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In ascolto di un mondo aperto: intervista a Luca Olivieri

Attraverso un’idea o il legno, grazie all’avorio o a un impulso elettrico, Luca Olivieri genera e plasma un battito che è musica da sognare, tessuto sonoro su cui proiettare visioni oniriche ed armonie di colori; quel che è racchiuso ed insieme dischiuso da La quarta dimensione, suo ultimo lavoro, è una volta celeste o una stoffa serica da cui lasciarsi avvolgere, reca in sé le tracce lasciate dagli occhi e dalle dita, dalla fantasia. Ogni astro ed ogni refe di questa musica che evoca il tempo si pone al confine delle diverse forme che la bellezza può assumere, sulla soglia in cui anima e carne sono con-fuse, dentro il cuore delle immagini, nei gesti e nel centro dei sensi, vicino al sogno. Tali fili e bagliori sono illuminati dalla parola e dalla gentilezza di Olivieri.

La quarta dimensione: idea, concetto… e nome per i dodici brani che costituiscono la carne del tuo ultimo disco. Il tempo è una feconda suggestione situata alla radice della musica che hai composto oppure un filo rosso che hai riconosciuto solo in un secondo momento?
L’idea di dare una linea tematica al disco mi è venuta durante la lavorazione. Dopo una prima fase di catalogazione e di scelta dei brani da sviluppare ho iniziato le registrazioni e man mano che i pezzi prendevano forma ho capito che poteva esserci un filo comune che unisse i dodici brani in una sorta di suite, trovandomi così con la scaletta praticamente pronta prima ancora di realizzare i missaggi. Il tema del tempo mi sembrava calzante per la mia musica, scorgendo nella breve frase che è poi diventata il titolo del disco (un termine scientifico che identifica il fattore tempo) la giusta sintesi di quello che volevo rappresentare.

Mettendosi in ascolto dell’album ci si ritrova avvolti da un’elettronica che riesce ad essere calore e poesia, come ti relazioni alle possibilità dischiuse da questa?
Ho sempre cercato di avere un approccio “umano” con gli strumenti elettronici, badando principalmente a non farmi condizionare dalle infinite possibilità offerte da campionatori, computer e altro. Diciamo che cerco di essere un pilota attento e non un semplice passeggero. Come hai sottolineato, nei miei brani è presente una componente elettronica, pensata prevalentemente come colore timbrico o ritmico, in funzione del risultato finale. Sentire che tutto “gira” nel modo giusto, indipendentemente dal fatto che sia stato suonato un pianoforte, un virtual instrument o un oboe, è comunque la cosa principale.

Con un linguaggio puramente musicale racconti attraverso i suoni storie o sogni. L’assenza della parola nella tua musica cosa significa per te?
Credo sia un modo per avere meno limiti possibili; mi piace pensare che l’ascoltatore accostandosi alla mia musica possa trovare un mondo aperto, vasto e da esplorare. L’uso della parola è più vincolante, nel senso che si può cantare una frase in mille modi diversi ma il senso rimane inalterato. Nella musica c’è più libertà e immaginazione, vale praticamente tutto, il timbro, la melodia, le dissonanze, il mondo sonoro con cui arrangi un brano.

Al tuo ultimo lavoro hai donato un Baricentro morale, quasi il fuoco di un’ellisse… un brano che si situa poco oltre la metà del viaggio, di quel viaggio che può essere la tua musica. C’è un perché alla base del nome di questo cuore di pace?
E’ la ricerca di un qualcosa di sempre più raro che è la morale. Guardandomi intorno noto sempre più la mancanza di un equilibrio, trovo che tutto sia un po’ sfuocato, sbilanciato, talvolta aggressivo: credo che ognuno di noi necessiti di un proprio baricentro morale, per il bene proprio e degli altri. In questo brano ho cercato di rappresentare questo stato d’animo contrapponendo il suono e la melodia del violoncello con un “mondo” sonoro fatto di rumori e ambientazioni al limite della dissonanza.

