Matteo Toni è un cantautore diverso: voce e chitarra slide sostenuta da una batteria. Santa pace è il suo disco d’esordio delicato ed avvolgente, incendiario e ritmato. Il suono della chitarra di Matteo è qualcosa di unico nel panorama italiano. Se a questo elemento si aggiunge la capacità di scrivere dei testi intensi ed un personalissimo modo di cantare, siamo certamente di fronte ad una delle più belle sorprese di questo 2012, e forse alla vera novità della tanto chiacchierata nuova scena cantautorale italiana. A lui abbiamo rivolto un po’ di domande in una piacevole ed informale chiacchierata.
Per l’occasione LostHighways presenta in free download esclusivo Bruce Lee vs Kareem Abdul-Jabbar (video in esclusiva per Rolling Stone), primo singolo estratto da Santa pace. (Qualche settimana fa abbiamo pubblicato in anteprima i testi del disco qui).
Santa pace è un esordio anomalo, arrivato tardi, almeno anagraficamente: come mai questi tempi e chi era prima Matteo Toni?
Io credo che l’età anagrafica sia una cosa che spesso non è dentro alle cose che si fanno. Ci sono tantissimi esempi di persone che si affacciano al mondo dell’arte alle età più disparate. Il mio trascorso di vita mi ha portato ad approcciarmi al progetto Matteo Toni solo recentemente. È anche vero, però, che ho fatto altre cose in precedenza, altrettanto interessanti. Ho avuto la possibilità di suonare, e poi di cantare, in un gruppo che si chiama Sangria. Era un gruppo favoloso, e vivevo un periodo pieno di stimoli dal punto di vista musicale. Facevamo musica originale, che ritenevo molto bella pur non avendo avuto alcun affaccio sul mercato. A tutti gli effetti, anche con i Sangria ho iniziato “tardi”, a 24 anni, e abbiamo continuato insieme per 6-7 anni, e così mi sono ritrovato a oltre trent’anni ad avere ancora qualcosa da dire, sia sul piano musicale che su quello lirico. Terminata questa esperienza ho sentito la necessità di sviluppare un mio percorso, seguendo una strada più cantautorale.
Approccio cantautorale dici, ed è vero, pur essendo tu, musicalmente e vocalmente, molto distante dall’immaginario del cantautore e della sua musica. Come è nata la vicinanza a queste sonorità?
Viene dagli ascolti che ho fatto in tutta la mia vita, spesso molto distanti da questo immaginario italiano. In realtà con il tempo ho scoperto che esistono molti gruppi nostrani che hanno realizzato dischi potenzialmente esportabili in un mercato internazionale, purtroppo però in Italia abbiamo sempre saputo fare poco “il mercato” senza mai essere riusciti, per esempio, a far conoscere all’estero un gruppo reggae che canta italiano, come invece può capitare per gruppi spagnoli in Italia. La cosa è particolare, perchè in realtà il canto italiano è molto apprezzato all’estero!
Matteo Toni nasce quindi dalla fine dell’esperienza con i Sangria, quindi come cantautore perchè mi sono ritrovato da solo con la mia chitarra: cantavo ciò che scrivevo, nella perfetta definizione di cantautore. Fare questo con una chitarra slide, piuttosto che con una pianola o un flauto, è stata del tutto una casualità: è successo con una chitarra slide, e questo è il risultato.
I testi di Santa Pace sono di rara bellezza. Intensi ma immediati, anche molto musicali (si percepisce la ricerca ed il lavoro che c’è dietro). Siamo abituati all’idea che cantautori si nasce. Tu hai sempre saputo di avere questa qualità o l’hai scoperta strada facendo?
Credo che la verità sia a metà tra le due cose. La propensione alla vocalità e alla musica c’è sempre stata. Fin da piccolo ho suonato: tre anni di pianoforte sicuramente mi hanno indirizzato verso una sensibilità alla musica. Per quanto riguarda la scrittura dei testi si tratta di un percorso che sto ancora affinando. Ho sempre ascoltato musica cantata in inglese, che quindi ha una semplicità lirica assolutamente non italiana. In Italia, la culla della lingua complessa e raffinata, siamo legati all’esigenza di sentire da un cantautore dei concetti espressi in maniera celata o almeno molto originale. A mio avviso, invece, certi concetti si possono esprimere anche in modo diretto, sempre che riescano ad arrivare al cuore, al brivido sulla schiena. Io ricerco questo nella musica, perchè è ciò che mi ha sempre emozionato.
Tutti i testi sono molto intimi, in alcuni parli in prima persona, in altri racconti storie. Per queste ultime penso a Provinciali di nuoto e Il canto di Valentina, per esempio. Chi sono i protagonisti di questi splendidi scorci di vita?
Non te lo dirò mai! Sono in realtà dei personaggi assolutamente reali che fanno parte (o hanno fatto parte) della mia vita. Io mi sono divertito a giocare con degli elementi reali ed altri dettati dalla fantasia. Si parte da un amico, un fratello, una persona che è vicina, poi si arriva a descrivere un concetto interiore. Credo che questi personaggi, alla fine, siano diventati facce della mia anima. Questa tipologia di espressione mi ha sempre affascinato anche negli ascolti che ho fatto: partire da un evento o un personaggio, poi giungere a descrivere sé stessi. Valentina, il (o la) protagonista di Provinciali di nuoto o la bambina di Acqua del fiume… sono comunque dentro di me, parte del mio essere.
Per quanto si tratti di un esordio, puoi vantare già importanti collaborazioni: Umberto Giardini nel tuo precedente ep, mentre ora sei stato affiancato da Antonio Cupertino. Quanto queste persone hanno influito sul risultato? Ti hanno fatto scoprire direzioni nuove o ti hanno solamente concesso di percorrere la tua strada al meglio?
