Home / Editoriali / Quando la voce di un’anima selvaggia rivela la fragilità di un’ emozione: Anais Mitchell + Neil Lucchetta (Hope Leaves) @ Apartamento Hoffmann, Conegliano (TV) 15/05/12

Quando la voce di un’anima selvaggia rivela la fragilità di un’ emozione: Anais Mitchell + Neil Lucchetta (Hope Leaves) @ Apartamento Hoffmann, Conegliano (TV) 15/05/12

Non so perché ho scelto questa notte così insonne e tremendamente calda per scrivere del concerto di Anais Mitchell dello scorso 15 maggio all’ Hoffmann di Conegliano. Poco importa ora, perché il live set della cantastorie è stato davvero speciale per intensità e capacità espressiva rare e davvero difficili da raccontare. Ricordo tutto, o quasi, nei dettagli, dallo specchio sulla soglia d’entrata, all’arredamento curato in stile vintage, fino all’insegna al neon rosso e scritta nera. Questa volta, a differenza della prima, c’è un’altra atmosfera, è tutto più scuro e silenzioso, i pochi presenti ridacchiano con la loro birra in mano, altri ingannano l’attesa sui divanetti fronte palco, infine dopo qualche sorso di alcol maltoso prendiamo posto davanti al mixer ma centrali, posto migliore non c’è.  Il palco è buio ma la chitarra di Neil Lucchetta è già li, stasera  si presenta in apertura con qualche brano del suo progetto solista, la cui uscita è prevista a breve. Il suo talento chitarristico si fa subito notare, più della sua capacità lirica e testuale. Si intitola Smile il brano con cui si conclude il suo breve set, che mi dispone bene a ciò che sta per avere inizio. Il palco si svuota, Anais non entra dalle quinte ma sceglie il lato opposto, imbracciando già la sua chitarra che mi ricorda la solida corteccia del magico punk-albero di E. il mio reporter preferito, che ho portato con me. Qualche ora prima ho riletto anche la recensione di V. del suo ultimo lavoro e da subito “ritrovo” i colori tenui e i grandi spazi che accolgono una voce forte e aggraziata che racconta frammenti di narrativa e teatro con gli occhi di un’anima selvaggia e impavida. Dalla mia posizione seguo la sua ombra che sarà luce solo quando sarà già sul palco da qualche istante, una luce di un fucsia gentile fa risaltare il suo volto felice e suoi occhi luccicanti spesso chiusi, che somigliano al mare calmo dove cammina e vede le barche (Ships) arrivare assieme al suo grande amore. La magia inizia molto prima, visto che dal suo ultimo album non manca niente. La cowgirl cantastorie ha come unica compagna di viaggio la sua chitarra acustica con cassa armonica chiusa a sostenere egregiamente la sua loud voice dal sapore country, che rievoca la raffinata country lady che porta il suo stesso cognome e di nome fa Joni. La scaletta si apre con Wilderland che fa un tutt’uno con Young man in America e Sheperd. Anais ama nei suoi testi richiamare e riferirsi a storie di un passato, non appartengono solo alla narrativa ma anche al teatro e all’opera come nel caso della bellissima Why we build the wall? e l’amore impossibile tra Orfeo e Euridice. Il culmine arriva quando Anais sembra voler aprire il cuore del suo pubblico senza timore di spalancarlo con Coming Down, He did e Tailor, eseguite con delicatezza tale da riempire il cuore senza lasciar parole; solo autentica emozione fino a farmi chiudere gli occhi per “potermi impercettibilmente abbandonare” alla musica e ai suoi segreti. Ma la vera chicca arriva in chiusura quando, dopo aver richiamato il pubblico a cantare insieme a lei, sceglie di lasciare il palco per la meravigliosa 1984 con in coda una famosa ninnananna americana dal titolo Goodnight, a cappella “in famiglia” preferendo il tuo (mio) sguardo come prediletto fino quasi a riconoscere e disarmare l’anima rivelandone la fragilità, non resta che sorridere e accennare un inchino di gratitudine.

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