Se penso al tempo come possibilità dell’esperienza, La quarta dimensione la penso come possibilità dell’esperienza immaginativa… le musiche che la compongono sembrano infatti delle visioni possibili ed insieme delle occasioni di visione, quasi degli spazi immacolati su cui proiettare gli slanci dell’immaginazione o da cui ricevere i riverberi di immagini sognate. Ritieni che il tuo lavoro sia stato nutrito anche da un pensiero visivo?
Sì, assolutamente. E’ stato un trasporre in musica elementi visuali sia immaginari che reali. Alcuni brani del disco sono nati proprio per sonorizzare dei film muti d’epoca, quindi parecchie idee e sensazioni mi sono venute in funzione di ciò che vedevo e devo dire che il fascino di sovrapporre le mie musiche su immagini tanto evocative è stata una bella sensazione. Credo comunque che tutti i brani del cd abbiano una spiccata impronta cinematica.

La quarta dimensione parla anche di collaborazioni profumate di stima ed affetto. Mario Arcari, Fabio Martino, Fabrizio Barale, Andrea Cavalieri, Giovanna Vivaldi, Diego Pangolino, Roberto Lazzarino. Incontrarli attraverso la musica e generando musica ha dato una sfumatura preziosa ad ogni brano. Come vivi, nel corso della creazione e della messa in opera, l’esperienza della condivisione e della collaborazione?
In fase di composizione solitamente lavoro da solo mentre per gli arrangiamenti e le registrazioni coinvolgo i musicisti che penso possano aiutarmi a realizzare al meglio ciò che ho in testa, tendendo comunque ad affidarmi a persone a me vicine per visione e sensibilità musicale. Fino ad oggi ho lavorato in questo modo, anche per motivi pratici, ma non escludo in futuro di poter creare una situazione di gruppo sia in fase di realizzazione dei brani che di eventuale attività live.

Riconoscendo tra le mani che hanno curato La quarta dimensione quelle di Fabio Martino, Fabrizio Barale ed Andrea Cavalieri, non posso non pensare alla tua strada che si è intrecciata non di rado con quella degli Yo Yo Mundi. Il loro mondo e il tuo, trovandosi, hanno dato vita ad un arricchimento reciproco… cosa è fiorito da questo terreno d’incontro per te?
Posso dire che si è confermata una stima reciproca. Mi fido di loro, ci conosciamo e ci frequentiamo da molti anni e veniamo da una serie di esperienze musicali molto simili. Mi ha fatto piacere che abbiano partecipato con entusiasmo alla realizzazione del mio disco perchè sono belle persone oltre che musicisti competenti.

Musica ambientale… musica che forma o tras-forma ambienti, che li feconda o apre, che da questi si lascia permeare. Il tuo ultimo lavoro evoca la relazione tra musica e tempo, ma non può non implicare anche quella tra musica e spazio. Come sono da te vissute entrambe?
Parlando di sonorizzazioni di ambienti è innegabile che un qualsiasi posto fisico arricchito di una parte musicale è più accogliente. Da un punto di vista più personale credo che la musica non si lasci rinchiudere in uno spazio, penso sia sempre nell’aria. Forse è un’affermazione eccessivamente romantica ma per come la vivo io è ovunque e mi accompagna in qualsiasi momento della giornata, fa parte di me e davvero non riesco a pensare a una vita senza musica o che questa possa essere limitata da un confine (mentale o fisico) invalicabile.

Hai dialogato con lo sguardo attraverso la sonorizzazione di diversi film. Suonare alla luce di uno schermo, dar vita ad una musica che accompagni lo scorrere di una pellicola, che scandisca i suoi sensi, che illumini col suono la sua scrittura fatta di immagini, plasmare melodie nutrendole di visioni… credi sia stato determinante per il tuo essere musicista vivere questa relazione tra le note e gli occhi?
Determinante non credo, ma stimolante sì, sicuramente. Mi piace molto partecipare a progetti dove la commistione tra diverse forme espressive è presente, lo trovo un modo creativo di esprimersi oltre che una buona occasione per imparare cose nuove. Ad esempio sincronizzare una musica su delle immagini vuole anche dire rispettare dei tempi, dire tutto in pochi secondi, sottolineare un umore attraverso un suono, un timbro particolare.

Ti sei rapportato non solo al cinema, ma anche al teatro. Cosa ti ha donato quest’esperienza?
E’ stata un’esperienza molto interessante: ho realizzato diverse musiche di scena collaborando con alcuni registi e compagnie teatrali e, riallacciandomi alla risposta precedente, anche in questo caso ho imparato molto. Non posso che ringraziare tutte le persone che negli anni mi hanno proposto collaborazioni oppure hanno deciso di usare le mie musiche per i loro spettacoli.

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