della perdita della purezza e della propria identità, in un momento storico intriso di canzoni leggere leggere, anche nell’ambito della musica indipendente.

Trovo il video di A piedi nudi sui vetri perfetto nella sua semplicità così evocativa. Per realizzarlo vi siete affidati alla regia di Francesco Ebbasta dei The JackaL. Com’è stato lavorare con lui?
Francesco ha un talento incredibile e il successo dei The JackaL è meritatissimo. Quando ci siamo incontrati per discutere del video o per fare brainstorming mi ha molto colpito la sicurezza con cui ci descriveva le inquadrature e le emozioni che avrebbe voluto trasmettere. Quando ci ha illustrato l’idea del video gli abbiamo dato carta bianca, fidandoci totalmente del suo gusto e della sua sensibilità.

Nel brano Un fuoco si può sentire la voce di Marina Rei. Ci vuoi raccontare com’è nata questa collaborazione?
Con Marina c’è un rapporto di amicizia nato nel periodo in cui ho fatto il chitarrista per il tour del suo disco Musa, un legame rimasto vivo anche dopo il tour. Una volta deciso di voler inserire sul pezzo una voce femminile è stato naturale pensare a lei.

Raccontami il ruolo di questo brano rispetto all’intero disco…
Le canzoni del disco sono nell’ordine temporale in cui le ho scritte. Un fuoco è stata scritta quando, per questioni di salute sono stato costretto a letto per mesi e poi a sottopormi ad un intervento chirurgico alla schiena. Steso su un letto di ospedale, con le flebo nel braccio ho pensato che probabilmente avrei dovuto rinunciare alla musica. Capii presto che era un’eventualità che non potevo assolutamente prendere in considerazione. Non mi interessa dimostrare a me o ad altri chi posso o chi sarei potuto diventare. Ho una passione che spesso è fonte di frustrazione e amarezza, ma che è anche la mia fortuna.

Questo disco vede varie collaborazioni con artisti della scena campana. Come mai questa scelta?
E’ stata una cosa molto naturale, tra molti artisti della scena napoletana c’è un bel rapporto di amicizia che prescinde dai generi musicali o dai gusti. Giovanni Truppi ha suonato delle parti di piano molto toccanti e Giovanni Block ha impreziosito Nastro isolante con il flauto traverso e ci ha dato una grande mano ad arrangiare gli archi suonati magistralmente da Arcangelo Michele Caso. Il coro fatto da Dario Sansone, Claudio Domestico, Claudia Sorvillo, gli Onirica e Truppi è stato uno dei momenti più divertenti delle registrazioni del disco.

Avete rilasciato alcuni video, dei tester in cui ci mostrate le fasi di registrazione dell’album. Come mai questa scelta? Un modo per riprendere il contatto con il pubblico in chiave così intima?
Grazie a Luigi Iacobelli abbiamo realizzato questa serie di teaser che raccontano la storia della nascita di questo disco. Più in là uscirà anche una sorta di minidocumentario su Ogni cosa è al suo posto, di cui questi teaser rappresentano dei piccoli assaggi. Li stiamo utilizzando per ottimizzare al massimo le possibilità di comunicazione che i social network mettono a disposizione e per condividere col pubblico non solo il frutto del nostro lavoro, ma anche il percorso che ci ha portato fino a qui.

In tutti i vostri album è presente un brano in dialetto napoletano, come a voler rivendicare la vostra identità. Quanto è importante l’essere partenopei per la musica degli EPO?
In questi anni mi sono ulteriormente avvicinato alla canzone napoletana tradizionale. Sulla nostra pagina Soundcloud ci sono delle versioni di canzoni napoletane rilette. Noi napoletani abbiamo il vantaggio di avere una vera e propria “lingua” alternativa all’italiano, una tavolozza con dei colori “altri” rispetto a quelli che si utilizzano normalmente. Sarebbe un peccato non usufruirne.

Quali sono le influenze che la vostra città ha esercitato sul vostro percorso artistico?
Non so dirti quanto ci ha dato sotto il profilo artistico, di sicuro Napoli e la “napoletanità” sono parte integrante del nostro modo di vivere e pensare, di riflesso questa condizione entra sicuramente nella nostra musica.

Qual è il brano che considerate più “tradizionale” e quello che invece spinge oltre, oltre quello che voi stessi pensavate in partenza?
Animali fragili credo sia la canzone più tradizionale del disco, nel senso che è quella più vicina alle cose fatte in passato dagli Epo. La canzone meno ortodossa credo sia Stand Up, sia per quanto riguarda l’arrangiamento, per il modo in cui è stata suonata, che per quello che riguarda la scrittura del testo. Tutti noi abbiamo registrato le parti strumentali principali senza sapere come avrebbe suonato la melodia della voce. Ho scritto il testo senza farmi condizionare da precise regole metriche, addensandolo di tutti i contenuti che volevo includervi. Non vediamo l’ora di proporvela.

Ogni cosa è al suo posto – Preview

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