Voglio iniziare chiaramente, senza giri di parole: Endimione è un bel casino. Endimione non è una passeggiata nei giardini della musica, forse, piuttosto, è come trascinarsi nelle paludi dell’ansia.
Ascoltare Endimione non è per niente facile, scriverne è difficilissimo.
Non è come ascoltare il classico disco, la classica decina di brani, magari in cuffia o nel tuo stereo.
Non basta star seduti in poltrona, occhi chiusi e sigaretta pendula. Endimione non lo ascolti solo con la testa. Le orecchie non bastano, ti serve altro. Come prima cosa ti serve malessere. Iriondo in questo suo lavoro lontano dagli Afterhours il chitarrista di origini basche estremizza ancora di più, se possibile, la sua vena rumorista e, se certamente non si spinge ai limiti della cacofonia, li sfiora sapientemente.
Non so se sia un piccolo e baffuto genio o un furbastro che si diverte a far musica rumorosa (o rumore vagamente musicale) spacciandola per sperimentazione ma, di sicuro, sa come fare a catturare l’attenzione.
Se poi ci mettiamo anche la voce e le mille sfumature di Stefania Pedretti, in arte Alos, allora stiamo pur sicuri che Endimione non è fatto per pomeriggi rilassanti.
Prima di tutto va detto che Alos ha una voce che spazia dal sensuale al terrorizzante e i suoni disturbati e disturbanti di Iriondo riescono a donarle un sottofondo quasi lovecraftiano.
Ogni brano si caratterizza per piccole chicche, una fisarmonica che fa capolino, un piccolo campanello, delicati canti in francese, graffi di grammofono, su cui la chitarra (ma di chitarra si tratta?) di Iriondo lancia bordate rumoriste.
Al primo ascolto si resta spiazzati dai feedback, dagli echi come ritorni in cuffia, da quelle distorsioni e da quegli arpeggi così puliti. C’è da rimanere impressionati su come alterni suoni acusticamente metallici a distorsioni ai limiti del più rumoroso post-rock. Lampante è l’esempio di Marguerite Jamois, in cui le corde sembrano trasformarsi in fili elettrici e poi di nuovo in corde di chitarre e dove Alos declama, poi urla, poi canta, poi gorgheggia. Sono davvero oscure le atmosfere create da questi due artisti che fanno della sperimentazione la loro bandiera. In Georges Gabory la chitarra è meravigliosamente “alla Iriondo”, con quei suoni che mi riportano alla mente ad alcune cose dell’area più di nicchia dei primi ’90 ed i cachinni di Alos la rendono, se possibile, ancor più di nicchia. In Robert Mortimer (possibilissima colonna sonora di un vecchio film, La Casa Dalle Finestre Che Ridono) la musica è inizialmente quasi assente, sostituita dal battito di lontane campane o da rintocchi di un orologio a pendolo, per poi fare lentamente capolino. Ma ondulata, angosciante, quasi disturbante, ad accompagnare la voce rauca, quasi tronca, di Alos.
Un disco davvero inquietante, per musica e intenzioni, in cui le grida e le urla di Alos legate ai suoni (perché dire chitarre è limitativo) di Iriondo rendono l’ascolto difficile e, questa volta l’aggettivo non è gratuito, disturbante.
Un disco da ascoltare con la faccia graffiata dagli artigli del cuore ma un disco che non mi sento di consigliare a tutti perché non è musica per tutti e chi pensa il contrario è in malafede.
Un disco che lascia aperte alcune considerazioni sulla sperimentazione e su dove essa voglia andare a parare, su che valore possa avere questo format al di fuori di uno spettacolo live, se il disco in sè sia una piccola e buia perla o un qualcosa di fine a se stesso, se sia geniale o presuntuoso quando non pretestuoso.
Considerazioni velenose e quasi bigotte ma che, fosse solo per la difficoltà del disco, sarebbe disonesto non porsi.
Ripeto: un bel casino.
Credits
Label: Brigadisco – 2012
Line-up: ?Alos, Xabier Irindo
Tracklist:
- Georges Gabory
- Robert Mortier
- Marguerite Jamoi
- Florent Fels
- Simone Dulac
- Genica Atanasiou
- Charles Dullin
- Cruel Restaurant
Links:?Alos, Xabier Iriondo