Santa Pace è stato prodotto interamente da Antonio Cupertino. Lui ha quindi seguito le riprese, ma ha anche svolto un lavoro di produzione vero e proprio. La collaborazione con Cooper è stata fantastica: la direzione presa sui suoni è stata al 100% quella che io e Giulio Martinelli (batterista) avevamo in mente. Ci siamo trovati in sintonia anche sui nostri personali gusti musicali, quindi la scelta dei suoni è stata molto spontanea. Il suo apporto è stato fondamentale, ed in tutto e per tutto ci ha agevolato a rendere al meglio la nostra idea originale. Questo disco, si può dire, è concepito, sviluppato e terminato da tre persone: io, Giulio e Cooper.
Per quanto riguarda l’ep, rileggendo a posteriori anche alcune recensioni nelle quali si diceva quanto Umberto avesse determinato il mood di alcune canzoni, posso dire che in realtà non è affatto vero. Eccetto Tutti i miei limiti, che effettivamente è una canzone di Moltheni, un regalo che lui mi fece e che non potevo rifiutare, gli altri brani erano completamente miei. Umberto mi diede tanti consigli utili, ma rimanendo molto rispettoso della stesura originale dei brani.
La cosa che più mi ha colpito della tua musica è la capacità di giocare con le melodie più dolci, e un attimo dopo incendiare la chitarra slide. Un equilibrio magnifico, anche molto “umano” se vogliamo. Come mai non hai voluto dare una impronta più definita al tuo disco? Perchè hai voluto aprire tutte quelle porte?
Credo che tu ti sia già risposto quando hai detto la parola “umano”. Nell’arco di una giornata proviamo una serie sterminata di emozioni, dal relax (difficile da raggiungere) all’incazzatura: qualsiasi visione o suono ci suscita qualcosa. Io cerco di mettere in musica tutte queste situazioni, dalla giornata spensierata a quella in cui vorresti solo scivolare giù nel lavandino e andare via per sempre. Molto spesso i dischi sono monotematici, ma forse è una necessità dell’artista del giorno d’oggi, che tende a volersi incanalare in un certo filone. All’interno di un disco dei Beatles, invece, potevi trovare un genere musicale per ogni brano eppure nessuno diceva nulla, anzi era ritenuto stimolante! Questo è quanto cerco di fare: la stessa persona che tenta di mettere luce su sfumature diverse della sua anima e del personale modo di vedere le cose. Penso che un artigiano della musica, come io mi reputo, debba imprimere un’idea nelle sue opere. Non importa lo stile o il modus. Le differenze tra un brano e l’altro di Santa pace sono notevoli, ma in realtà la tecnica con cui io suono la slide è molto simile. Cambiano i suoni, a volte maestosi, a volte sussurrati, ma il punto di partenza è sempre unico.
Prima hai citato Giulio Martinelli, la tua “metà artistica”: come è nata la collaborazione con lui?
È nata in maniera casuale, poco prima della registrazione dell’ep. Dopo l’esperienza solista ho pensato al trio con basso e batteria. Giulio lo conoscevo già, persona che stimo musicalmente e personalmente. Con il tempo mi sono poi accorto che l’espressione in trio non era quello che cercavo, principalmente per via del mio modo di suonare la chitarra, se vuoi una maniera un po’ “bassistica”. Mi trovavo costretto a riarrangiare i pezzi per il trio, snaturando i brani originali. Solo in duo con la batteria, invece, si ottiene quella dinamica che può portare da suoni silenziosi ad un’apoteosi. Giulio con il tempo ha poi cambiato molto il suo modo di suonare, adattandosi. Tu sei musicista, Emanuele?
No, no. Da adolescente provai a strimpellare, poi capii che non era il caso…
Ricordati che c’è sempre tempo! Matteo Toni ne è la garanzia.
Infatti trovo la tua esperienza apprezzabile anche per questo: quasi un esempio! Il lavoro, il sacrificio, i piccoli passi, poi in fondo rendono davvero se c’è la passione.
Questo, Emanuele, è tutto. Lavorare, darci dentro, sognare. Non sento di essere arrivato, ma ho la consapevolezza che ogni passo è un piccolo punto d’arrivo personale. La cosa più importante, alla fine, è fare le cose principalmente per sé! Io e Giulio ne abbiamo parlato ieri sera durante le prove; ci guardavamo e fra noi ci dicevamo “abbiamo fatto un gran bel disco”. Capisci? Ce lo dicevamo tra noi, io e lui eravamo contenti in quel momento. Punto. Il resto passa in secondo piano. Se altri si entusiasmano per ciò che fai, è un bene, una conferma ulteriore, ma l’obiettivo è personale.
L’ultima domanda è una pura curiosità che riguarda un elemento ricorrente nei tuoi testi: il mare. Cosa è per te? Cosa rappresenta?
È un simbolo meraviglioso. Il mare è un qualcosa di non ben definibile per l’uomo. Per alcuni potrebbe essere Dio, come per altri invece lo è il concetto di “montagna”. Per me esprime un luogo verso il quale muoversi. Potrebbe essere un traguardo di vita. È il simbolo dell’esodo personale, e probabilmente il luogo finale della vita. Io sono nato e cresciuto in una città lontana dal mare, e fin da piccolino ho sempre amato quest’idea: alzarmi presto la mattina per mettermi in viaggio per poter vedere il mare. Per me è sempre stata una meta. L’ho sempre considerato un elemento che avrebbe dato benessere e felicità alla mia vita.
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